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Venerdì, 29 Marzo 2024
Primo caso a Roma

Peste suina africana, dobbiamo preoccuparci?

Il caso romano è il primo confermato al di fuori della zona rossa. Un pericolo concreto per gli allevatori e per l’industria alimentare, ma non per la salute: il virus infatti è innocuo per l'uomo

A Roma è stato confermato il primo caso di peste suina africana al di fuori della zona rossa. L’epidemia, contenuta fino ad ora nelle zone del genovese, Ponente ligure e basso Piemonte, ha raggiunto quindi la Capitale. Il pericolo fortunatamente non riguarda l’uomo, perché la malattia è innocua per la nostra specie. Ma se il focolaio dovesse allargarsi fino a raggiungere le aree di interesse zootecnico del Lazio, i danni potrebbero farsi ingenti. Per maiali e cinghiali la malattia è infatti contagiosissima, ed estremamente letale. 

A causare la peste suina africana, è un virus (il virus della peste suina africana) originario dell’Africa subsahariana. Si tratta di una febbre emorragica, simile a quella causata dal virus Ebola nella nostra specie. La malattia acuta provoca febbre alta, perdita di forze e di appetito, diarrea con perdite ematiche, emorragie interne e necrosi cutaneee. La mortalità negli animali infetti è variabile, ma solitamente molto elevata, e per i ceppi virali più aggressivi può raggiungere anche il 100%. Attualmente, non esistono terapie o vaccini efficaci per questa malattia.

Il virus può diffondersi per contatto tra esemplari infetti, per ingestione di carni o prodotti a base di carne derivati da animali infetti, e per contatto con oggetti e indumenti contaminati dal virus. È per questo che le misure di contenimento solitamente prevedono, oltre all’abbattimento dei capi infetti, il divieto di ingresso nelle aree interessate da focolai epidemici, dove gli esseri umani, anche se immuni al virus, possono contribuire alla sua diffusione involontariamente, attraverso la contaminazione di oggetti o indumenti. 

Un altro vettore di trasmissione della malattia sono le zecche, che rappresentano il reservoir naturale nelle aree dell’Africa sub-sahariana in cui il virus si è sviluppato e risulta tutt’oggi endemico. In queste zone, il virus infetta solitamente suini selvatici come facoceri e potamoceri, nei quali di norma non produce forme sintomatiche. La prima epidemia nei maiali da allevamento risale in effetti al 1907, e venne provocata probabilmente dall’introduzione di un alto numero di esemplari importati in Kenya dall’Europa.

Il primo focolaio al di fuori del continente africano è stata segnalata nel 1957, quando il virus raggiunse Lisbona, in Portogallo, provocando negli anni successivi diverse epidemie nel paese. Da quel momento la malattia iniziò a radicarsi nella penisola Iberica, raggiungendo la Spagna, la Francia, il Belgio e altre nazioni europee. Nel nostro paese i primi problemi risalgono al 1978, quando il virus è sbarcato in Sardegna, dove ha continuato a colpire ciclicamente nei decenni successivi, causando enormi perdite per gli allevatori di suini dell’isola. L’epidemia più recente è iniziata invece a gennaio di quest’anno, interessando un’ampia aria a cavallo tra Liguria e Piemonte. E ora, con il nuovo caso registrato a Roma, si teme che il virus possa diffondersi ulteriormente lungo la Penisola.

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