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Giovedì, 18 Aprile 2024
Sicurezza alimentare

Larve, colori fasulli e catena del freddo: quello che dovremmo sapere del sushi

Anisakis, istamina, batteri e additivi. Abbiamo analizzato i vari pericoli legati al pesce crudo tipico della ristorazione giapponese (ma non solo) e come evitarli

Anisakis, istamina, salmonella e additivi illegali. Questi i principali pericoli che si annidano nel pesce crudo tipico delle preparazioni di sushi e sashimi, pilastri della tradizione culinaria giapponese divenuti ormai un trend globale. Anche in Italia da diversi anni la diffusione si è ampliata, talvolta però a discapito della qualità. Da metodo di conservazione del pesce e del riso nel Giappone di fine '800, questo insieme di piatti è diventato il simbolo di una ristorazione d'élite negli anni '60 del 1900, passando ai più democratici sushi bar, fino all'esplosione mondiale con il diffondersi degli All you can eat. Mentre le formule della ristorazione sono mutate restano intatti i pericoli legati al consumo di pesce crudo. AgriFood Today ha interpellato alcuni esperti per capire i vari passaggi necessari, dai pescherecci fino alla tavola, per garantire che i consumatori godano in sicurezza di queste pietanze.

Pericoli variegati

"In generale è indispensabile prestare grande attenzione alla catena del freddo e all'igiene", ha riassunto Valentina Tepedino, medico veterinario e fondatrice di EurofishMarket, una società di consulenza con esperienza nel settore ittico. L'abbattimento, che altro non è che un metodo di congelamento a coppie determinate di temperature e tempo, non sempre è efficace per eliminare tutti i rischi. Il congelamento è obbligatorio solo ai fini della prevenzione da infestazioni di parassiti attraverso il consumo di pesce crudo. Non elimina però l'istamina, una molecola che può formarsi per una cattiva gestione di tonni, alici e sardine, né gli additivi aggiunti per migliorare l’aspetto di alcuni prodotti. Neppure uccide eventuali batteri di cui ne rallenta solo la moltiplicazione.

Microrganismi e parassiti

L'Autorità europea sulla sicurezza alimentare (Efsa), pur non avendo valutato nello specifico i rischi associati al consumo di sushi, ha comunque fissato gli standard di sicurezza per il pesce crudo, che può essere contaminato da microrganismi di intossicazione alimentare. "Esempi di questi microrganismi sono Salmonella e Listeria monocytogenes, che possono causare rispettivamente salmonellosi o listeriosi", ha dichiarato Winy Messens, esperta in microbiologia dell'Efsa. Un parere del 2015 dell'Autorità ha esaminato i prodotti della pesca freschi o decongelati non trasformati e i prodotti cotti e refrigerati di crostacei e molluschi. Il documento descrive le attuali procedure previste dalla normativa europea, in base alle quali ad esempio è stabilito che se i prodotti refrigerati e non imballati non sono distribuiti, spediti, preparati o trasformati immediatamente dopo aver raggiunto uno stabilimento a terra devono essere conservati sotto ghiaccio in strutture adeguate. "Dopo la raccolta, il pesce viene eviscerato e posto su o nel ghiaccio, in modo da raggiungere immediatamente una temperatura prossima a quella del ghiaccio fondente", ha spiegato l'esperta, sottolineando che "dopo lo sbarco e lungo tutta la successiva catena di distribuzione, le carcasse vengono tenute su o nel ghiaccio e lontano dall'acqua di fusione mentre sono in scatole per garantire il mantenimento della catena del freddo".

Attenti alle larve

I parassiti vitali del pesce crudo o poco cotto possono determinare nel consumatore anche una reazione allergica o una forma di ipersensibilità. In un parere scientifico del 2010, gli esperti dell'Efsa sui pericoli biologici (Biohaz) ha concluso che "l'unico parassita presente nei prodotti ittici destinati al consumo umano che può causare reazioni allergiche è l'Anisakis, un verme le cui larve possono essere trovate nella carne dei pesci". Le reazioni allergiche all'Anisakis comprendono gastroenterite, sintomi reumatologici e dermatologici. Il documento parla chiaro: tutti i pesci d'acqua dolce e di mare catturati in natura possono contenere queste larve, stesso discorso per i pesci selvatici, per i quali nessuna zona di pesca marina può essere considerata esente da larve.

