I sei punti di non ritorno che ci porteranno all'estinzione
Un nuovo rapporto dell’Università delle Nazioni Unite sottolinea sei punti di non ritorno che metteranno presto a rischio la salute della Terra e quella della nostra specie
Il nostro stile di vita e il mondo in cui viviamo sono sempre più incompatibili. A certificarlo questa volta è l’Università delle Nazioni Unite – il braccio accademico dell’Onu – che ha appena pubblicato un rapporto in cui mette in guardia i leader della Terra sull’impatto devastante che sta avendo l’umanità sul pianeta, concentrando l’attenzione su sei “punti di non ritorno”, sei ambiti in cui l’inquinamento e lo sfruttamento delle risorse ambientali da parte dell'uomo potrebbero presto rivelarsi disastrosi per la nostra stessa sopravvivenza.
Un pianeta interconnesso
Il rapporto, intitolato Interconnected Disaster Risks Report 2023, parte da una constatazione che dovrebbe essere ovvia, almeno per gli addetti ai lavori, ma che viene spessissimo dimenticata, nella pratica, dai decisori politici e dall’opinione pubblica: non viviamo in un vuoto, ma all’interno di processi e sistemi strettamente interconnessi, che ci garantiscono accesso al cibo, all’acqua, all’energia, ad un’aria respirabile e al necessario spazio abitabile. Il pianeta insomma è uno, e interconnesso, e i danni che stiamo apportando all’ambiente sono destinati ad avere ripercussioni difficili da prevedere in tutti gli ambiti della vita umana.
I sei “risk tipping points”, o punti di non ritorno, identificati dal rapporto sono definiti come “il momento in cui un dato sistema socio-ecologico non è più resiliente ai rischi, e smette di espletare le funzioni attese”, un punto di svolta, quindi, oltre cui il pericolo di una catastrofe ambientale e sociale si fa sin troppo concreto. Quali sono? Accelerazioni delle estinzioni di massa, esaurimento delle falde acquifere, scioglimento dei ghiacciai, spazzatura spaziale, ondate di caldo, e impossibilità di assicurare beni mobili e immobili in un futuro in cui i disastri ambientali si faranno sempre più frequenti.
Sei punti di non ritorno
In tutti i casi, si tratta di ambiti in cui i cambiamenti che stiamo imponendo al pianeta in cui abitiamo avranno presto conseguenze dirette sulle nostre società. E in tutti i casi esaminati, siamo sempre più vicini al punto di non ritorno. Prendiamo come esempio le falde acquifere: sono una risorsa essenziale per assicurare acqua potabile alla popolazione e per alleviare gli effetti dei periodi di siccità sul comparto agricolo, a loro volta sempre più comuni a causa dei cambiamenti climatici. Ma proprio a causa di questi, e dei consumi crescenti di una popolazione umana in continua espansione, in moltissime zone del mondo le falde acquifere si consumano ad un ritmo maggiore di quello con cui vengono rifornite naturalmente.
In Arabia Saudita – si legge nel rapporto – il punto di non ritorno è ormai stato superato da tempo. L’India è a un passo, molte altre nazioni seguono da vicino. E i pericoli di una mancanza cronica di acqua non hanno certo bisogno di spiegazioni. Meno evidente, forse, il problema della spazzatura spaziale: a furia di lanciare satelliti senza tenere conto dei rifiuti che lasciamo in orbita durante il decollo e quando questi smettono di funzionare, lo spazio nei dintorni del nostro pianeta è sempre più intasato di frammenti e detriti. E il problema non è solo ambientale: continuando così, presto lanciare nuovi satelliti senza incidenti diventerà quasi impossibile. E visto quanto facciamo affidamento su queste tecnologie ai giorni nostri, si tratta di un problema potenzialmente catastrofico.
Serve un cambio di paradigma
In tutti i punti di non ritorno esaminati dal rapporto, insomma, l’incuria della nostra specie per il pianeta rischia presto di chiederci il contro, e con gli interessi. Cosa fare allora? A detta degli autori del rapporto, quel che serve è un cambiamento radicale dei nostri modelli di sviluppo e di società. Perché fino ad oggi le iniziative messe in campo sono quasi sempre indirizzate a ritardare l’inevitabile, e non a risolvere i problemi alla radice. “Dobbiamo comprendere la differenza tra adattarsi ai rischi dei punti di non ritorno ed evitarli – chiosa il rapporto – e tra le azioni che ritardano il rischio incombente, e quelle che ci avvicinano invece a una trasformazione”.