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Sabato, 20 Aprile 2024
Prevedere le eruzioni

Un modello statistico prevede l'eruzione dei tre vulcani napoletani

Lo hanno realizzato i ricercatori di Ingv e Università di Bari analizzando le fasi di alta e bassa attività dei vulcani dell’area napoletana. Permette di stimare i rischi e la pericolosità delle future eruzioni

Simili eppure così diversi. Il Vesuvio, l’isola di Ischia e i Campi Flegrei hanno in comune la prossimità geografica, e il fatto di "incombere", in qualche modo, sull’area metropolitana partenopea. A distinguerli, invece, sono l’origine, i periodi di attività e la pericolosità delle eruzioni. Un nuovo modello statistico pubblicato su Science Advances dai ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), dell’Università di Bari e del British Geological Survey di Edimburgo permette ora di stimare pericolosità e probabilità di eruzione di tutti e tre i vulcani, prevedendone l’alternanza tra periodi ad alta, e bassa, attività eruttiva.

Come dicevamo, i tre vulcani dell’area napoletana hanno origini e caratteristiche molto diverse. Il Vesuvio è uno stratovulcano, il tipo più caratteristico e comune di vulcano, con pendii ripidi formati dalla stratificazione di varie colate di lava solidificate. È uno dei due vulcani attivi dell’Europa continentale (l’ultima eruzione risale al 1944), ed è considerato estremamente pericoloso vista la tendenza che ha di emettere eruzioni esplosive, unita alla grande densità abitativa delle zone circostanti.

L’isola di Ischia, dal canto suo, è un edificio vulcanico che si è sollevato di oltre mille metri dal fondale marino a seguito di un processo chiamato "risorgenza vulcanica", cioè per il sollevamento del fondo di una caldera vulcanica causato dalla spinta delle intrusioni di magna nell’area sottostante. Non si tratta di un vulcano particolarmente attivo, e l’ultima eruzione risale infatti al 1302. I Campi Flegrei, infine, sono un antico supervulcano, un’ampia caldera formatasi in seguito ad almeno tre enormi eruzioni vulcaniche. L’ultima eruzione in questa zona, piuttosto contenuta, è stata registrata nel 1538.

I tre vulcani hanno quindi storie, frequenza, potenza e pericolosità delle eruzioni molto differenti. E di norma non esistono strumenti che permettono di comparare situazioni così eterogenee, e di elaborarne i rischi in maniera integrata. Il nuovo modello è stato ottenuto studiando i dati geologici e le cronache storiche dei tre vulcani, prendendo in considerazione solamente tra parametri: frequenza delle eruzioni nei periodi di bassa attività, frequenza in quelli di alta attività, e intervallo soglia, cioè il periodo temporale senza eruzioni che sancisce il passaggio da una all’altra fase per ciascun vulcano.

"Nella maggior parte dei vulcani, per quanto diversi tra loro, esistono almeno due stati, da noi identificati come periodi di alta e di bassa attività, e con il nostro modello descriviamo quantitativamente l’alternanza tra questi due stati", spiega Roberto Sulpizio, dell’Università di Bari. "Studiando la storia eruttiva dei vulcani napoletani, che sono molto diversi tra loro, con il nostro modello abbiamo descritto in maniera omogenea le caratteristiche dei due differenti stati di attività per ciascuno di essi e la tempistica nella quale si registra nuovamente l’equilibrio del sistema vulcanico dopo una fase di alta attività eruttiva".

Attualmente, il modello ci dice che tutti e tre i vulcani sono in una fase di bassa attività. E che le probabilità di eruzione, per quanto al momento ridotte, sono più elevate per il Vesuvio, seguito dall’isola di Ischia e quindi dai Campi Flegrei. "Queste analisi possono fornire dati importanti per comprendere a pieno le dinamiche che governano il verificarsi delle eruzioni – conclude Sulpizio – ma soprattutto permettono di stimare in modo omogeneo e confrontare tra loro la probabilità di eruzione dei diversi vulcani, e, di conseguenza, la loro pericolosità".

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