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Giovedì, 28 Marzo 2024
Fenomeno globale

L'onda lunga del Covid: abbiamo tutti la "pandemic fatigue"

Proprio come il virus non conosce barriere. A due anni dall'esplosione della pandemia ecco cosa succede. Una stanchezza nuova, diversa, con cui fare i conti. Cosa è, quanto è normale, come si reagisce

Siamo stanchi. Stanchi di sentirci costantemente in pericolo, stanchi dei divieti, stanchi di fare i conti con un'emergenza che sembra non finire, stanchi delle regole che cambiano e ricambiano, stanchi di stare in casa, stanchi di una socialità dimezzata (e allo stesso tempo delle convivenze spesso forzate tra le mura domestiche) stanchi del bombardamento mediatico su malattie e ospedali, cure e prescrizioni. Che si viva in Italia, in America, in Cina la storia non cambia. Si chiama "pandemic fatigue" (altra storia è il "long Covid" che riguarda più i problemi di carattere fisico lasciati dalla malattia). Anche lei, proprio come il virus, non conosce barriere. E a conti fatti, anche la politica sembra viverla. Tra ragioni economiche e la consapevolezza che limiti troppo rigidi non sono gestibili nel lungo termine neppure da un punto di vista sociale, ecco che le prescrizioni si ammorbidiscono anche quando i dati magari avrebbero suggerito un po' più di cautela.

Cosa è la "pandemic fatigue" 

L'Organizzazione mondiale della sanità definisce la "pandemic fatigue" come uno stato di "demotivazione a seguire i comportamenti protettivi raccomandati, che emergono gradualmente nel tempo e sono influenzati da una serie di emozioni, esperienze e percezioni". Inaspettata? No. La fatica pandemica è una risposta "prevista e naturale" a una crisi di salute pubblica prolungata, anche perché la gravità e la portata dell'emergenza Covid hanno richiesto l'attuazione di misure invasive con impatti che vengono definiti "senza precedenti sulla vita quotidiana di tutti, compresi coloro che hanno non è stato direttamente colpito dal virus stesso".  

Perché la fatica pandemica riguarda tutti

La fatica può riguardare tutti, non conosce barriere fisiche. Intanto c'è un effetto "adattamento": la minaccia percepita del virus può diminuire man mano che le persone si abituano alla sua esistenza. Basti pensare a quanto era "strano" all'inizio della pandemia vedere operatori sanitari con le protezioni totali e a quanto sia normale oggi. E questo anche se i dati epidemiologici mostrano che il rischio potrebbe, di fatto, essere in aumento. Allo stesso tempo, il senso di perdita percepito che nasce dalle restrizioni aumenta nel tempo. Questo significa che molti percepiscono più il "danno" delle perdite rispetto al guadagno dell'evitare il virus. C'è poi l'innato desiderio di autodeterminazione e di libertà, che può crescere man mano che continuano le restrizioni.

Il Covid cambia i nostri ragazzi

Il luogo comune dell'"adolescenza periodo difficile" si ingigantisce se pensiamo a cosa significa essere adolescente in pandemia. La scuola? Stravolta. La socializzazione extra scolastica? Stravolta. La vita familiare? Stravolta. Oltre al dovere fare i conti col concetto di malattia e perdita. L'incidenza di depressione e ansia fra adolescenti è raddoppiata rispetto a prima della pandemia. Uno studio pubblicato su JAMA Pediatrics, che ha incluso altri 29 studi condotti su oltre 80.000 giovani, ha dimostrato che oggi un adolescente su 4, in Italia e nel mondo, ha i sintomi clinici di depressione e uno su 5 segni di un disturbo d'ansia. La probabilità di disturbi mentali è particolarmente alta fra i ragazzi più grandi che più dei bambini, spiegano gli psichiatri, hanno risentito delle restrizioni che non hanno consentito di vivere in serenità e assieme ai coetanei momenti fondamentali della crescita, dalle prime relazioni all'esame di maturità.

Tutto questo è confermato anche da un secondo studio, su 1500 bambini e adolescenti, pubblicato sul Journal of the American Academy of Child and Adolescent Psychiatry. Una situazione che potrà purtroppo avere conseguenze negative sul lungo periodo: è stato dimostrato che soffrire di depressione durante l'infanzia e l'adolescenza si associa da adulti a una salute peggiore, mentale e non solo, e a maggiori difficoltà nelle relazioni e nella vita in generale. 