Criteri per l'allevamento

Una vasta parte del pesce utilizzato nelle preparazioni di sushi/sashimi proviene in realtà da allevamenti. In particolare si tratta di salmone norvegese. "Stimiamo che circa il 30% di tutto il salmone importato in Italia finisca nella ristorazione. Si tratta di circa 42.000 tonnellate", ha dichiarato ad AgriFoodToday il Norwegian Food Council, precisando: "Purtroppo non disponiamo di ulteriori informazioni, ma negli ultimi due anni abbiamo assistito a uno sviluppo molto positivo del segmento del sushi e del Poke, per cui possiamo affermare che è in crescita". Proprio per il salmone atlantico l'Unione europea ha decretato una deroga specifica, sempre dietro parere dell'Efsa: lo si può servire crudo senza abbattimento se allevato in gabbie galleggianti o vasche a terra e alimentato con mangimi composti, che difficilmente contengono parassiti vivi, perché "il rischio di infezione da anisakidi larvali è trascurabile, a meno che non si verifichino cambiamenti nelle pratiche di allevamento", si legge nel documento.

A questo proposito, il Norwegian Food Council ha precisato che il salmone norvegese viene allevato in gabbie a rete aperte in mare e che esistono severi requisiti igienici nei processi di macellazione e lavorazione. "Il motivo principale per cui il salmone norvegese può essere consumato crudo, anche senza congelamento, è che il mangime del salmone è stato sottoposto a un trattamento termico che uccide eventuali parassiti del pesce". Il settore dell'acquacoltura attende però una deroga anche per altre tipologie di allevamenti, caratteristici del nostro Paese, come quelli di orata e branzino, affinché anche i filetti di queste specie possano essere somministrati crudi senza previo abbattimento obbligatorio. "Gli allevamenti di altre specie e di altri Paesi europei, Italia compresa, si sono mossi per ottenere la stessa deroga realizzando un importante studio in merito”, ha ricordato Tepedino.

Temperature micidiali

Per uccidere o inattivare le larve di Anisakis, così come di altri parassiti, gli esperti dell'Autorità con sede a Parma attestano che sono necessari trattamenti che forniscono un livello di protezione equivalente al congelamento, cioè -20ºC per almeno 24 ore, oppure -35ºC per almeno 15 ore o, nei congelatori domestici, a -18°C per almeno 96 ore. In alternativa c'è il trattamento termico: una cottura oltre 60ºC per almeno 1 minuto a cuore del prodotto. Come precisa l'Autorità per la sicurezza alimentare dell'Irlanda (Food safety authority Ireland), il calcolo delle ore si avvia una volta che la temperatura del cuore del pesce raggiunge la temperatura target di -20°C o - 35°C. Molti metodi tradizionali di marinatura e affumicatura a freddo, precisano gli scienziati, non sono sufficienti a uccidere le larve di Anisakis. Nonostante le precauzioni imposte a livello normativo ogni anno si registrano nel nostro Paese alcune decine di casi di infezione di questo tipo.

Rischi specifici del tonno

Una problematica specifica di alcune specie ittiche è l'istamina, cioè una sostanza che si potrebbe formare per la degradazione di una molecola tipica di tonni, sia rossi che a pinna gialla, come pure del tonno obeso, della palamita, degli sgombri e di altri pesci simili, se gestiti in modo non corretto. Per prevenirne la formazione è fondamentale garantire la catena del freddo ossia mantenere questi prodotti dalla pesca in poi a temperatura di refrigerazione. "I casi di allergia da istamina, conosciuti anche come sindrome sgombroide, si verificano prevalentemente nelle stagioni calde, di solito perché il produttore non ha mantenuto il prodotto alla giusta temperatura del freddo", ha dichiarato Tepedino, precisando come anche il consumatore o il ristoratore possono a volte gestire male il prodotto dopo l’acquisto. "Se trasporto o lascio un trancio di tonno, seppure freschissimo, per mezz'ora in auto a 30 gradi o in cucina a temperatura ambiente c'è il rischio l'istamina si formi in quel lasso di tempo", ha precisato la veterinaria. Ogni anno anche in Italia sono diversi i casi di allergia più o meno grave in base alla sensibilità dell’individuo, alla quantità ingerita ed altri fattori specifici, come ha spiegato l'esperta, sottolineando che si va dall'allergia a difficoltà di respirazione fino anche alla morte nei casi più gravi e in mancanza di un antistaminico.

