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Venerdì, 29 Marzo 2024
Scienze

Perché la gente si attacca alle teorie del complotto

Trappole cognitive, insicurezza, narcisismo, disinformazione: il parere degli esperti di fronte a uno dei grandi mali degli ultimi tempi

Le elezioni presidenziali truccate. Renzi e Obama dietro la sconfitta di Trump. Il 5G che causa il coronavirus. Covid-19 che in realtà è poco più di una banale influenza. Il cambiamento climatico che non esiste. Queste e, purtroppo, molte altre, sono tutte teorie assolutamente prive di fondamento, smentite più e più volte, ma che continuano ad avere una forte presa su molte persone, influenzandone i comportamenti. Ma perché, pur di fronte alla prova provata della loro inconsistenza, la gente continua a credere a queste teorie? Secondo la scienza, i motivi sono molteplici, come spiegato in un recente approfondimento comparso sul sito del National Geographic

La domanda è tornata di prepotente attualità dopo l’assalto al Congresso da parte dei sostenitori di Donald Trump, guidati dall’idea che le elezioni siano state truccate mentre le dozzine di cause legali a sostegno di tali accuse sono state respinte una dopo l’altra da tribunali statali e federali. “L’idea che le elezioni siano state truccate è, per definizione, una teoria del complotto, una spiegazione di eventi che si basa sull’affermazione che dei potenti stiano manipolando in modo disonesto la società”, spiega la giornalista Jillian Kramer. 

La trappola del “ragionamento motivato”

Poche ore prima, Trump aveva detto a migliaia di suoi fan in piazza: “Hanno truccato le elezioni. Senza dubbio, queste elezioni sono state rubate a voi, a me e al paese”. Secondo lo psicologo sociale Peter Ditto, dell’Università della California, Irvine, Trump “ha incitato un folla e ha utilizzato come se fossero un’arma quelle che sono tendenze naturali dell’uomo”, ossia credere a ciò che sembra soddisfare i nostri preconcetti a prescindere dal fatto che quelle argomentazioni siano vere o false: in pratica ha “trasformato in un’arma il ragionamento motivato”, ossia proprio questa “trappola cognitiva”. Una tendenza che nel pieno dell’era dell’infodemia sta avendo effetti devastanti: alla pandemia si sono aggiunte la disoccupazione, la crisi, le proteste in piazza, una campagna elettorale e delle elezioni fortemente polarizzate. 

Secondo gli esperti, a cadere nelle trappole della disinformazione e delle teorie del complotto è soltanto una minoranza delle persone, tuttavia secondo Sander van Der Linden, psicologo sociale dell’Università di Cambridge, spiegazioni semplicistiche a fenomeni complessi o apparentemente inspiegabili “aiutano a restituire un impressione di controllo e azione per molte persone”. 

Si tratta quindi di scorciatoie, una risposta inconscia in un momento di ansia o disordine da parte di chi avverte la necessità di quella che gli esperti chiamano “chiusura cognitiva”, appunto la ricerca di una risposta che appaia il più possibile risolutiva e durativa a un qualcosa di trasmette ambiguità e incertezza per dare un senso al mondo quando sembra non averlo, secondo Marta Marchlewska, anche lei psicologa sociale e studiosa proprio di teorie del complotto presso l’Accademia delle scienze polacca. 

Una studiosa dell’Università di Kent, Karen Douglas, un paio d’anni fa ha pubblicato una ricerca sul fatto che le persone insicure e che tendono a “catastrofizzare” i problemi della loro vita sono proprio quelle più inclini e a credere nelle teorie del complotto. 

Il narcisismo collettivo e la ricerca del nemico immaginario 

Un altro meccanismo cognitivo che entra in gioco in questo sistema e che porta le persone a credere a cospirazioni inesistenti fa riferimento a quello che gli esperti definiscono “narcisismo collettivo”, ossia un’eccessiva e gonfiata convinzione da parte di un gruppo di persone della propria grandezza o importanza. Marchlewska suggerisce che i narcisisti collettivi siano più inclini a vedere intorno a sé nemici immaginari e di conseguenza ad fare riferimento a teorie complottiste con cui incolparli. Una tendenza che cresce quando le cose vanno male e i membri del gruppo o il gruppo stesso si trovano a dover affrontare un fallimento. “Per alcune persone, le teorie del complotto sono il modo migliore di fare i conti con la minaccia psicologica rappresentata dal loro fallimento”. E, per Marchlewska, questo è ciò che si è visto in larga parte tra gli assaltatori di Capitol Hill. In questo contesto, ecco che la parte del nemico immaginario è stata affidata ai media. Lo stesso Trump aveva detto il 6 gennaio prima dell’assalto che “i media sono il problema più grande che abbiamo, per quanto mi riguarda”. E sono rimaste impresse nelle memoria di tutti le immagini del cappio creato con un cavo di una videocamera issato sullo sfondo del Campidoglio, le apparecchiature dei giornalisti fatte e a pezzi la scritta “morte ai media” scarabocchiata su una porta nell’edificio del Congresso. Stringersi a difesa del proprio gruppo di appartenenza, a prescindere da tutto, rappresenta comunque un tratto istintivo della personalità umana: l’umanità si è evoluta attraverso la lotta tra gruppi opposti, diffidando degli estranei e di chi ha opinioni diverse, ricorda Ditto, che in un studio del 2019 ha parlato del pregiudizio come “caratteristica naturale e quasi inestirpabile della cognizione umana”. 