"Ragazzi interrotti"

"C’è un’altra forma di 'pandemic fatigue': l’affaticamento emotivo. E a soffrirne maggiormente sono le giovani generazioni. Sono loro che accusano di più il colpo del repentino cambiamento nelle vite di ciascuno di noi", spiega Rosaria Valsavoia, psicologa, psicopedagogista presso l’Osservatorio contro la dispersione scolastica – Usr Sicilia. "Improvvisamente, senza la possibilità di avere un tempo fisico e mentale utile a un riadattamento, ci è stato chiesto di modificare la nostra quotidianità, di sospendere la nostra progettualità e di confrontarci ogni giorno con l’idea di malattia e morte. La situazione d’emergenza acuta - aggiunge - ha messo a dura prova la nostra resilienza, ma se ad una prima fase abbiamo saputo comunque rispondere conservando la speranza di una via d’uscita definitiva (Andrà tutto bene!) a costo di un sacrificio seppur enorme, ancor più duro è stato prendere progressivamente consapevolezza del cronicizzarsi della condizione di precarietà e incertezza tuttora in corso. Ma che ripercussione ha sulla mente e sulla sfera emozionale, soprattutto dei più giovani, il confronto quotidiano con la malattia e la morte? Che impatto può avere il distanziamento fisico protratto, l’idea dell’Altro come untore, come pericolo? In che modo si è modificata la rappresentazione mentale ed emotiva dentro ciascuno di noi di un volto i cui tratti per lo più sono coperti dalla mascherina?".

"'Non so cosa mi accade', 'sento come se qualcosa mi si fosse spenta dentro', 'il lockdown mi ha distrutto', 'la dad mi ha devastato'. Demotivati, tristi, colti da una surreale apatia, questi sono molti dei giovani che incontro quotidianamente nella mia attività nelle scuole. Quando ho la fortuna di incontrarli. Di alcuni di loro - racconta l'esperta - si sono perse le tracce, sono in dispersione scolastica, hanno difficoltà a frequentare e nei casi più gravi abbandonano il percorso di studi. Osserviamo un disinvestimento affettivo nei riguardi di ciò che prima produceva loro piacere: non escono, non vedono amici, non coltivano passioni. 'A causa del lockdown mia figlia ha interrotto gli allenamenti. Era campionessa regionale di danza moderna. Adesso non vuole più riprendere, non riesce più neanche ad andare a scuola', questo il racconto di una madre. Nessuno di loro riesce a spiegare cosa accade, perché si sentono 'così'. Chiusi nel loro universo interno, tendenti a un drastico ritiro sociale, sembrano non riuscire più a provare nulla. A sentire nulla. E ascolti il loro silenzio che parla di perdita della speranza, della fiducia, della progettualità".

Secondo Valsavoia "L’impulso di morte sembra in loro prevalere rispetto all’impulso di vita. Come in delle sabbie mobili, alcuni dei nostri ragazzi sono rimasti imprigionati nella loro cameretta, lontani dal mondo esterno, che al limite qualcuno di loro abita attraverso i social. Del resto come abbiamo potuto dire ad un adolescente, che per natura è impegnato nel compito evolutivo di esplorare fuori dall’orizzonte familiare altre modalità d’essere, di rimanere ancorato a casa, tra le mura della sua stanza lontano da quel mondo di cui, come le sirene di Ulisse, sente fortissimo il richiamo? E così alcuni di loro, forse i più fragili in partenza o forse no, in quella stanza, anche quando è stato consentito loro di aprire la porta, ci sono rimasti, privi di un progetto, di una spinta pulsionale, di un’emozione che per l’appunto muove verso qualcuno o qualcosa. E poi c’è la questione fisicità. L’atto di crescere è per l’adolescente legato al corpo, lo stessocorpo che è scomparso dalle relazioni, sempre più mediate da uno schermo, sempre meno fisicamente investito. E quel volto in cui ci si rispecchia, in cui si cercano inconsapevolmente i segnali di un’approvazione, di un assenso e di un’accettazione, in altre parole il riconoscimento di esistere, quel volto si è ridotto a due occhi. Importanti sì, ma deprivati di un sorriso, di una smorfia, di un cenno di conferma. Di consenso d’essere. Non sorprende quindi che mentre i nostri ragazzi non hanno imparato chi sono (in relazione all’Altro), l’Altro possa pure far paura, possa ai loro occhi apparire come una sfinge da cui rifuggire. Eccoli dunque i nostri ragazzi interrotti. Mentalmente affaticati, psicologicamente sfiniti. Tanto da non riuscire ad avere una progettualità, un orizzonte cui mirare, un percorso da seguire".

