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Venerdì, 19 Aprile 2024
Psichiatria psichedelica

L’Lsd per combattere l’ansia: ora anche la scienza abbraccia la psichedelia

Assunto in microdosi l'acido lisergico non produce effetti allucinogeni, e potrebbe aiutare a contrastare i sintomi dei disturbi d’ansia. Con un meccanismo simile a quello degli antidepressivi Ssri. Lo dimostra uno studio italo-canadese

Ha iniziato a diffondersi tra startupper e yuppie nerd della Silicon Valley, sulla scia della mania per smart drugs, mind hack e trucchi hightech per migliorare produttività e intelligenza. Ma a distanza di qualche anno, il microdosing si sta rivelando ben più di una moda passeggera: anche la scienza ufficiale, infatti, inizia a riconoscere le potenzialità delle sostanze psichedeliche, soprattutto in ambito terapeutico, grazie alla capacità di lenire i sintomi di ansia, depressione e altri gravi disturbi mentali. L’ultima ricerca in questo senso arriva da un team di ricercatori della McGill University di Montreal, dell’Università di Padova e dell’Università Vita Salute San Raffaele di Milano: uno studio, pubblicato su Nature Neuropsychopharmacology, che rivela efficacia e meccanismo d’azione delle microdosi di Lsd nel contrastare i sintomi dei disturbi d’ansia. 

L’utilizzo delle sostanze psichedeliche in campo psichiatrico ha una lunga storia. Fatta di promesse, timori, divieti, e una riscoperta recente. Sin dagli anni ‘50 l’acido lisergico, l’Lsd, è stato infatti studiato per curare ansia, depressione, alcolismo e altre forme di dipendenza. I risultati – giuravano scienziati come Timothy Leary, il padre della cultura psichedelica – erano promettenti. Ma la società non era pronta: l’utilizzo dell’Lsd si diffuse profondamente nella contro cultura degli anni ‘60, ispirando capolavori come il brano “Lucy in the Sky with Diamonds” dei Beatles, ma animando anche gli eccessi che caratterizzarono raduni come Woodstock. 


La parte più conservatrice degli Stati Uniti non rusciva a mandare giù quelle immagini di giovani selvaggi e seminudi che ballavano persi nei loro sogni lisergici. E alla fine, nel 1970 arrivò il divieto, con l’inserimento dell’Lsd e di molte sostanze psichedeliche nella lista delle sostanze proibite, segnando la fine non solo del loro consumo ricreativo, ma anche delle ricerche mediche sui loro effetti. 

Nei decenni successivi però lo sviluppo di nuovi farmaci per curare i disturbi mentali ha continuato a stagnare. La necessità di sviluppare nuove terapie ha aiutato a superare alcuni taboo culturali. Le ricerche sono riprese intorno agli anni ‘90,e ora i risultati hanno iniziato finalmente ad arrivare. Una sostanza come la ketamina (o meglio l’esketamina, un suo derivato), è già stata approvata per il trattamento della depressione resistente alle terapie. Mentre psilocibina (principio attivo dei funghi allucinoggeni) e Mdma (l’extasy) in America sono in fase avanzata di valutazione per curare depressione e disturbo post traumatico da stress, e vengono studiate con interesse anche contro dipendenze, ansia, ansia sociale legata all’autismo.

Il loro utilizzo medico, ovviamente, non prevede il fai da te: vengono studiate all’interno di rigorosi protocolli di cura, che prevedono l’assunzione sotto controllo di un terapeuta, e sessioni di psicoterapia che massimizzano gli effetti benefici delle sostanze e ne minimizzano i potenziali effetti negativi. In un campo di studi così attivo, la madre di tutte le sostanze psichedeliche, l’Lsd, stenta invece a farsi strada. Gli studi a riguardo, infatti, sono relativamente pochi, proprio a causa della sua potente azione allucinogena che ne complica in qualche modo l’utilizzo, anche in setting protetti come un protocollo di psicoterapia psichedelica. 

Quello indagato dal nuovo studio è quindi un approccio più semplice da tradurre in una terapia clinica vera e propria: con le microdosi i pazienti ricevono una quantità di sostanza troppo contenuta per provocare allucinazioni, ma sufficienti ad indurre qualche cambiamento nella biochimica del cervello. E con l’assunzione ripetuta, gli effetti benefici possono manifestarsi ugualmente, evitando di incorrere in quelli negativi. 

Per testarne l’efficacia, la nuova ricerca ha utilizzato dei topi da laboratorio posti in una situazione sperimentali che genera una condizione di stress cronico negli animali. I ricercatori hanno somministrato ai roditori microdosi di Lsd per un periodo di sette giorni. E hanno quindi valutato quali effetti avesse avuto la terapia sui sintomi d’ansia indotti dallo stress, dimostrando che si riducono vistosamente, in assenza di effetti negativi rilevabili. 

Non contenti, i ricercatori hanno indagato quali cambiamenti comporta l’utilizzo delle microdosi di Lsd a livello cerebrale, individuando per la prima volta il meccanismo con cui la sostanza aiuta a ridurre gli effetti dello stress. L’azione dell’Lsd – hanno dimostrato – è simile a quella degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, o Ssri, antidepressivi usatissimi anche in caso di disturbi d’ansia. E consiste nel potenziare l’attività dei circuiti cerebrali legati alla serotonina, anche nota come “ormone del buonumore”, un neurotrasmettitore la cui produzione viene inibita in caso di stress cronico. 

Assunto in microdosi, l’Lsd sembra inoltre capace di promuovere la formazione di nuove spine dendritiche, le protuberanze con cui i neuroni entrano in contatto tra loro, che vengono smantellate – anche in questo caso – in seguito a periodi di stress cronico. Il microdosing di Lsd ha quindi tutte le carte in regola per rivelarsi un’arma preziosa nella lotta all’ansia e disturbi legati allo stress.

“Il nostro lavoro ci ha permesso di compiere un passo avanti in questa direzione, ma ulteriori studi sono ancora necessari sia a livello preclinico sia a livello clinico”, spiega Stefano Comai, ricercatore del Dipartimento di Scienze del Farmaco dell’Università di Padova che ha partecipato allo studio. “Negli ultimi quattro anni – continua – sono decine i trial clinici che sono iniziati per valutare l’efficacia degli psichedelici, principalmente psilocibina e Mdma, ma anche Lsd, per il trattamento di diversi disturbi psichiatrici. Allo stesso modo, sono centinaia gli studi a livello preclinico. La speranza è di capire se e come poter utilizzare queste sostanze da un punto di vista terapeutico, riducendo il rischio di eventi avversi e dannosi”.

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