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Martedì, 23 Aprile 2024
L'intervista

"Il Covid non ci farà più paura"

Crescono asintomatici e sintomatologie lievi. Merito dei vaccini, che con le terze dosi hanno un'efficacia che supera il 90% nel prevenire sintomatologie severe. E anche se l'efficacia cala nel tempo, quando il virus inizierà a circolare meno per molti di noi la protezione residua, probabilmente, sarà più che sufficiente

Omicron rimane la grande variabile, pronta a rinfocolare una pandemia che speravamo in fase calante. Ma fortunatamente c'è un dato che dovrebbe rassicurarci: i vaccini sembrano reggere. Perdono efficacia col tempo, e per questo è importante procedere con le terze dosi booster appena possibile, per riportare la protezione ai massimi livelli. Ma contro il rischio di sintomatologie importanti, ricoveri, terapie intensive e decessi, continuano a fare il loro lavoro egregiamente: a cinque mesi dalla seconda dose prevengono ancora la malattia severa nell'82,6% dei casi, e con la dose booster la protezione torna a superare il 93%. E anche se è presto per un responso definitivo, i dati che arrivano dall'Inghilterra sembrano suggerire una situazione simile anche nei confronti della nuova variante Omicron. 

Un buon motivo per guardare con ottimismo ai prossimi mesi: se Covid rimane un pericolo per la tenuta del sistema sanitario nazionale (ed è per questo che è presto per abbandonare distanziamento e mascherine), i rischi individuali, specie per le fasce di età più giovani, sono sempre più contenuti. E ci preparano a un mondo in cui probabilmente Sars-Cov-2 si trasformerà in un virus endemico: una presenza costante, che dovremo imparare ad accettare, con responsabilità, ma anche senza troppa paura. 

Pregliasco: "Restrizioni scelta democratica che ha permesso di limitare i rischi"

"In queste settimane abbiamo visto un numero elevato di pazienti positivi a Sars-Cov-2 asintomatici, o con sintomatologie blande, e questo è sicuramente effetto della campagna vaccinale”, ci conferma Fabrizio Pregliasco, virologo dell'Università di Milano. "I dati dell'Istituto Superiore di Sanità ci dicono che a sei mesi dalla seconda dose l'efficacia dei vaccini nel prevenire nuove infezioni cala: da un 80% scende a circa il 30-40%, ma rimane piuttosto elevata nei confronti delle sintomatologie gravi. Al momento, con un'alta circolazione del virus, i dati rendono indispensabili i richiami, che riportano l'efficacia nel prevenire l'infezione in qualunque forma intorno al 75%. In futuro però le cose potrebbero cambiare, e per molte categorie di persone probabilmente ci potremo accontentare della protezione residua offerta da vaccini e infezioni pregresse", sottolinea. 

L'andamento di un'epidemia, spiega Pregliasco, è simile alle increspature che provoca un sasso lanciato in uno stagno: ci sono onde più alte, in cui il volume di contagi è così elevato che i rischi individuali, per quanto ridotti, non sono comunque trascurabili, e onde più lievi, durante le quali le probabilità di contrarre il virus sono limitate, e un basso rischio di complicazioni diventa sempre più accettabile. Fino a quando la malattia diventerà qualcosa con cui convivere: anche se la superficie dell'acqua sarà sempre pronta ad incresparsi al primo alito di vento, con percentuali di vaccinati e guariti abbastanza elevate, non vedremo più ondate epidemiche tali da trasformare il virus in un emergenza sanitaria. A quel punto, Covid sarà simile alle tante malattie che rischiamo di contrarre ogni giorno, senza per questo tapparci in casa o stravolgere le nostre vite.

"Prima o poi raggiungeremo un livello di circolazione di questo virus che dovremo ritenere accettabile – spiega l'esperto – ogni giorno circa sette persone si infettano con l'Hiv, ogni anno l'influenza uccideva migliaia di persone già prima dell'arrivo di Covid 19, ma molti di noi neanche se ne accorgevano. Con i vaccini arriveremo ad una situazione simile: prima o poi probabilmente ci infetteremo tutti con Sars-Cov-2, ma per la stragrande maggioranza di noi si tratterà di una malattia come un'altra". Quanto ci vorrà? Nonostante i due anni trascorsi dall'inizio della pandemia, è ancora presto per dirlo. 

"È la prima volta – riconosce Pregliasco – che si è deciso di gestire un'epidemia di questo tipo con una strategia di mitigazione. Una scelta che altri paesi non hanno fatto: in Cina hanno usato il pugno duro, e per ora la malattia continua a sembrare pressoché eradicata; in India si è lasciato correre il virus, e dopo mesi drammatici ora c'è chi parla già di endemizzazione, con contagi stabilmente in calo ormai da mesi, e mortalità e ospedalizzazioni trascurabili. Noi abbiamo deciso di mitigare gli effetti della pandemia con misure non farmacologiche e vaccini – spiega – una scelta democratica, che ha permesso di limitare per quanto possibile i rischi per i cittadini, ma che ovviamente ha spostato anche in avanti la risoluzione del problema". 

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