La strada per Valsavoia è "Ascoltarli intanto, vederli e riconoscerli, così come sono. Accompagnarli dentro una nuova trama narrativa in cui, così come dopo un trauma (e la pandemia lo è stata a tutti gli effetti), si cerca di risignificare gli eventi e se stessi, di ricollegarsi all’interno di un tempo che dopo una drammatica rottura ricomincia a scorrere e in cui si ricomincia a vivere. Chi può farlo, dicevamo. L’adulto. A casa, a scuola, per strada. Chiunque ha il compito di raccogliere sguardi perduti e sorrisi mancati, restituendo loro quella speranza che è spinta al domani e quella fiducia in sé stessi e negli altri che è motore di legami, amori e passioni".

Cosa fare

Per l'Oms un problema complesso richiede un intervento altrettanto complesso. Si deve agire sul supporto del singolo, con strategie a livello pubblico. Il documento propone quattro linee guida che i governi degli Stati europei possono utilizzare per mantenere e rinvigorire il sostegno e l’adesione delle popolazioni ai comportamenti raccomandati.

  • Conoscere e comprendere le persone - Conoscere coloro che stanno sperimentando la demotivazione comprendendo le barriere e i fattori che influiscono sulla loro capacità o la volontà di assumere comportamenti protettivi.
  • Coinvolgere le persone rendendole parte della soluzione - L‘impegno richiesto alle persone dovrebbe essere presentato in modo positivo, non come sottomissione all'autorità, evidenziando il ruolo che i singoli possono assumere per il benessere dell’intera comunità. Promuovere l’auto-efficacia, il senso di appartenenza.
  • Permettere alle persone di vivere le proprie vite, riducendo però i rischi - Consentire alle persone di adottare nuovamente comportamenti che in precedenza erano stati vietati, ma in modo più sicuro, riducendone i rischi. Il messaggio quindi si trasforma: da “non fare” a “fare in modo differente”.
  • Riconoscere e affrontare le esperienze di disagio delle persone - E' necessario offrire sostegno economico, sociale, emotivo e culturale continuo alla popolazione.

La pandemia ha compiuto due anni

All'inizio ci sono state le reazioni "spontanee". L'appuntamento delle 18, da Nord a Sud, sui balconi. Tutti affacciati per intonare una canzone, ognuno per sé ma tutti inseme. Gli striscioni "andrà tutto bene", le iniziative di quartiere. La solidarietà "di vicinato". Poi, davanti a un disagio crescente e multiforme, gli interventi si sono andati strutturando. In quasi tutte le città è stato potenziato il supporto psicologico, per i malati ma anche per i familiari in primis. Le principali aziende ospedaliere hanno introdotto la presenza di psicologi in corsia. L'Inail ha avviato in alcune sedi territoriali il progetto "Oltre la Pandemic Fatigue", per fronteggiare lo stress fisico e psicologico dovuto alla situazione emergenziale che stiamo vivendo. L'Istituto superiore di sanità ha varato delle linee guida per gestire la situazione.

Quanto è lontano "#iorestoacasa"?

Esattamente a gennaio 2020 il Covid faceva il suo ingresso in Italia. Il 9 gennaio una coppia di turisti cinesi n vacanza a Roma e originari dalla provincia di Wuhan avverte sintomi influenzali. Sono positivi a Sars-Cov-2. Il Il 20 febbraio 2020 all’ospedale di Codogno arriva l’esito del tampone di un giovane paziente, Mattia Maestri: positivo. Diventa il “paziente 1”. Due giorni dopo a Vo' Euganeo, in Veneto, la prima vittima. Il 9 marzo 2020 l’Italia intera entra in lockdown. Stop agli spostamenti, scuole chiuse, blocco di ogni manifestazione sportiva, compresi i campionati di calcio."Le nostre abitudini vanno cambiate ora. Dobbiamo rinunciare tutti a qualcosa per il bene dell'Italia, e lo dobbiamo fare subito -  dice l'allora premier Giuseppe Conte - Sto per firmare un provvedimento che potrei definire così: #iorestoacasa".
L'Italia entra in una bolla. Tutto sospeso e congelato. Scattano i divieti. Poi l'alleggerimento graduale. In estate i limiti si allentano, in autunno tornano. Le aree di rischio, i colori. Le polemiche. La sostenibilità economica, i vaccini. La scuola. Tutti temi ancora aperti. Una "fatica pandemica" che influenza anche la politica. Un aspetto di cui è impossibile non tenere conto, con la consapevolezza dell'impossibilità di imporre divieti troppo rigidi e troppo a lungo.

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