C’è poi, ovviamente, l’influenza che sulle persone hanno i leader. Non sorprende un sondaggio condotto lo scorso ottobre su un campione di duemila americani da parte di Joseph Uscinski, professore associato di scienze politiche all’università di Miami: ciò che pensavano le persone intervistate era strettamente allineato con quello che aveva detto i loro leader politici. 

Le persone "che credono nelle teorie del complotto di solito cercano un salvatore, qualcuno che li aiuti a proteggere il loro gruppo dai nemici che cospirano", ricorda Marchlewska, che fa l’esempio di QAnon, una teoria del complotto proliferata online che sostiene falsamente che un potente gruppo di pedofili satanici stia complottando contro il presidente Trump. "Non c'è dubbio che le teorie del complotto e la disinformazione siano state usate da personaggi potenti nel corso dei secoli", dice Marchlewska. “Servono come un'arma politica estremamente pericolosa, aiutando a manipolare il pubblico per ottenere il potere. Prima cerchi nemici immaginari, poi ti prepari per un combattimento. La fase finale di solito è tragica: si danneggiano persone innocenti”. 

Riconoscere la verità

“Il cervello scambia la familiarità con la verità”, dice van der Linden. Gli esperti infatti sostengono che le persone hanno inoltre maggiori probabilità di credere alla disinformazione quando vi si trovano esposte in maniera massiccia, come nel caso ad esempio delle accuse infondate di frodi elettorali negli Usa oppure le fake news su Covid-19. E quando la gente vuole credere in qualcosa è molto difficile dissuaderla, anche mettendola di fronte a prove inconfutabili. In questi tempi di pandemia ciò è stato molto evidente, soprattutto nel caso dei media che, pur nel tentativo di sbugiardare quelle fake news, inavvertitamente ne hanno amplificato la copertura facendole arrivare a molte più persone, per molto tempo, in maniera pervasiva.  

Ma allora non c’è speranza contro la disinformazione? Per gli esperti educare le persone su come la disinformazione si diffonde e “attacca” può fare la differenza. Van der Linden ha condotto uno studio sostenendo che una volta che le persone erano state messe in guardia dalle tecniche più comuni di disinformazione - fare appello alla “pancia” della gente, esprimere con urgenza un determinato messaggio, ad esempio - chi ha partecipato allo studio si è mostrato più propenso a identificare le informazioni inaffidabili. 

Anche cambiare la frequenza con la quale si viene esposti a inesattezze può avere un effetto. Non è un caso che i principali social network stiano da tempo sperimentando la rimozione di post e informazioni inesatte e inaffidabili e da più parti si ritiene che possano avere un grande ruolo prioritizzando post da fondi credibili a scapito di quelli più partigiani o apertamente falsi, anche perché la maggior parte delle persone continua a fidarsi di più dei media mainstream - ai quali evidentemente riconosce ancora qualità e autorevolezza - rispetto a siti troppo schierati o con più disinvoltura per quanto riguarda bufale e verifica delle informazioni. 

Cambiare idea

Nel caso della pandemia che siamo vivendo e della disinformazione legata al coronavirus, un alleato molto importante sono gli stessi operatori sanitari e gli esperi. In uno studio pubblicato a settembre, Valerie Earnshaw, psicologa sociale presso l'Università del Delaware, ha scoperto che coloro che credevano nelle teorie del complotto circa la pandemia erano meno propensi ad affermare che avrebbero ricevuto un vaccino per Covid-19 ma il 90% dei partecipanti ha affermato di sì si fidavano dei loro medici. La scoperta si aggiunge una ricerca esistente che mostra che i medici possono aiutare a ostacolare direttamente la diffusione di falsità in tema di salute. 

Per quanto riguarda la situazione negli Stati Uniti, invece, e le teorie sulle elezioni truccate, è probabile, secondo Joseph A. Vitriol, della Stony Brook. University di New York, che ad aiutare a cambiare direzione e far capire alle persone l’inconsistenza e l’inesettezza di quanto finora affermato possano essere proprio i repubblicani e i sostenitori più in vista di Trump, “facendo sentire la propria voce e chiarendo che non sono in linea con lui”. 

Ammettere di aver sbagliato o di aver creduto fortemente a qualcosa che in realtà non esiste ed è stato creato magari apposta per farci cadere in errore non è facile. "Le persone non amano non sapere le cose e spesso si sentono obbligate a formarsi opinioni su cose che non capiscono", dice Vitriol, secondo il quale per scoraggiare le persone dall'aggrapparsi a false credenze, è bene incoraggiare invece l'idea che sia "razionale cambiare idea di fronte a nuove informazioni”. 

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