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Sabato, 25 Marzo 2023
Scienze

Cosa ci dice oggi la scoperta di una donna preistorica cacciatrice

I resti risalenti a 9mila anni fa ritrovati in un sito in Perù dimostrano che non solo la caccia non era un’attività esclusivamente maschile ma anche che i ruoli di genere che diamo oggi per scontati non sono così “ancestrali”

Durante una serie di scavi sulle cime del Perù a quasi 4mila metri di altitudine, nel 2018 un gruppo di archeologi scoprì una tomba con resti umani di 9mila anni fa, le cui ossa erano circondate da una impressionante serie di strumenti per la caccia, tra punte di lancia, lame varie e utensili per trattare la pelle. L’opinione di tutti era che si trattasse della tomba di un grande cacciatore, un grande capo o comunque un uomo importante. Un pensiero quasi automatico, scontato, tanto che a nessuno è venuto in mente di notare un dettaglio, che è invece è stato colto dal bioarcheologo e osteologo del gruppo. Jim Watson dell’Università dell’Arizona notò infatti che le ossa ritrovate apparivano più sottili e leggere. “Credo che il tuo cacciatore potrebbe essere una donna”, suggerì Watson all’archeologo Randal Hass dell’Università della California, che guidava il team di ricercatori autori della scoperta. Ed effettivamente questi resti appartenevano proprio a una donna, di età compresa tra i 17 e i 19 anni, come confermato dall’analisi di una particolare proteina rintracciata nello smalto dei suoi denti e che ha una struttura differente nell’uomo e nella donna. 

Il ritrovamento di WMP6 (questo il nome scientifico assegnato alla persona i cui resti sono stati ritrovati nel sito archeologico di Wilamaya Patjx) è stato raccontato in uno studio di cui Haas è il primo firmatario e pubblicato qualche giorno fa su Science Advaneces, rivista scientifica collegata alla prestigiosa Science. Uno studio importante di cui si sta parlando molto perché contribuisce a mettere in discussione la teoria, finora predominante, dell’uomo-cacciatore e della donna-raccoglitrice nelle società preistoriche prima del passaggio all’economia produttiva. Un’ipotesi che prese piede nel 1966 grazie a un convegno organizzato dall’Università di Chicago. Il titolo del convegno era “L’uomo cacciatore” e ha influenzato per anni gli studi sul ruolo della caccia nell’evoluzione umana. Pur se contestata dagli antropologi anche nell’ambito del dibattito sui ruolo di genere all’interno di queste prime forme di società, l’idea di una divisione netta e irreversibile tra caccia e raccolta da parte di uomini e donne non sembrava supportata da sufficienti prove archeologiche. Queste teorie venivano inoltre rafforzate dall’osservazione e dagli studi sulle poche popolazioni di cacciatori-raccoglitori ancora oggi esistenti (ad esempio in Tanzania e nell’Africa meridionale). 

donna cacciatrice preistoria utensili-2

"Questi ritrovamenti sottolineano in qualche modo l'idea che i ruoli di genere che diamo per scontati nella società odierna - o che molti danno per scontato - potrebbero non essere così naturali come alcuni potrebbero aver pensato", ha detto Randal Haas secondo Live Science. L’archeologa Meg Conkey della UC Berkley, che non ha preso parte allo studio pubblicato su Science Advanced, ha definito il lavoro di Haas e altri come “la pistola fumante” che confermerebbe come anche le donne nella preistoria potessero essere cacciatrici di selvaggina di grossa taglia e non essere solo dedite alla raccolta dei prodotti della terra o alla cura dei bambini. In risposta alle critiche sul fatto che WMP6 potesse essere un'eccezione, Haas ha condotto una ricerca analizzando i rapporti sugli altre 107 sepolture nella zona più antiche di 8mila anni fa scoperte nelle Americhe, scoprendo che vi erano state trovate altre 10 donne (in aggiunta a WMP6) e 16 uomini sepolti con strumenti da caccia. Le donne sarebbero state circa 30-50% del totale dei cacciatori di selvaggina grossa e “la partecipazione femminile alla caccia di animali di grossa taglia non era qualcosa di sporadico”, come spiegano lui e i suoi colleghi nello studio. 

Uomini e donne a caccia grossa nella preistoria 

Lo studio pubblicato su Science Advanced sta facendo parlare molto soprattuto per le implicazioni che queste teorie hanno oggi. “C’è così tanta disparità di genere in corso in questo momento, se dovessimo presumere che c’è qualcosa di biologicamente predisposto in noi, questo potrebbe giustificare le disparità di genere. Per me è molto pericoloso e completamente infondato”, ha detto al National Geographic Pamela Geller, archeologa dell’Università di Miami, che non ha partecipato allo studio di Hass. 

“Le pratiche lavorative tra le recenti società di cacciatori-raccoglitori sono altamente genderizzate, il che potrebbe portare a credere che le disuguaglianze sessiste ad esempio nella retribuzione o nel rango sociale siano in qualche modo ‘naturali’, ma è chiaro ora che la divisione sessuale del lavoro era fondamentalmente diversa, probabilmente più equa, nel passato più remoto dei cacciatori-raccoglitori della nostra specie”, ha dichiarato Randall Haas in una nota. 

“Questo studio dovrebbe aiutare a convincere le persone che le donne andavano a caccia di animali di grossa taglia”, ha detto l’antropologa Kathleen Sterling intervistata da Live Science, mentre Marion Pilloud, antropologa dell’Università di Reno nel Nevada ha spiegato: “Quando ci allontaniamo dai nostri pregiudizi di genere possiamo esplorare i dati in modi più sfumati che sono probabilmente più culturalmente accurati”. Anche per Geller, le prove dell’esistenza di donne cacciatrici sarebbero stati in evidenzia già da tempo, “ma è solo questione di come i ricercatori le interpretano”. “Con poche eccezioni, i ricercatori che studiano i gruppi di caccia e raccolta, indipendente dal continente in cui lavorano, presumono che una divisione del lavoro fosse universale e rigida - ha aggiunto - E poiché sembra di buon senso, hanno difficoltà a spiegare perché gli individui con un corpo femminile abbiano segni della caccia sullo scheletro e abbiamo strumenti da caccia come corredo funerario”. Lo stesso Randal Haas ha ammesso di aver inizialmente dato per scontato insieme ai suoi ricercatori che quei resti appartenessero a un uomo. “Sono colpevole come chiunque altro”. 

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