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Venerdì, 19 Aprile 2024
La speranza di una cura / Napoli

Covid e monoclonali: il punto sulla terapia anti ricoveri

"Su venti i pazienti con infezione da SARS-CoV-2 trattati sino ad ora nessuno ha avuto bisogno del ricovero. La cura sta dando i risultati sperati". L’intervista a Gennaro Sosto, Direttore generale dell’ASL Napoli 3 dove è in sperimentazione la terapia

Non hanno sviluppato complicanze della malattia da Covid-19 i venti pazienti trattati con anticorpi monoclonali nel Covid Hospital di Boscotrecase. Un segnale incoraggiante che dimostra come la terapia - ad oggi utilizzata sperimentalmente su 3.000 pazienti in Italia - se fatta in tempo, funziona in maniera efficace. Napolitoday ne ha parlato con il Direttore generale dell’ASL Napoli 3 SUD, il dott. Gennaro Sosto.

A metà aprile presso il nosocomio napoletano di Boscotrecase è stato inaugurato un centro di somministrazione di anticorpi monoclonali per la cura dei pazienti con fragilità che hanno contratto il SARS-CoV-2. Si tratta del primo centro dell’Asl Napoli 3 Sud, ma anche il primo sul territorio nazionale, che somministra gli anticorpi monoclonali per la cura della malattia da Covid-19 sia in ambulatorio che a domicilio.

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Un’iniziativa importante che si affianca ad un altro progetto ambizioso, Telemaco, frutto di un’intesa tra l’Asl Napli 3 Sud e l’ospedale Cotugno di Napoli. Il progetto, nato dall’integrazione di due differenti esperienze professionali, ha come obiettivo il monitoraggio dei pazienti con sintomatologia da “long-Covid”, cioè di quei soggetti che continuano ad avere sintomi anche dopo la negativizzazione al virus, per individuare un protocollo di cura.

Vaccino e anticorpi monoclonali: quali diverse funzioni hanno?

"Il vaccino ha un’azione preventiva, non impedisce la contrazione del virus ma consente di evitare che si sviluppi una forma grave della malattia. Non è ancora provato scientificamente, ma pare che la trasmissione del SARS-CoV-2 possa comunque avvenire tra persone vaccinate, l’unica cosa certa è che, in caso di contrazione del virus, grazie al vaccino, gli effetti della malattia vengono abbattuti o diventano residuali. Questo spiega anche perché si stanno verificando casi in cui persone vaccinate risultano positive ma poi si negativizzano dopo poco, oppure si positivizzano ma con carica virale bassa. Altra cosa importante da dire è che ai soggetti che hanno contratto il virus non si inocula il vaccino perché l’organismo ha già sviluppato anticorpi in maniera naturale, la reazione immunitaria ha debellato il virus naturalmente: in questi casi bisogna aspettare un certo arco di tempo prima di inoculare il vaccino. L’anticorpo monoclonale, al contrario, è una terapia, agisce per contrastare gli effetti del virus, e, proprio perché è una cura, deve essere inoculato in una fase iniziale della malattia, quando il virus non ha ancora preso il sopravvento sull’organismo, quando non è stato ancora in grado di scatenare effetti gravi".

Cosa sono gli anticorpi monoclonali?

"Sono particolari tipi di anticorpi, frutto di una serie di studi partiti già all’inizio della prima ondata della pandemia. Si tratta di anticorpi naturali potenziati da un effetto farmacologico che sviluppano una reazione immunitaria fortificata e consentono all’organismo di debellare il virus. Abbiamo l’esempio di centinaia di migliaia di vittime che dimostrano che la risposta immunitaria soprattutto in soggetti fragili come gli immunodepressi non consente di sconfiggere il virus: con l’utilizzo degli anticorpi monoclonali si riesce a fortificare e potenziare la risposta immunitaria di questi soggetti che così riescono a debellare il virus".

Dopo quanti giorni dall’esordio dei sintomi vengono somministrati gli anticorpi monoclonali?

"Più che giorni parliamo di stato di salute del paziente. L’organismo nel quale vengono inoculati gli anticorpi monoclonali non deve essere già debilitato, il virus non deve avere già preso il sopravvento perché in tal caso la cura avrebbe un effetto residuale. Per questo la terapia si rivolge a un target di soggetti fragili".

