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Giovedì, 28 Marzo 2024
La svolta nella cura

Curare il Covid a casa (e precocemente): a che punto siamo con gli anticorpi monoclonali

Se somministrati all'insorgere dei primi sintomi permetterebbero di tenere sotto controllo l'infezione da Coronavirus e di evitare la forma più grave

I dati mostrano che i monoclonali permettono di evitare la forma più grave di Covid in soggetti a rischio, ma devono essere utilizzati in maniera più tempestiva di quanto ora non si faccia, all'insorgere dei primi sintomi. A spiegarlo sono stati gli esperti intervenuti al webinar "Anticorpi monoclonali", che ha fatto il punto sull'uso di questi farmaci oggi autorizzati per pazienti fragili con forme non gravi di Covid entro 10 giorni dall'esordio dei sintomi.

Ad oggi, "i criteri di utilizzo sono troppo restrittivi e generano numeri risibili, perché non arriviamo a 3.000 pazienti trattati in Italia", secondo Francesco Menichetti, direttore di Malattie infettive presso l'Azienda ospedaliera Universitaria Pisana. Inoltre, ha aggiunto "i 10 giorni previsti sono troppi", perché "la tempestività è un requisito determinante nell'efficacia. Se non si riescono a intercettare i pazienti subito si rischia di vanificare lo sforzo". "Dobbiamo giocarcela nei primi 5 giorni della malattia. I farmaci ci sono - ha precisato Giovanni Di Perri, direttore Cinica malattie infettive dell'Università di Torino - il problema maggiore è quello del reclutamento dei malati, ovvero individuare i destinatari e inviarli dove vengono somministrati".

Un'adeguata continuità tra medicina del territorio e ospedale è "il requisito indispensabile per garantire la precocità della terapia che, altrimenti, perde la sua potenziale efficacia", ha ricordato Claudio Cricelli, presidente della Società Italiana Medicina Generale (Simg). Sull'uso di questi farmaci, per Carlo Centemeri, farmacologo Università di Milano, abbiamo "numeri di utilizzo ridicoli rispetto agli oltre 120.000 morti". Per aumentarli "è necessario promuovere formazione tra i medici su come individuare precocemente i pazienti a cui vanno somministrati, perché in molti casi si aspetta troppo". Come mostrano i registri di monitoraggio, ha concluso Antonio Gaudioso, presidente Cittadinanzattiva, "ci sono enormi differenze nell'uso dei monoclonali tra le varie realtà del paese e anche all'interno della stessa area. È un problema che va con urgenza superato".

Anticorpi monoclonali contro il Covid, a che punto siamo

Gli anticorpi monoclonali non sono stati ancora completamente studiati e non hanno ricevuto l'approvazione definitiva dell'Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ma da vari paesi esiste un parere scientifico positivo all'uso.  Sono stati oggetto di autorizzazione temporanea AIFA l'anticorpo monoclonale bamlanivimab e l'associazione di anticorpi monoclonali bamlanivimab-etesevimab, prodotti dall'azienda farmaceutica Eli Lilly, nonché l'associazione di anticorpi monoclonali casirivimab-imdevimab dell'azienda farmaceutica Regeneron/Roche.

Attualmente le linee guida e i trial in corso sdoganano l'impiego dei medesimi più come profilassi che come terapia nei pazienti con malattia grave e conclamata. Così come gli antivirali, gli anticorpi monoclonali sono indicati in pazienti positivi entro 10 giorni dall'esordio dei sintomi e non in pazienti che necessitano di elevati volumi di ossigeno.

Se in Liguria l'impiego degli anticorpi monoclonali sta procedendo a passo spedito grazie alla collaborazione tra ospedale e territorio, dalla Toscana la notizia è quella che entro luglio potrebbero essere messi a disposizione anticorpi monoclonali più potenti e potranno evitare ai pazienti Covid positivi di essere curati in ospedale.

''Gli anticorpi monoclonali se somministrati all'insorgere dei primi sintomi, meglio se entro i primi 4-5 giorni permettono di tenere sotto controllo il decorso della malattia e di evitare la forma più grave. Occorre che si intraprendano ovunque protocolli di collaborazione tra ospedale e territorio per consentire il loro utilizzo nelle prime fasi dell'infezione'', ha detto Matteo Bassetti, Presidente SITA e Direttore UO Clinica Malattie Infettive Ospedale Policlinico ''San Martino'', Genova.

 Altro ospedale capostipite nell'uso dei monoclonali è l'ospedale Parini di Aosta, tra i primi centri in Italia ad avviare la somministrazione. Su 119 pazienti trattati (57 femmine e 62 maschi, in condizione di fragilità e di elevata vulnerabilità dovute a determinate patologie), 9 hanno avuto necessità di ricovero mentre tutti gli altri sono stati seguiti a domicilio, dopo l'infusione. Ad oggi tra i pazienti trattati non si è registrato alcun decesso. Il tasso di ricovero e di complicanze da COVID 19 in questa popolazione a rischio è stato molto inferiore rispetto a quello atteso che si sarebbe verificato senza terapia. 

"Abbiamo avviato le somministrazioni alla fine di marzo e in questi due mesi tutti i pazienti in trattamento, tra cui soggetti immunodepressi, con diabete complesso, nefropatici e trapiantati, dializzati hanno risposto in maniera positiva alla terapia e abbiamo registrato sintomi avversi in pochissimi casi, non gravi", spiega la responsabile della struttura di Malattie Infettive, Silvia Magnani. "Proseguiamo con le infusioni contando di poter mantenere il numero dei pazienti, - spiega Magnani - anche grazie alle consegne di farmaco programmate e a quelle già ricevute".  

Fiducioso per un aumento delle terapie domiciliari contro il Covie è  Stefano De Lillo, vicepresidente dell'Ordine dei medici di Roma: "L'aggiornamento del protocollo del ministero della Salute per le cure domiciliarie porterà a una riduzione dei ricoveri e dei casi più gravi. Poter affrontare i casi precocemente, non lasciando i pazienti solamente con gli antipiretici, accompagnandoli invece alla possibilità di effettuare la terapia con i monoclonali, condurrà a un impatto importante sul quadro clinico degli ammalati Covid".

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