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Mercoledì, 17 Aprile 2024
L'intervista

L'allarme di Bassetti: "La Candida auris in Italia è un problema serio"

Cosa ha favorito la diffusione del fungo killer nel nostro Paese, e come possiamo intervenire per sconfiggerlo

La Candida auris è un autentico incubo per medici e pazienti. È infatti di un fungo patogeno che si diffonde con estrema facilità in ambiente ospedaliero. Capace di produrre gravi infezioni sistemiche in pazienti fragili e debilitati, e che spesso – come capita per i superbatteri – risulta resistente alle prime linee di trattamento. Abbiamo chiesto a Matteo Bassetti, tra i ricercatori italiani più attivi nello studio della Candida auris, di raccontarci com’è la situazione in Italia, cosa rischiano i pazienti, e cosa si dovrebbe fare per limitare la circolazione di questo agente patogeno. 

Professore, in America i casi di Candida auris sono triplicati negli anni di pandemia. Qui da noi come siamo messi? 

"Il caso annunciato a Pisa negli scorsi giorni non è né il primo in Italia, né il primo nel 2023. Abbiamo avuto numerosissime colonizzazioni e infezioni negli scorsi anni e continuiamo ad averne continuamente. In un lavoro recente con il mio team abbiamo descritto la situazione epidemiologica nel nostro ospedale: 157 pazienti colonizzati da Candida auris, di cui il 60% con il Covid, e 27 pazienti che hanno sviluppato una candidemia, cioè un'infezione profonda. Numeri abbastanza importanti che sono rappresentativi di quello che si riscontra anche nel resto del nostro territorio. Infatti l’altro giorno mi chiedevo: ma perché devono essere gli americani che vengono a dirci che la candida auris è un problema? l'Italia in questo momento è sicuramente uno dei paesi a livello mondiale in cui la Candida auris è più diffusa, e basta guardare le pubblicazioni dei gruppi di ricerca italiani per rendersene conto."

Fino a pochi anni fa non avevamo neanche mai sentito parlare di Candida auris. Come ha fatto a diventare così problematica, così in fretta?

"I primi casi italiani sono del 2019, e purtroppo sono sbarcati in un paese che subito dopo si è trovato ad affrontare la pandemia, che ha prodotto una moltiplicazione impressionante dei contagi. Questo è che è un fungo che sta sulla pelle dei pazienti, li colonizza e purtroppo ha la capacità di passare da un paziente all'altro anche attraverso le mani degli operatori, le superfici e i dispositivi medici contaminati. È una tipica infezione ospedaliera, e con il Covid le terapie intensive si sono riempite di pazienti, rendendo difficile mantenere la separazione tra un malato e un altro. Soprattutto in una fase molto iniziale, in cui gli operatori sanitari avevano meno attenzione alla protezione del malato e c'era molto personale giovane, e quindi più inesperto, sono stati probabilmente medici e infermieri a fare da moltiplicatore per l’infezione. 

Questo, unito a una densità inedita di pazienti nei reparti hanno fatto sì che le infezioni da candida siano diventate molto frequenti. Da noi infatti il momento peggiore per la Candida auris è stato il 2021, quindi è come se il 2020 avesse fatto da moltiplicatore. Poi nel 2022 hanno iniziato un po' a scendere, e adesso stiamo iniziando a recuperare, perché c’è un forte impegno da parte dei medici, in tutta Italia, a contenere questo fenomeno, con protocolli che speriamo permetteranno di riportare la situazione sotto controllo in tempi relativamente brevi."

Cosa rende tanto grave questo fungo?

"Dobbiamo chiarire che non è un pericolo per le persone sane, o al di fuori dagli ospedali. Normalmente è presente sulla pelle e non provoca sintomi particolari. Ma ha la capacità di colpire le persone più fragili. Hai un tubo in gola perché di devo ventilare in rianimazione? Un catetere venoso centrale , o un catetere vescicale? Sei fermo in un letto di ospedale, e quindi la tua mobilità è minore? In tutti questi casi, il fungo ti raggiunge più facilmente e può trasformarsi in un’infezione sistemica: in una percentuale, fortunatamente inferiore al 15%, raggiunge il sangue e provoca setticemia, per la quale la mortalità arriva ad avere dati impressionanti, fino 40-50%. 

Come nel caso dei superbatteri, a rendere pericolosa la Candida auris è un’alta percentuale di resistenza alle terapie: nella nostra esperienza a Genova il 100% delle candide auris che abbiamo incontrato si sono rivelate resistenti al fluconazolo, il farmaco standard con cui si cura la Candida albicans. La prima linea di difesa quindi non funziona praticamente mai. E molto spesso il fungo risulta resistente anche a un'altra classe di farmaci antifungini che si chiamano echinocandine, e ovviamente questo aumenta la mortalità dei pazienti, perché per curarli devi usare farmaci ancora più aggressivi, come l'amfotericina B, che spesso hanno importanti tossicità, e quindi il paziente magari guarisce, ma poi ha problemi di insufficienza renale o di altro tipo."

Come si combatte un nemico del genere?

"Per prima cosa, bisogna educare il pubblico ad un uso appropriato degli antifungini. Perché c'è un uso abbastanza diffuso e disinvolto del fluconazolo. La prova è che una delle infezioni più diffuse al mondo, se non la più diffusa, è la vulvovaginite da candida. Parliamo di numeri impressionanti: nel 2017 avevamo un milione e seicentomila casi di vulvovaginiti ricorrenti da candida, e circa un milione di candidosi orali, il mughetto, quindi due milioni e 600mila casi di candida orale o vaginale su un totale di infezioni fungine gravi stimato attorno a quattro milioni. 

Per questo tipo di candidosi si utilizzano grandissime quantità di antifungini, e c’è quindi bisogno che la gente che prende abitualmente il fluconazolo e i suoi derivati come fossero caramelle si renda conto che alla lunga la candida viene selezionata per diventare resistente a questi farmaci. Il secondo problema da risolvere riguarda gli ospedali: fondamentalmente, molti medici ospedalieri trattano con gli antifungini infezioni da candida che non sono infezioni, e in questo modo contribuiscono anche loro a selezionare ceppi resistenti. Le prescrizioni di fluconazolo in ospedale, per esempio, riguardano spesso la candida trovata in un tampone rettale, o sulle feci, che non va invece trattata. Quella nelle urine, la candiduria, che non andrebbe trattata. O la candida isolata dall'aspirato tracheale, che non va trattata perché la polmonite da candida non esiste.

Terzo punto fondamentale è isolare in modo efficace i pazienti quando viene identificata un’infezione o una colonizzazione, per fare sì che non possano trasmetterla ad un altro paziente. E infine l’attenzione per le attività di infection controll: lavaggio delle mani, disinfezione delle superfici, cose che si dovrebbero fare ma che è sempre bene ribadire."

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