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Giovedì, 28 Marzo 2024

"Non è colpa mia se ai prof cade l'occhio sulla minigonna"

Una studentessa del liceo Socrate di Roma spiega le sue ragioni: "Siamo nel 2020. Non è possibile che ancora oggi si additi una ragazza che porta la gonna come una ‘facile’. E poi così si finisce per far passare i professori uomini come dei maniaci guardoni"

Ieri abbiamo raccontato la protesta delle studentesse del liceo Socrate di Roma dopo che la vicepreside dell'istituto ha invitato le alunne ad evitare le gonne corte perché ''i banchi di Arcuri non sono ancora arrivati, e quindi sedute sulle sedie si vede troppo". Il caso, denunciato sull'edizione romana di Repubblica, ha scatenato l'immediata reazione delle studentesse che, per protesta, hanno deciso di presentarsi a scuola tutte in minigonna, attaccando sui muri dell'istituto dei manifesti con scritto: ''Non è colpa nostra se gli cade l’occhio'', a cui fa seguito l’hashtag ''Stop alla violenza di genere''. Oggi una di loro ha parlato con il quotidiano per spiegare le sue ragioni: 


«Intanto facciamo una premessa. Nelle nostra scuola — e non è certo colpa del preside o della vicepreside — non sono ancora arrivati i banchi. Passiamo la giornata appollaiate su sedie senza nemmeno i braccioli, è ovvio che la gonna può salire un po’ e non c’è nemmeno il banco che ci copre. Forse la vicepreside ci avvertiva per questo motivo.

Ma è una situazione già stressante per noi: devo prendere appunti sul cellulare, ogni tanto sono costretta a mettermi in ginocchio a terra per scrivere, e da quanto sappiamo staremo così almeno fino a fine ottobre. Nelle classi fa un caldo atroce, le restrizioni Covid non ci permettono di accendere i ventilatori, abbiamo misurato nelle aule addirittura 37 gradi, pensare di mettersi i pantaloni lunghi è follia».

Torniamo al primo giorno di scuola. La vicepreside entra in aula, richiama una tua compagna, che quel giorno portava una gonna, all’esterno, le dice l’ormai nota frase “ai prof cade l’occhio”. Come hai reagito quando lo hai saputo?
«La mia amica è una ragazza particolare, molto timida. Lì per lì me lo ha riferito come se nulla fosse. Ma ho continuato a pensarci per tutto il giorno. Era un tarlo. Non solo mi aspettavo da una donna più grande di me come la vicepreside un atteggiamento materno, comprensivo, mi sono anche chiesta come avrebbe reagito un’alunna più giovane, di 14 anni, non ancora strutturata. Mentre ci confrontavamo con il resto della classe abbiamo saputo che la stessa frase era stata detta anche ad altre ragazze, in altre sezioni. E così, quasi naturalmente, è nata la protesta pacifica delle gonne».

Che messaggio ti auguri che passi da questa vicenda, detrattori a parte?
«Siamo nel 2020. Non è possibile che ancora oggi si additi una ragazza che porta la gonna come una ‘facile’. Le nostre mamme e nonne hanno combattuto per questo, eppure oggi siamo tornati indietro. E poi c’è un altro tema importante».

Quale?
«Così si finisce per far passare i professori uomini come dei maniaci guardoni. È un messaggio malato. Abbiamo tutti gli occhi per guardare, magari è capitato anche a me di vedere un prof giovane e pensare “è carino”, tra me e me. Il pensiero non è un reato, ma esternarlo sì, in particolare in un ambiente protetto come la scuola».

''Niente minigonne, ai prof cade l'occhio'': il caso in un liceo, le studentesse scoprono le gambe

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