Tranci illegali

Sottoposto a restrizioni sulle quantità e aree di cattura, il tonno rosso, seppur pescato nel Mediterraneo è destinato principalmente a mercati esteri, in particolare al Giappone. In tal caso i rischi maggiori di istamina sono connessi alle catture illegali. "Al caldo, soprattutto d'estate, dovendo essere nascosto in caso di eventuali controlli il prodotto di frodo può aiutare a far crescere di molto le molecole di istamina, che può provocare una serie di danni all'organismo a seconda della sensibilità della persona", ha spiegato Tepedino. Meglio quindi acquistare il tonno e le specie più a rischio dal pescivendolo di fiducia e sempre se presentato su ghiaccio con l’etichetta con tutte le informazioni di legge. "C'è da ricordare che questa sostanza purtroppo è termostabile e dunque anche con la cottura, una volta che si è formata, non va più via", ha messo in guardia l'esperta.

Colori fasulli

Altri problemi sorgono al livello della grande distribuzione, a causa di possibili trattamenti illegali con additivi utili solo a fare ottenere o mantenere ai prodotti un colore più accattivante. Gli acquirenti tendono ad associare il tonno rosso o il salmone ad un determinato colore, ma quando viene preparata per esempio una tartare di tonno, questa assume presto un colore più scuro. Solo un pesce trattato a temperature di congelamento bassissime può preservare più a lungo un colore rosso vivo. "Il mercato ci ha abituati ad esempio che i tranci di tonno, qualsiasi specie sia, debbano essere sempre rosso vivo", ha spiegato Tepedino, precisando che questo sarebbe impossibile poiché è naturale che la carne rossa fresca a contatto con l’ossigeno tenda ad ossidarsi, assumendo una colorazione rosso mattone, quasi marrone. "Spesso l’industria ricorre dunque all’utilizzo di additivi non ammessi che aiutano a mantenere la colorazione rossa", ha dichiarato l'esperta, evidenziando che "purtroppo a volte questi additivi possono anche comportare rischi per la salute, come avvenuto di recente per un abuso di nitriti e nitrati in alcuni filoni di tonni che hanno portato al ricovero d’urgenza di circa 7 persone, per fortuna poi uscite indenni".

Ipotesi legalizzazione

In tutti i casi si tratta comunque di una frode commerciale. La veterinaria ritiene sarebbe forse a questo punto più opportuno legalizzare gli additivi privi di conseguenze, di modo tale che possano essere dichiarati in modo chiaro in etichetta e dunque essere facilmente individuati dall'acquirente, consumatore o ristoratore, anziché restare in questa sorta di "ipocrisia legalizzata". I distributori che acquistano all’ingrosso, secondo l'esperta, dovrebbero sospettare di un trancio di tonno 'naturale' confezionato sotto i 20 euro al chilo, mentre il consumatore non può rendersi conto del trattamento eventuale in base al prezzo perché non è possibile valutare il ricarico del distributore.

Coppie temperatura/tempo

Una volta che i tranci di pesce arrivano arrivano nel ristorante di sushi le strade sono due. Se è stato acquistato un prodotto congelato, il ristoratore è tenuto a verificare dal fornitore la prova che il pesce è stato congelato in tutte le parti del prodotto, dovendolo rifiutare in caso di mancata certificazione. Ove questa risulti corretta, può decongelarlo e somministrarlo crudo, ma dichiarandone lo stato 'decongelato', di solito attraverso un asterisco sul menu. Chi voglia invece acquistare il prodotto fresco è tenuto a congelarlo lui stesso, rispettando sempre la specifica tabella temperatura/tempo. I differenti modi di trattare il congelamento incidono sia a livello di costi che di qualità. "Il congelamento ultra-rapido a -60°C o -90°C consente di ottenere un prodotto che possiamo considerare più fresco del fresco, preservandone la qualità e avendo al tempo stesso eliminato il pericolo dei parassiti e costa chiaramente di più al ristoratore", ha messo in evidenza Tepedino.

Asterischi

Oggi sia per i prodotti congelati che quelli acquistati freschi e poi abbattuti deve essere riportato l’asterisco sul menu. Una pratica che quindi non permette di distinguere le differenze di trattamento. L'esperta ha notato che negli All you can eat la tendenza è quella di acquistare un prodotto già congelato e poi somministrato crudo. Solo i ristoranti di alta gamma si assumono quindi l'onere di abbattere il prodotto, visti i costi necessari per i macchinari. "Qualcuno dichiara ancora di utilizzare il fresco e ci tiene a dirlo, ma forse è una tendenza un po' superata. Prima i ristoratori temevano di indicare il prodotto congelato perché veniva considerato un prodotto più scarso, oggi invece c'è meno prevenzione rispetto a questo processo e anzi trasmette maggiore sicurezza", mette in luce Tepedino.

