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Giovedì, 25 Aprile 2024
Buona vita / Arezzo

A 21 anni a un passo dalla terapia intensiva, poi sconfigge il Covid e partorisce: "Grazie a tutti"

Da Arezzo la storia di mamma Nayem, papà Gias e il piccolo Arshi, che ha 11 giorni e sta bene. Una storia a lieto fine, quella raccontata da Arezzo Notizie

Arshi ha 11 giorni, e sta bene. Anche mamma Nayem, 21 anni, ora può sorridere: era entrata in ospedale ai primi giorni di novembre alla settimana numero 35 di gravidanza. Era stata contagiata dal Sars-CoV-2. Una storia a lieto fine, quella raccontata da Arezzo Notizie. Ma è stata dura. La giovane,  quando mancava poco al parto,  felice di poter diventare madre, si è ritrovata angosciata dalla paura di non farcela: forti le difficoltà respiratorie.

Arezzo: malata di Covid partorisce un bimbo, stanno bene

Si è trovata accanto medici e infermieri di quattro reparti ospedalieri che sono stati con lei e l'hanno seguita, con l'aiuto di un interpretariato telefonico, fino alla nascita di Arshi e alla loro dimissione dall'ospedale. Adesso sono a casa dove ad attenderli c'era il padre Gias. Una giovane famiglia bengalese che ha affrontato il Covid. E lo ha sconfitto con l'aiuto di un intero ospedale, il San Donato di Arezzo e i suoi straordinari professionisri dei repaerti di  malattie infettive, terapia intensiva, ostetricia e neonatologia.

I genitori del piccolo sono uniti da un grande amore. La loro storia si è intrecciata con la città di Arezzo alcuni anni fa. "Sono in Italia da ormai 10 anni - ricorda Gias -. Provengo dal distretto di Feni, una città del Bangladesh situata nella divisione di Chittagong, nel sud-est del paese. Arezzo è la prima e unica città in cui ho vissuto dopo essere emigrato dal mio paese dove i giovani hanno ritrovato una qualche forma di democrazia dopo aver subito una lunga colonizzazione e dopo la sua successiva liberazione dal Pakistan. Il Bangladesh è ancora un paese povero. Credo che ognuno cerchi di poter vivere meglio, soprattutto se sogna di avere una famiglia. E' per questo che sono venuto in Italia. Lavoro, faccio l'operaio orafo. Volevo stare con mia moglie, la donna che amo e quindi abbiano fatto tutte le procedure perché potesse raggiungermi. Nayem è arrivata lo scorso anno". La gravidanza procede bene, fino all'ottavo mese.

"All'inizio non ho capito che si trattava di Covid. Ero incinta e arrivata quasi alla fine della gravidanza: ho pensato di avere l'influenza e che la difficoltà di respirare dipendesse dalla mia condizione.  Ma i sintomi sono peggiorati e ho iniziato ad avere una gran paura, non solo per me ma soprattutto per la nascita di mio figlio e per le complicazioni che avrebbero potuto riguardarla".

"Nayem è arrivata nella degenza Covid quando era alla trentacinquesima  settimana di gravidanza - ricorda Danilo Tacconi, direttore di malattie infettive. Aveva evidenti problemi respiratori, determinati anche dal suo stato in quanto i polmoni erano sotto pressione da parte del bambino. E’ stata ricoverata da noi per 10 giorni e la sua situazione clinica diventava ogni giorno più grave. Al punto che avevamo preavvertito la terapia intensiva di un possibile trasferimento perché era sempre al limite per essere intubata. Alla paziente è stato applicato quindi il casco e messo in atto un monitoraggio molto stretto".

Un caso difficile gestito nel migliore dei modi

Una grande difficoltà è stata quella della comunicazione: Nayem non parla né italiano né inglese ed è stato quindi attivato il servizio di interpretariato telefonico, la Vox Gentium convenzionata con la Regione Toscana che garantisce il servizio 24 ore al giorno.

"La collaborazione è stata fondamentale perché ci ha consentito di informare la paziente sulle sue condizioni e sulle terapie. La possibilità di dialogo, anche se mediato, ha aiutato tutto il personale che è stato  particolarmente vicino alla signora e ha dato la possibilità di tranquillizzarla".

"Solo chi ha vissuto una condizione come la mia può capire quello che si prova - afferma Nayem - Quando sono arrivata in ospedale la mia situazione si è molto aggravata ma l’accoglienza e la professionalità di tutta l’équipe medica è stata determinante per il momento che stavo vivendo".

Situazione complessa anche per il marito Gias: "E'  stato molto difficile per me. Ero in quarantena senza poter stare vicino a mia moglie e questo mi ha fatto sentire molto triste. Desideravo tanto essere presente al momento della nascita del mio bambino e stare accanto a loro. Non potendolo fare in ospedale, ho avuto la possibilità di contattarli attraverso Whatsapp. I dottori, in maniera continua, mi hanno aggiornato e mi hanno rassicurato dicendomi che stava andando tutto bene e mi hanno coinvolto in ogni decisione. Il loro atteggiamento mi ha dato tanta fiducia". In seguito è stato creato  un gruppo multidisciplinare tra ostetricia, malattie infettive, terapia intensiva che ha deciso l'intervento cesareo. Alla trentaseiesima settimana la situazione stava peggiorando, il bambino stava bene e i tempi per una nascita erano giusti.

Tutto è andato per il meglio, il 18 novembre il piccolo è nato. Nayem è riconoscente verso i sanitari di Arezzo che hanno "dato vita a mio figlio e di conseguenza a me una seconda vita". Gratitudine espressa anche dal padre, Gias: "non troveremo mai le parole giuste per ringraziare l’ospedale di Arezzo, tutti i medici e infermieri che ci hanno seguito in questa esperienza che fortunatamente ha avuto un lieto fine". Buona vita!

Fonte: ArezzoNotizie →
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