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Venerdì, 19 Aprile 2024
Scienze

Scienze, poche donne nei laboratori: ancora lontani dalla parità di sesso

Nei laboratori di scienze biologiche, dove quasi sempre comanda un uomo, i ricercatori sono soprattutto ... uomini. Da uno studio pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences emege che la ricerca è ancora un terreno "per maschi"

Ci sono più uomini o più donne nei laboratori di biologia? E se c’è un uomo a capo di un dipartimenti, quante donne scienziate ci saranno? Queste erano probabilmente le domande che si sono fatti Jason M. Sheltzer, biologo al Massachusetts Institute of Technology, e Joan C. Smith, ingegnere informatico quando hanno deciso di analizzare il rapporto tra sesso dei leader e del rispettivo personale nelle principali università degli Stati Uniti. Lo studio, pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, ha evidenziato come i leader maschi tendano ad avere nei propri laboratori un personale di sesso maschile piuttosto che femminile.

Fino al 10% in meno di ricercatrici di sesso femminile se il laboratorio è gestito da un uomo invece che da una donna. Se il leader è un uomo, i dottorandi e i postdoc donne sono, rispettivamente, il 47% e 36%, mentre se la direzione è “rosa”, le percentuali si alzano a 53% e 46%. 

Un trend abbastanza significativo e che, guardando i dati da un altro punto di vista, mette in luce una disparità che cresce con l’avanzare della carriera: a livello di dottorato (quindi subito dopo la laurea) le percentuali uomo-donna sono tutto sommato poco distanziate, mentre si allontanano pesantemente durante i post-dottorati. 

Questa disparità è purtroppo piuttosto comune nel mondo lavorativo e i laboratori non fanno eccezione. Se il divario uomo-donna diventa sempre più evidente con la formazione avanzata, è probabile che questo sia anche uno dei motivi per cui le donne non riescano quasi mai ad avere cariche importante nell’ambito accademico. La presenza femminile all’interno del personale di ruolo delle facoltà che sono state analizzate in questa indagine, infatti, è appena l’18% sul totale: una cifra davvero sproporzionata rispetto all’alto numero di studentesse laureate e che hanno proseguito gli studi.

Non solo. La sproporzione aumenta ulteriormente se il leader maschio del laboratorio è un professore di fama, che ha ricevuto riconoscimenti per la carriera e ottenuto importanti finanziamenti, come quello dell’Howard Hughes Institute. Ancora più evidente se si tratta di un premio Nobel. In questo caso la presenza di donne è circa una su quattro tra i postdoc, e una su tre tra i dottorandi.

I dati dello studio si sono limitati ad analizzare i migliaia di laboratori di scienze biologiche degli Stati Uniti delle migliori università americane, ma sembrano, purtroppo, rappresentare bene la situazione globale. C’è da chiedersi quali spiegazioni si possano dare a questi risultati.
Colpa della “selezione” degli uomini, del vittimismo di alcune donne, o entrambe le cose?

Lo studio dei due scienziati non si azzarda a dare risposte chiare sulle motivazioni, anche se il loro articolo si chiude con una riflessione sulla criticità del fenomeno: “La nostra speranza è che il nostro lavoro porti a una maggior consapevolezza delle dinamiche con cui il genere di appartenenza continua a giocare un ruolo determinante nel plasmare le traiettorie professionali dei giovani scienziati”.

Dunque essere consapevoli del problema per tentare di risolverlo. E il primo passo è convincere le studentesse a studiare e puntare in alto, senza lasciarsi scoraggiare.

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