Contaminazioni con altri cibi

Anche dopo l'abbattimento bisogna però continuare a rispettare la catena del freddo. Gli alimenti refrigerati devono essere mantenuti a una temperatura sotto i 4°C, mentre quelli congelati devono essere conservati a una temperatura pari o inferiore a -18°C. Come evidenziato dall'ente irlandese, una volta preparato è importante che il sushi/sashimi venga tenuto separato da altri cibi (ad esempio carne cruda), per evitare che i batteri di questi ultimi provochino una cosiddetta 'contaminazione crociata'. Per farlo si suggerisce di conservare i prodotti sushi/sashimi in scomparti separati del frigorifero. È consigliabile inoltre apporre un'etichetta con la data di conservazione e la data di scadenza, così come su quelli congelati apporre la "data di congelamento". Una parte fondamentale riguarda lo scongelamento, che deve avvenire in un frigorifero ad una temperature tra 0 e 4°C, preferibilmente durante la notte. L'ente irlandese precisa di non scongelare i prodotti della pesca sotto l'acqua corrente o a bagnomaria, né di farlo a temperatura ambiente. Si tratta di errori molto comuni che possiamo commettere anche in casa. Vietato inoltre ricongelare i prodotti della pesca precedentemente scongelati o congelare il pesce al termine della sua durata di conservazione.

Questione di igiene

Alcuni rischi del crudo derivano dai batteri, nel corso della manipolazione necessaria a preparare i piatti. Per il sushi/sashimi il consiglio è di prepararlo in un'area separata della cucina. Vanno inoltre adoperati coltelli e taglieri esclusivi per il pesce crudo. Quando si prepara il sushi per una conservazione a lungo termine (ad esempio 2 giorni), va preparato con ingredienti freddi: non bisogna mescolare riso caldo con pesce freddo a meno che il cibo non sia destinato ad essere servito immediatamente al cliente. "Il crudo di pesce viene maneggiato molto a mano e da questo passaggio possono essere trasmessi batteri che provocano diarrea, vomito e altri sintomi più o meno gravi. È quindi essenziale un alto livello di igiene perché manca la cottura che di norma permette di uccidere tali batteri", ha precisato Tepedino, sottolineando che i cuochi devono usare guanti o lavare spesso le mani per evitare contaminazioni. Al ristorante una buona pratica è quella di osservare le cucine, che di solito sono a vista, per verificare le condizioni della preparazione. "Un posto di lavoro ordinato aiuta ad evitare contaminazioni e di solito è indice di cura e igiene, inoltre se la vetrinetta dove sono esposti i filetti di pesce è fredda significa che si stanno rispettando le basse temperature anche nel corso della preparazione dei piatti", ha evidenziato l'esperta.

Come trattare il riso

Oltre al pesce crudo, una fonte meno nota di potenziali infezioni è l'altro ingrediente del sushi: il riso. Questo risulta pericoloso quando viene sottoposto ad "abusi termici", cioè quando non viene raffreddato rapidamente e mantenuto a temperature superiori a quelle di refrigerazione (4°C) per lunghi periodi di tempo. In tal caso è associato a malattie di origine alimentare, tra cui il batterio Bacillus cereus. Gli operatori della ristorazione per prevenire infezioni di questo tipo hanno due opzioni. Far raffreddare il riso a 5°C o meno entro 2 ore dalla cottura. In alternativa il riso va acidificato ad un pH 4,6 o inferiore aggiungendo una soluzione con una determinata proporzione di aceto di riso, sale e zucchero per poterlo conservare a temperatura ambiente fino a 4 ore dalla cottura.

L'asporto

Il sushi è anche uno dei piatti preferiti per l'asporto, sia consegnato a casa che acquistato in negozio. La sicurezza in tal caso dipende da tre elementi: le pratiche di sicurezza alimentare del rivenditore, per quanto tempo viene esposto il sushi e cosa ne fa dopo il consumatore. Il sushi in vendita in Italia deve essere esposto in vetrinette refrigerate, onde evitare la crescita dei batteri. Secondo Julia Clark, dietologa presso la Food safety authority della Nuova Zelanda, per l'asporto i consigli sono i seguenti. In primo luogo verificare che i negozi espongano il sushi in un'unità refrigerata (2-4°C), in secondo luogo è preferibile comprare nei punti vendita che lo preparano davanti al consumatore. Inoltre meglio acquistare il sushi al mattino presto e conservarlo nel frigorifero a casa o al lavoro per mangiarlo a pranzo/cena il giorno stesso o al massimo quello successivo.

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