rotate-mobile
Venerdì, 19 Aprile 2024

"Qui in Brasile è il caos, contagio fuori controllo nelle favelas"

Il racconto di un italiano che vive nel Paese sudamericano da 24 anni: "Siamo un aereo in caduta libera. Manca l'acqua, figuriamoci le mascherine"

Il coronavirus sta colpendo con particolare violenza il Brasile, costretto a fare i conti con una situazione di giorno in giorno sempre più drammatica. Da ieri il paese carioca ha scavalcato la Russia ed è diventato il secondo Paese al mondo per numero di casi di contagio dopo gli Stati Uniti. 20.803 le nuove infezioni registrate nelle ultime 24 ore, per un totale di 330.890 contagi e 21.048 morti legati alla Covid-19. Mike Ryan, capo del Programma di emergenze sanitarie dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), ha affermato in conferenza stampa che "il Sudamerica è il nuovo epicentro della malattia, e il Brasile è il Paese più colpito".

Il caso Brasile spaventa l'America Latina ma, mentre il contagio dilaga in tutto il continente, il presidente Jair Bolsonaro continua ad insistere per una piena ripresa delle attività economiche, ignorando ogni richiesta di drastici provvedimenti.

A Fortaleza, capitale dello stato di Cearà, nella parte nordorientale del Paese, vive da 24 anni Fabrizio Stasi, 67enne ex assistente della Misericordia di Antignano. "Qua ho conosciuto mia moglie e ho aperto alcune attività" racconta a Livornotoday. La sua nuova vita carioca, seppur tra le contraddizioni che caratterizzano il Paese sudamericano, è scorsa poi via liscia senza troppi intoppi, almeno fino a poche settimane fa, quando la pandemia da Covid-19 ha messo in ginocchio l'intera nazione.  "Siamo un aereo in caduta libera, impossibile contenere il contagio nelle periferie".

"Qua intorno a metà marzo sono stati presi i primi provvedimenti di chiusura delle attività, il mio Stato rimarrà in lockdown fino al 31 maggio. La situazione sta peggiorando giorno dopo giorno, non soltanto quella sanitaria, ma anche quella economica: siamo un aereo in caduta libera. Ad oggi ci sono già stati più di 20.000 decessi, nel mio Stato circa 2.000. A destare preoccupazione sono soprattutto le periferie: non c'è l'acqua, figuriamoci se possono esserci mascherine o gel disinfettanti. Nelle case abitano sette/otto persone e mantenere l'igiene è praticamente impossibile. È difficile dire ai bambini di stare in casa, sono abituati ad uscire quando piove per raccogliere l'acqua piovana. C'è una disparità sociale incredibile, nelle favelas c'è un livello nettamente inferiore di qualità della vita. Tra centro e periferia c'è la stessa differenza esistente tra lo stare a New York o in Africa. Sono due mondi completamente diversi, c'è uno scalino sociale troppo grande".

Quando sono iniziate ad arrivare le prime notizie dall'Italia quali sono state le sue reazioni? Ha iniziato a preoccuparsi anche per il Brasile oppure la vedeva ancora come una minaccia lontana?
"Dico la verità, pensavo fosse impossibile che l'emergenza arrivasse qua, a migliaia di chilometri di distanza. Io ancora andavo al mare e anzi, ricordo che i miei amici che stanno in Italia mi invidiavano per questo. Mi dicevano ‘beato te che può startene tranquillo in spiaggia'. Quando le cose non si toccano con mano sembra impossibile che possano riguardare anche te. Invece poi la situazione è degenerata. Ricordo che qui il primo caso è stato proprio quello di un manager di ritorno da Milano: una volta rientrato a San Paolo si è riunito con tutta la sua famiglia è da lì è partito tutto".

Secondo lei c'è stata una sottovalutazione del problema da parte del governo brasiliano?
"Bolsonaro fino alla scorsa settimana si faceva vedere in pubblico senza mascherina ad abbracciare e baciare la gente. Il ministro della Salute più volte gli ricordava che avrebbe dovuto dare il buon esempio: se uno vede in tv il presidente che si comporta in quel modo, pensa di poterlo fare liberamente anche lui. È stato un esempio negativo. Tra l'altro il ministro della Salute si è poi dimesso proprio per questi contrasti".

E adesso come se lo immagina il futuro? L'Italia sembra vedere la luce in fondo al tunnel, mentre il Brasile è ancora nel pieno dell'emergenza.
"Sono convinto che l'Italia ne uscirà, deve uscirne per forza prima o poi. Qui stanno iniziando a circolare i primi progetti di riapertura di alcune attività, ma il Brasile, da questa epidemia, ne uscirà ancor più indebolito. Il governo ha istituito un sussidio di 600 Real (equivalenti a 100 euro, ndr) al mese per tre mesi per i lavoratori indipendenti: aveva stimato 22 milioni di domande, invece ne sono arrivate il doppio. La vita, poi, non sarà più la stessa almeno per qualche mese: saremo traumatizzati, avremo paura a stare vicini alle altre persone. In più va sottolineato un altro aspetto: l'Italia può contare sugli aiuti dell'Unione Europea, il Brasile invece, come tutti gli Stati sudamericani, è solo. È il caos totale. Bisogna però stringere i denti: come mi disse un mio amico, la morte deve trovarci vivi".

Fonte: LivornoToday →
Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

"Qui in Brasile è il caos, contagio fuori controllo nelle favelas"

Today è in caricamento