Al Covid Hospital di Boscotrecase è attivo da metà aprile il centro di somministrazione degli anticorpi monoclonali per la cura della malattia da Covid-19. In che modo selezionate i pazienti?

"Sono i medici di medicina generale a selezionare i soggetti più fragili, quelli che rischiano un’evoluzione grave della malattia. Una volta individuati, iniziamo a monitorarli: la fase di monitoraggio è necessaria perché nel momento dell’inoculazione lo stato clinico del paziente non deve essere compromesso. Li monitoriamo con device e con le nostre squadre USCA per il tempo necessario di preparazione della terapia. A questo punto abbiamo due chances: l’inoculazione domiciliare, che è quella più frequente, o l’inoculazione in ambulatorio presso il Covid Hospital di Boscotrecase".

Come avviene l’inoculazione?

"Si tratta di un’infusione endovenosa che dura circa 60 minuti e viene effettuata in ambulatorio, in un ambiente protetto. Se si opta per l’inoculazione a domicilio, il team che sta provvedendo alla somministrazione è composto anche da un anestesista".

Come mai state preferendo la somministrazione a domicilio?

"Sono gli utenti che stanno preferendo questa opzione. Trattandosi generalmente di pazienti che oltre ad avere una fragilità hanno anche contratto il Covid, il trasporto in ambulatorio per l’inoculazione potrebbe destabilizzarli dal punto di vista psicologico. Per cui molti ci chiedono di poter ricevere la somministrazione a domicilio. Ed è stata questa ampia richiesta ad averci spinto a sperimentare a domicilio la somministrazione. Credo siamo i primi su scala nazionale ad aver accettato questa sfida".

Quanti pazienti sono stati trattati sino ad ora?

"Circa venti: la gran parte è stata curata a domicilio, mentre 3 o 4 in ambulatorio".

Quali sono i risultati riscontrati?

"I risultati riscontrati sono incoraggianti. Quasi in tutti i casi trattati abbiamo notato un netto miglioramento. Nessuno ha avuto bisogno del ricovero. Comunque è ormai provato scientificamente che gli anticorpi monoclonali sono una cura efficace. I dubbi che permangono partono da un assunto: non sapremo mai se la malattia si sarebbe evoluta in forma grave o meno, quindi se è merito degli anticorpi monoclonali la ripresa del paziente. È vero che questo non potremo mai saperlo, ma ci conforta osservare come questi pazienti con fragilità, a cui abbiamo somministrato gli anticorpi monoclonali, non hanno avuto un’evoluzione grave della malattia".

L’AIFA ha dato il via libera all’utilizzo degli anticorpi monoclonali prodotti dalle aziende farmaceutiche Eli Lilly e Regeneron/Roche. Sono questi gli anticorpi che state somministrando?

"Sì, sono queste le due grosse realtà, i due maggiori fornitori di anticorpi monoclonali che anche noi stiamo utilizzando. Mi sembra che Lilly sia stata la prima. La sperimentazione è partita nel corso della prima ondata della pandemia. Sin da subito la terapia con gli anticorpi monoclonali si era mostrata performante: inoculare in una fase iniziale della malattia l’anticorpo monoclonale consentiva di contrastala ed evitare che si evolvesse in una forma grave. Molti personaggi politici, nella prima fase della pandemia, hanno fatto uso di questi anticorpi con ottimi risultati: Trump è un esempio. Ma a quel tempo non era un farmaco da poter utilizzare su larga scala perché il costo era troppo elevato. Solo con una produzione industriale i costi si sono abbassati, e oggi rappresenta uno strumento valido, alternativo a quello che è la prevenzione vaccinale. L’anticorpo monoclonale rappresenta una seconda via valida per contrastare il fenomeno pandemico".

Il 23 aprile ha firmato con Maurizio Di Mauro, direttore generale dell’Azienda dei Colli per l’ospedale Cotugno, un’intesa per l’attuazione del Progetto Telemaco. Qual è l’obiettivo del progetto?

