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Venerdì, 29 Marzo 2024
La scoperta dei ricercatori italiani / Napoli

"Il DNA può indicare chi è a rischio di sviluppare una forma grave di Covid"

La scoperta di un gruppo di ricerca di Napoli apre la strada allo studio di nuovi test genetici e cure. L’intervista a Mario Capasso, docente di Genetica Medica dell’Università Federico II e coordinatore dell’equipe 

Le mutazioni genetiche che l’uomo eredita e che lo caratterizzano possono predisporre a una forma grave della malattia da Covid-19. A scoprirlo l’equipe del Ceinge-Biotecnologie avanzate di Napoli guidato da Mario Capasso e Achille Iolascon, docenti di Genetica Medica dell'Università Federico II.

La ricerca, pubblicata sulla rivista iScience di Cell Press, ha permesso di individuare cinque fattori genetici che, alterando il funzionamento di due geni coinvolti nella patogenesi della malattia da Covid-19, predispongono l’organismo ospite allo sviluppo di una forma grave della malattia. La predisposizione genetica si va, quindi, ad aggiungere agli altri fattori di rischio già noti, quali età avanzata, sesso maschile e comorbidità, che, però, non erano bastati a giustificare le diverse manifestazioni cliniche della malattia. Già un anno fa il gruppo di studio coordinato da Mario Capasso e Achille Iolascon, aveva intuito che le mutazioni genetiche potevano giocare un ruolo importante nello sviluppo della forma più aggressiva di Covid-19. L’ipotesi è stata poi confermata con l’analisi di informazioni genetiche relative a oltre 1,7 milioni di cittadini europei e non europei, e accessibili grazie alla collaborazione internazionale con il consorzio Covid-19 Host Genetics Initiative al quale fanno capo 143 centri di ricerca di tutto il mondo. Di questi dati il gruppo di ricerca italiano ha analizzato 1 milione relativo a persone sane e 7 mila a soggetti che avevano sviluppato una forma grave della malattia.

La ricerca del Ceinge di Napoli aggiunge un tassello importante alla comprensione della malattia da Covid-19 e apre la strada allo studio di nuovi test genetici, che siano in grado di prevedere se la malattia può avere un decorso grave, e di nuove cure. Abbiamo chiesto qualche chiarimento a Mario Capasso, docente di genetica dell'università Federico II. 

Prof. Capasso, il gruppo di ricerca da lei coordinato ha indagato la relazione tra mutazioni genetiche nel DNA umano e sviluppo di forme gravi della malattia da Covid-19. Cosa avete scoperto?

"Lo studio si è focalizzato sull’organismo ospite, e cioè sull’uomo, sul suo DNA. E’ questo a renderci differenti dagli altri. Noi possediamo varianti genetiche, mutazioni del DNA, che ci rendono unici ma che posso anche predisporci a determinate patologie. Il nostro studio è partito da questo presupposto, abbiamo voluto investigare se tali mutazioni del DNA dell’ospite possano predisporlo a forme gravi della malattia da Covid-19. Si tratta di mutazioni insite nel nostro DNA che ereditiamo dai nostri genitori e che non vengono scatenate da fattori esterni, per questo si parla di “predisposizioni”. Noi abbiamo un background genetico, un DNA che presenta varianti genetiche che, da una parte, caratterizzano il nostro corredo genetico (altezza, colore degli occhi, ecc) e, dall’altra, possono predisporci all’insorgenza di patologie, quali ad esempio il cancro, l’obesità, le malattie cardiovascolari, ecc. Essendo il Covid-19 una malattia multifattoriale, è causata dal virus, da fattori quali la vulnerabilità del sistema immunitario, le malattie pregresse, ecc, ma anche dalla genetica. Con il nostro studio abbiamo scoperto che le varianti genetiche che l’uomo eredita e che lo caratterizzano possono predisporre a una forma grave della malattia".

Avete individuato 5 fattori genetici che predispongono allo sviluppo di una forma grave della malattia da Covid-19..

"Sì, abbiamo analizzato i dati genetici di 1 milione di soggetti sani e di oltre 7 mila soggetti che avevano sviluppato una forma grave della malattia da Covid-19. Questa enorme mole di dati genomici è stata poi analizzata con tecniche computazionali create ad hoc che ci hanno consentito di rilevare le varianti genetiche di ogni singolo soggetto e di individuare, sul cromosoma 21, una porzione di DNA con 5 mutazioni genetiche comuni a tutti i soggetti che avevano sviluppato la forma grave della malattia".

Perché queste varianti predispongono a una forma grave della malattia da Covid-19?

