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Giovedì, 25 Aprile 2024

Così è nata la seconda ondata europea: "Il virus è mutato"

Lo studio degli scienziati dell'università di Basilea: tutto è partito dalla Spagna, poi l'arrivo nei dodici paesi europei

Uno studio internazionale di scienziati con a capo l'università di Basilea sostiene che la seconda ondata del coronavirus Sars-CoV-2 è nata in Spagna tra i lavoratori giornalieri impegnati nella raccolta della frutta e da lì si è estesa ad altri dodici paesi europei. Lo studio, di cui ha parlato il Financial Times e che viene illustrato oggi dal Mattino,  avrebbe evidenziato una variante del coronavirus, chiamata 20A.EU1, nata ed estesa tra questi lavoratori, in precarie condizioni igienico-sanitarie di lavoro e di vita. Questa variante rappresenterebbe oltre l’80% dei casi in Spagna e Regno Unito, il 60% in Irlanda e il 40% in Francia e Svizzera.

Questa mutazione sarebbe stata identificata in 12 paesi europei e da lì trasmessa ad altri continenti. Sarebbero state dunque le persone in uscita e in entrata in Spagna per turismo ad averlo propagato al resto dell’Europa. La genetista Emma Hodcroft, dell’Università di Basilea, sottolinea la rapidità della propagazione del virus impressa da questa variante che contiene sei diverse mutazioni genetiche.

Come conferma uno dei co-autori dell’indagine, Iñaki Comas, ricercatore del Consejo Superior de Investigaciones Científicas, secondo cui il focolaio nato tra i lavoratori della frutta e diffusosi rapidamente a livello comunitario, sarebbe cresciuto in fretta a livello locale fino a diffondersi al resto della Spagna. Qualcosa che era già accaduta nella prima ondata epidemica della primavera, rendendo difficile quando non impossibile la tracciabilità delle catene di contagio: da qui l’importanza di circoscrivere i focolai fin dal principio per evitarne la perdita di controllo.

Un’altra mutazione del virus, chiamata D614G, avrebbe modificato la proteina S, quella che il virus utilizza per agganciarsi alle cellule umane contagiandole, rendendo più efficiente l’intrusione del virus nel corpo umano, secondo uno studio dell’Università del Massachusetts, pubblicato sul server bioRxiv. Secondo la rivista Nature, questa mutazione non interesserebbe i polmoni, fermandosi la diffusione del contagio alle vie respiratorie più alte. 

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