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Venerdì, 19 Aprile 2024
Archeologia

Un naso elettronico rivela i segreti delle antiche tombe egizie

All’Università di Pisa hanno utilizzato uno spettrometro di massa per “annusare” il contenuto di diversi vasi sigillati rinvenuti nella tomba di Kha, antico architetto al servizio del faraone Amenhotep III

Per 3.400 anni decine di vasi e anfore funerarie hanno riposato nella tomba di Kha e Merit, nella necropoli tebana, alle porte dell’attuale Luxor. L’ultimo secolo lo hanno trascorso in Italia, nel Museo Egizio di Torino, dove furono portati dal loro scopritore, l’egittologo Ernesto Schiapparelli. In tutto questo tempo, i contenitori sono rimasti sigillati, e il loro contenuto un mistero. Almeno fino ad oggi: un team di ricercatori di Pisa è riuscito infatti a rivelare il contenuto dei vasi senza bisogno di aprirli, “annusandone” il contenuto grazie ad uno spettrometro di massa.

Una tomba molto speciale

I risultati della ricerca, pubblicati sul Journal of Archaeological Science, offrono interessanti indizi sugli aspetti a tutt’oggi meno noti delle tradizioni funerarie dell’antico Egitto. La tomba custodisce infatti le spoglie del capo architetto al servizio del faraone Amenhotep III, Kha, e della moglie Merit. Ed è la più completa sepoltura di una persona non appartenente a famiglia reale mai scoperta.

Al momento del loro rinvenimento i vasi presenti nella tomba non erano stati aperti dalla spedizione capitanata da Schiapparelli. Un evento più unico che raro, visto che all’epoca ci si faceva molti meno scrupoli di oggi ad aprire sarcofagi, sbendare mummie, e scoperchiare vasi, anfore e canopi. Non potendoli aprire, i ricercatori di Pisa guidati da chimica Ilaria Degano hanno ideato una tecnica non invasiva per rivelarne, almeno in parte, i misteri.

Il naso elettronico

I reperti sono stati imbustati nella plastica per diversi giorni, e una volta rimossi, gli scienziati hanno analizzato l’aria contenuta nelle buste, alla ricerca degli odori emanati dai vasi, e più in particolare dei composti volatili che permettono di risalire alle sostanze custodite al loro interno. Per farlo hanno utilizzato uno spettrometro di massa, uno strumento che analizza gli isotopi presenti all’interno di un campione per identificare le sostanze che lo compongono. Ttilizzato spesso in campo medico, alla ricerca ad esempio di indizi di malattia nelle sostanze contenute nel respiro di un paziente. Ma anche, come in questo caso, in campo archeologico, sondando un reperto in modo non invasivo.

Grazie alla loro “annusata” virtuale, i ricercatori di Pisa hanno confermato la presenza di resine e unguenti all’interno dei vasi. Spesso accompagnati da cera d’api, utilizzata all’epoca sia come conservante sia come base per la preparazione di cosmetici. Nelle anfore i ricercatori hanno poi rintracciato anche pesci essiccati e molecole volatili che potrebbero tradire la presenza di farina d’orzo o addirittura birra come suggerito dalla presenza di composti specifici della fermentazione dei cereali.

Uno spaccato sulle tradizioni funebri egizie, ma anche sulla vita dell’epoca, visto che probabilmente molti degli oggetti sepolti con i due coniugi appartenevano alla loro quotidianità. “Questo studio ha dimostrato la possibilità di impiegare questo genere di strumentazione direttamente nei musei, per ottenere informazioni importanti su numerosi oggetti in modo rapido e completamente non distruttivo – spiega la professoressa Ilaria Degano dell’Università di Pisa – un simile approccio potrà dunque essere impiegato in nuove campagne diagnostiche, ed eventualmente in futuro esteso anche all’indagine di materiali diversi provenienti dall’ambito dei beni culturali, quali ad esempio collezioni di oggetti d’arte moderni e contemporanei”.

L'archeologia degli odori

Oltre a rendere possibili nuove modalità di indagine archeologica, la caratterizzazione degli odori dell’antico passato potrebbe rivelarsi interessante anche per arricchire le esperienze offerte da mostre e musei. Ricostruire realisticamente gli odori del passato non sarebbe un’impresa facile, e non è detto che tutti i visitatori apprezzerebbero l’esperienza di annusare in prima persona il profilo odoroso di un’antica tomba egizia. Ma è un aspetto di cui si discute, e che avrebbe senz’altro la capacità di rendere ancora più immersive le esposizioni. “L’odore è una porta sul nostro passato collettivo ancora relativamente inesplorata”, racconta a proposito a Nature Cecilia Bembibre, esperta di allestimenti museali dello University College di Londra. “Ed ha la capacità di farci sperimentare il passato in modo più emotivo e personale”.

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