"Perchè questi 5 fattori sembrerebbero alterare il funzionamento di due geni, chiamati Tmprss2 e Mxl, coinvolti nella patogenesi del virus e, quindi, nella progressione della malattia da Covid-19. Il primo fa entrare il virus nella cellula, mentre il secondo è legato alla risposta immunitaria che si innesca dopo l’infezione".

Quindi questi 5 fattori genetici si vanno ad aggiungere ai fattori di rischio già individuati, quali età avanzata, sesso e comorbidità?

Esattamente. Questa ricerca ma anche altri studi a livello internazionale stanno dimostrando che oltre ai fattori di rischio già noti, esiste anche una predisposizione genetica. Il nostro studio costituisce solo un tassello alla comprensione della malattia da Covid-19, altre ricerche stanno studiando anche altri fattori genetici che potrebbero predisporre a forme gravi della malattia.

Lo studio del Ceinge fa parte di un progetto che ha coinvolto una rete di collaboratori internazionali. Qual è stata la rivoluzione introdotta dal suo gruppo di ricerca?

"Noi collaboriamo da un anno con il consorzio 'Covid-19 Host Genetics Initiative' che, subito dopo l’inizio della pandemia, ha messo su una rete di collaborazione tra 143 centri di ricerca di tutto il mondo per la raccolta di dati genetici. In questi mesi il mio gruppo di ricerca ha raccolto il DNA sia di soggetti sani che di soggetti che avevano sviluppato una forma grave della malattia da Covid-19. Abbiamo analizzato dati relativi a soggetti europei, africani e asiatici. Le varianti genetiche legate alle forme più aggressive del virus Sars-CoV-2 avevano una frequenza più alta nei soggetti analizzati, sia europei che non europei. Per quanto riguarda questa porzione di DNA non sono, quindi, emerse differenze tra questi soggetti, pur appartenendo a popolazioni differenti".

Qual è stata la vostra intuizione?

"Noi studiamo da diversi anni le malattie multifattoriali, cioè malattie che dipendono sia da fattori ambientali, come lo stile di vita, le malattie pregresse, il sesso, l’età, ecc., che da fattori genetici. Anche la malattia da Covid-19 è una malattia multifattoriale. Quindi ci è bastato applicare a questo nuovo studio su questa nuova patologia le conoscenze acquisite negli anni sulle malattie fattoriali: avevamo intuito che c’era una predisposizione genetica ad ammalarsi in modo grave se colpiti dal Covid-19. Gli studi ce l’hanno confermato. L’intuizione risale ad aprile dell’anno scorso quando abbiamo iniziato ad analizzare i primi casi di malati Covid: avevamo notato l’incidenza di alcuni fattori genetici sullo sviluppo di forme gravi della malattia, intuizione che abbiamo poi approfondito nell’ambito di questa collaborazione internazionale con il consorzio 'Covid-19 Host Genetics Initiative’. Da qualche settimana abbiamo iniziato anche un altro studio, questa volta sugli asintomatici. La domanda che ci siamo posti è: “Quali sono i fattori genetici che rendono una persona protetta dalla forma grave della malattia da Covid-19?". Speriamo che il nostro studio ci dia una risposta anche questa volta".

Che relazione c’è tre le mutazioni genetiche che predispongono allo sviluppo di forme gravi della malattia e le varianti del virus ad oggi individuate?

"E’ molto difficile dirlo, per scoprirlo dovremmo stratificare i pazienti, cioè prendere tutti quei soggetti infettanti da una certa variante del virus e osservare le associazioni con le varianti genetiche dell’ospite (uomo). Lo studio è molto interessante ma necessita di molto più tempo: avremmo bisogno innanzitutto di sapere quale variante ha infettato il soggetto, e ad oggi su questo si sa ancora poco perché non vengono sequenziati i virus di tutte le persone infette".

Lo studio apre la strada alla sperimentazione di nuovi test genetici che saranno in grado di prevedere se la malattia avrà un decorso grave?

"Sì, il nostro studio, come anche altri a livello internazionale, getta le basi per la sperimentazione di test genetici che potranno essere in grado di predire quali sono quei soggetti a rischio di sviluppare una forma grave della malattia da Covid-19. Il risultato della nostra ricerca getta le basi per generare un valore predittivo genetico che ci potrà consentire di prevenire lo sviluppo di sintomatologie più gravi del Covid".

Quindi lo studio apre la strada anche alla sperimentazione di nuove terapie?

"Sì perché questi studi oltre ad avere individuato i fattori genetici di rischio, hanno individuato, come ho detto prima, anche i geni chiave della malattia. I due geni trovati più frequentemente mutati nel gruppo dei pazienti che hanno sviluppato una forma grave della malattia potrebbero essere potenziali bersagli terapeutici, elementi su cui concentrarsi per sviluppare nuove terapie. I ricercatori possono sicuramente prendere spunto da questa ricerca per trovare nuove cure". 

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