Biocarburanti: sempre più puliti e sostenibili con le nuove tecnologie
Sono inseriti tra i pilastri della strategia di decarbonizzazione dei trasporti italiana, per sostenere la transizione verso auto elettriche e a idrogeno. E se in passato hanno deluso le aspettative, i nuovi biocarburanti sono una fonte energetica “carbon neutral”, rinnovabile e anche sostenibile
Nel 2035 le auto degli italiani saranno al 100% elettriche, o comunque non alimentate da combustibili fossili. Lo ha stabilito il Comitato Interministeriale per la Transizione Ecologica (Cite), allineandosi, dopo qualche attesa, con gli obbiettivi fissati dalla Commissione Europea nel pacchetto di riforme climatiche “Fit for 55”. Lo stop ai motori endotermici – scrive il Cite nel suo rapporto – non sarà improvviso, ma arriverà al termine di una decarbonizzazione progressiva dei trasporti in cui giocheranno un ruolo principe i biocarburanti. Combustibili “carbon neutral”, di cui l'Italia è tra i primi produttori e consumatori in Europa. Non tutti concordano sulla loro affidabilità, perché in passato i biocarburanti ci hanno abituato a grandi promesse, e sonore delusioni alla prova dei fatti. Ma le tecnologie sono cambiate, e i nuovi biocarburanti promettono di rivelarsi finalmente una risorsa sostenibile, capace di traghettarci senza scossoni verso un futuro in cui tubi di scappamento, smog ed emissioni inquinanti saranno solo un ricordo del passato.
Biocarburanti: i problemi della prima generazione
L'idea da cui nascono i biocarburanti è quella di ottenere un combustibile per alimentare auto, produrre calore o energia elettrica, a partire da materia biologica: bioetanolo, dalla fermentazione di vegetali ad alto contenuto di amido e zuccheri, come barbabietole e canna da zucchero; o biodiesel, utilizzando oli vegetali. I vantaggi sono evidenti. Si tratta infatti di materie prime rinnovabili, a differenza dei combustibili fossili come petrolio o carbone. E soprattutto carbon neutral, perché il quantitativo di gas serra prodotti dalla loro combustione è lo stesso che viene fissato dalla materia prima d'origine durante la sua crescita. Bruciare petrolio vuol dire prendere un materiale che altrimenti giacerebbe indisturbato nelle profondità della terra, e liberare grande quantità di CO2 che si accumulerà nell'ambiente. Bruciare un biocarburante prodotto a partire dalle barbabietole significa invece liberare nell'atmosfera la CO2 che la pianta ha accumulato nelle radici, nella stessa quantità che verrà prelevata, e utilizzata per crescere, da un'altra pianta di barbabietola, senza aumentare quindi la quantità di gas serra presenti nell'atmosfera del nostro pianeta. Sulla carta sembra una soluzione perfetta, ma quando il mercato ha iniziato a ingranare ci si è accorti di un problema: lo spazio sulla Terra è limitato, e se i vegetali li usiamo per produrre carburanti, dove produciamo quelli che ci servono per l'alimentazione? Consumo di suolo e problemi di sicurezza alimentare sono un rischio concreto che accompagna la diffusione dei biocarburanti, che ha spinto la Fao e altri organismi internazionali ad ammonire dal loro utilizzo indiscriminato. La soluzione? I cosiddetti biocarburanti di seconda, e terza, generazione.
Riciclare le materie prime
“La biomassa è rinnovabile, ma non è infinita”, ci spiega Lorenzo Spadaro, ricercatore dell'Istituto di tecnologie avanzate per l'energia “Nicola Giordano” del Cnr. “Ci si è trovati in una situazione in cui conveniva produrre materiale agricolo per l'energia piuttosto che per il cibo – continua l'esperto – e questo ha spinto alla diffusione di colture come la palma da olio, che inquinano, provocano deforestazione e consumo di suolo. Per questo motivo le nuove normative hanno limitato la possibilità di consumare biomateriali per la produzione di combustibili, e un colosso dell'energia come Eni ha reagito riconvertendo gli stabilimenti di Gela e di Venezia per la produzione di biocarburanti a partire da oli esausti, come quelli che provengono dalle grandi catene alimentari”.
Questi biocombustibili di seconda generazione rientrano dunque a pieno nel concetto di economia circolare: permettono di riciclare scarti e trasformarli in una fonte energetica meno inquinante di quelle tradizionali, e con un minore impatto sulle emissioni di gas serra. Sono considerati fondamentali per accompagnare la transizione energetica europea nei prossimi decenni, limitando le emissioni provenienti dai trasporti e dalla produzione di energia. E per alcuni settori, come quello dell'aviazione, sono l'unica alternativa possibile per immaginare almeno un pareggio delle emissioni. E non in un futuro di la a venire: li utilizziamo già ogni giorno facendo il pieno dell'auto, anche se in molti non se ne sono probabilmente mai accorti.
Un mercato in crescita costante
Negli ultimi 15 anni i consumi di biocombustibili nel comparto trasporti non ha fatto che aumentare, segnando un più 622% nel 2021 rispetto a quelli del 2005, a fronte di una riduzione del 16% dei prodotti petroliferi, e a una contrazione dell'11% dei consumi di energia dell'intero settore. Tutte le nostre auto, infatti, utilizzano una miscela di benzina o gasolio tradizionali e biocarburanti. Per il 2021, il Gestore dei Servizi Energetici ha stabilito una quota minima di biocarburanti immessi nel settore trasporti pari al 10%, in crescita di un punto percentuale rispetto a quella del 2020. “La quota di biocarburanti che viene miscelata con i carburanti fossili riceve uno sconto delle accise, ed è per questo che i produttori sono incentivati ad utilizzarli”, sottolinea Spadaro. “Ora la ricerca è impegnata a produrre biocarburanti con caratteristiche identiche a quelle degli idrocarburi tradizionali, che semplificherebbero la miscelazione con i derivati del petrolio, e potrebbero anche essere utilizzati come unica fonte di alimentazione per i motori”. Altrettanto importante – spiega – sarà riuscire a trasformare in biocarburanti una maggiore varietà di materie prime che non richiedano coltivazioni apposite, come scarti agricoli e forestali, e persino rifiuti plastici. “Penso che vedremo crescere molto anche la produzione di biometano proveniente dagli scarti agricoli e zootecnici – conclude Spadaro – al momento esistono circa duemila microimpianti per la produzione di biogas utilizzati per produrre calore o elettricità, ma in futuro diventerà più conveniente trasformarlo in biometano, che può essere immesso direttamente nella rete, e che con i giusti investimenti darebbe una spinta importante verso la fine della dipendenza dai carburanti fossili”.