"Il Progetto Telemaco nasce dall’osservazione degli ex malati Covid che continuano ad avere sintomi anche dopo la negativizzazione al virus. In molti soggetti, usciti dalla fase clinica, è stato riscontrato il cosiddetto “long Covid”, ossia l’effetto a lungo termine del post-Covid. Questi soggetti si sono negativizzati ma continuano ad avere una serie di sintomi che vanno dalla difficoltà respiratoria all’astenia alla stanchezza e spossatezza diffusa, che lo accompagnano per diversi mesi successivi alla negativizzazione, e che rischiano di diventare un effetto collaterale importante a lungo termine. Telemaco è un progetto sperimentale che ci aiuterà a capire quali devono essere le azioni e gli approcci migliori per la gestione del paziente negativizzato che continua ad avere sintomi. Lo scopo del progetto è approfondire con un monitoraggio continuo del paziente, la sua sintomatologia e cosa succede nel suo organismo con la registrazione di una serie di parametri clinici e fisiologici (saturazione, capacità respiratoria, esami del sangue, ecc). L’obiettivo è studiare la reazione a lungo termine di questi soggetti che hanno contratto il Covid, per poi individuare la migliore terapia. Abbiamo voluto condividere questo approccio con un partener di eccezione quale è l’Azienda dei Colli: individuiamo e monitoriamo questi pazienti, raccogliamo le informazioni e le trasmettiamo all'ospedale Cotugno che le elabora, le studia e cerca di capire le correlazioni tra quelli che sono gli effetti dell’ex paziente Covid e quali possono essere le cure migliori. Il nostro obiettivo è elaborare un protocollo che consenta di individuare una cura specifica che attenui gli effetti a lungo termine della malattia da Covid-19. Non sappiamo, ad oggi, quanto questi effetti possano durare, ma vogliamo capire se questi possano innescarne altri effetti a lungo termine importanti".

Ad aprile avete inaugurato anche la stanza degli abbracci nel Covid Hospital di Boscotrecase, un luogo dove i pazienti possono incontrare i propri cari senza alcun rischio di infettarli. Come è nata l’iniziativa?

"Questa iniziativa è nata dalla sensibilità degli operatori del Covid Hospital di Boscotrecase. Nella prima fase della pandemia abbiamo deciso, per necessità, di riconvertire questa struttura in una esclusivamente Covid. Questa scelta ci ha consentito di reggere abbastanza bene l’urto della pandemia. In alcuni momenti la struttura non è stata sufficiente ad accogliere tutti i pazienti, però mi chiedo cosa sarebbe accaduto se non l’avessimo riconvertita: probabilmente i pazienti sarebbero stati sparsi nelle altre strutture territoriali consentendo un “inquinamento” dei vari presidi. La scelta ha creato la condizione ideale per una vicinanza tra gli operatori sanitari e i pazienti che sono stati ricoverati in questa struttura. Gli operatori hanno capito quanto potesse incidere sulla malattia l’aspetto psicologico del paziente, così ci hanno suggerito di creare questa stanza: un momento nel quale il paziente affetto da Covid e ricoverato da tempo ha la possibilità di avvicinarsi, incontrare i propri familiari. Iniziativa che abbiamo subito sposato e realizzato. La stanza degli abbracci ha consentito di affiancare alle terapie farmacologiche un’altra forma di cura, quella dell’anima, attraverso il contatto fisico e visivo, quindi il supporto psicologico dei familiari".

Qual è ora la situazione nel Covid Hospital di Boscotrecase?

"Non siamo più sotto pressione come qualche settima fa, speriamo che il fenomeno stia regredendo, ma ciò non toglie che dobbiamo comunque continuare a tenere alta la guardia. E’ ancora importante avere atteggiamenti di tutela, la popolazione deve capire che il rispetto delle regole inficia la possibilità della trasmissione e ci aiuta a vivere meglio. Dobbiamo mantenere alta la guardia ancora per un pò. Ricordiamoci che la campagna vaccinale sta spiegando le vele, sta proseguendo a ritmi sempre più serrati, e questa è una grande arma che ci aiuterà nella lotta al Covid. Se in questo frangente, in attesa che raggiungiamo la cosiddetta “immunità di gregge” (speriamo entro l’estate), abbiamo comportamenti attenti, accorti, possiamo anche condurre una vita più “normale”. Quindi, invito tutti ad avere un altro pò di pazienza, e di temere ancora questa malattia". 

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