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Giovedì, 25 Aprile 2024
Nuovi farmaci

Il farmaco che promette di sconfiggere l'Alzheimer ha troppi effetti collaterali

I dati sul nuovo farmaco Donanemab annunciati dall'azienda produttrice Eli Lilly sembrano promettenti. Ma gli effetti collaterali, anche molto gravi, rendono difficile valutare il rapporto rischi-benefici

Forse si apre un nuovo capitolo nella lotta all'Alzheimer: quello dei farmaci. Eli Lilly ha infatti annunciato i risultati di un trial di fase 3 (l'ultimo step necessario per chiedere l'approvazione di un medicinale) per il suo anticorpo monoclonale donanemab, indirizzato contro le placche amiloidi che secondo una parte della comunità scientifica potrebbero essere alla radice della malattia. E si tratterebbe di risultati positivi: non solo in termini di eliminazione della proteina beta amiloide accumulata nel cervello dei pazienti, ma anche di riduzione del declino cognitivo, dato che, se confermato, indicherebbe un'autentica efficacia nel rallentare la progressione dell'Alzheimer. Da più parti, comunque, arrivano inviti alla cautela: l'efficacia sembrerebbe infatti relativamente contenuta, a fronte di effetti collaterali estremamente gravi e di ben tre decessi riconducibili al farmaco nel corso della sperimentazione clinica.

La posta in gioco, non serve sottolinearlo, è estremamente elevata. L'Alzheimer rappresenta infatti il 60-70% di tutte le forme di demenza, e interessa circa il 4,4% della popolazione over 65. Trattandosi di una malattia legata all'età è inoltre previsto una crescita costante dei casi nei prossimi decenni, legato all'aumento dell'aspettativa di vita in molte parti del pianeta. È dunque una malattia frequente ed estremamente debilitante, contro cui al momento non esiste praticamente nessuna opzione terapeutica capace di rallentare la progressione dei sintomi. 

L'arrivo di un farmaco efficace rappresenterebbe quindi un'opportunità inedita per milioni di pazienti in tutto il mondo. E per il suo scopritore, la garanzia per di trovarsi tra le mani un sicuro block buster farmaceutico. Non a caso, Big Pharma ci prova da decenni, nonostante le difficoltà quasi insormontabili emerse negli anni, e legate – non da ultimo – al fatto che non si conoscono ancora con precisione i meccanismi fisiopatologici della malattia, e quindi i potenziali bersagli contro cui sviluppare nuove molecole

Donanemab, lo dicevamo, si inserisce nel filone dei farmaci sviluppati per colpire le proteine beta amiloidi, sostanze che formano delle caratteristiche placche nel cervello e che sono ritenute la causa più probabile (ma non l'unica possibile) per l'insorgenza dei sintomi dell'Alzheimer. Si tratta di un anticorpo monoclonale, un farmaco biologico sviluppato per colpire, e aiutare a degradare, la proteina beta amiloide, nella speranza che così sia possibile eliminare, o quanto meno rallentare, l'insorgenza di demenza nei pazienti. E in questo senso, sembra piuttosto efficace: i dati diffusi da Eli Lilly parlano di un 34% dei pazienti senza più livelli di proteina amiloide ritenuti patologici a sei mesi dall'inizio della terapia, e di un 71% allo scadere del primo anno. 

Stando al comunicato dell'azienda (i risultati del trial non sono per ora stati pubblicati su una rivista scientifica), il farmaco avrebbe dimostrato inoltre una certa efficacia anche in termini di rallentamento della demenza: il 47% dei partecipanti trattati con donanemab non è andato incontro a progressione clinica durante l’anno di trattamento, contro il 29% dei pazienti trattati con placebo. Il farmaco rallenterebbe inoltre del 36% il declino cognitivo calcolato utilizzando la Clinical Dementia Rating-Sum of Boxes (CDR-SB§), una scala di valutazione clinica molto utilizzata in questo campo, e del 35% secondo la scala di valutazione ideata dalla stessa azienda. 

Risultati interessanti, che vanno però messi in prospettiva per coglierne l'effettiva portata: in termini assoluti, infatti, la riduzione della severità della demenza nella scala CDR-SB è stata pari a meno di 0,7 punti, in un range che va da 0 a 18. E in passato, diversi studi (tra cui uno della stessa Eli Lilly) avevano stabilito che una riduzione inferiore ad almeno un punto non andrebbe considerata significativa nella valutazione dell'efficacia dei potenziali farmaci contro l'Alzheimer. 

Sul piano degli effetti collaterali, l'azienda ammette che è stata registrata una maggiore incidenza di una sindrome nota come Aria (amyloid-related imaging abnormalities), che consiste nell’insorgenza di rigonfiamenti temporanei in alcune aree del cervello (Aria-E) o, nei casi più gravi, in microemorragie (Aria-H). Nel trial, il 24% dei pazienti trattati con donanemab ha sviluppato Aria-E, e il 31,4% Aria-H, contro il 13,6% dei pazienti trattati con placebo. L'azienda definisce lievi o moderati la maggior parte degli eventi avversi emersi nello studio, ammettendo però che un 1,6% dei pazienti trattati con il farmaco ha sviluppato una sintomatologia grave. Nel corso del trial sono inoltre morte tre persone che hanno ricevuto le infusioni di donanemab, per sintomi riconducibili agli effetti collaterali del farmaco, ma in questa fase l'azienda non ha diffuso nuove informazioni a riguardo. 

Cosa pensare dunque del nuovo farmaco? Un articolo su Science invita alla cautela, definendolo un medicinale potenzialmente utile se l'efficacia verrà confermata anche alla pubblicazione dei risultati del trial, ma non certo un “farmaco delle meraviglie”, visto il profilo di sicurezza quanto meno dubbio, il fatto che per risultare efficace deve essere somministrato nelle primissime fasi di malattia, e un costo che, per quanto al momento non sia noto, non potrà che rivelarsi elevatissimo, come accade per tutti gli anticorpi monoclonali. 

I precedenti, inoltre, non sono particolarmente consolanti: il primo anticorpo monoclonale contro la proteina amiloide, approvato lo scorso anno dall'agenzia del farmaco americana tra enormi controversie, ha fatto infatti un tonfo nell'acqua sul piano commerciale, per via di un costo troppo elevato e di un'efficacia tutta da dimostrare. Sarà donanemab a cambiare le cose? O magari il parente stretto, lecanomab, approvato a gennaio dall'Fda? Solo il tempo potrà dircelo. 

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