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Martedì, 23 Aprile 2024
Biosicurezza

Quand'è che studiare i virus in laboratorio diventa troppo pericoloso?

Esperimenti come quello dell'Università di Boston, che ha creato una variante di omicron più letale, riaccendono il dibattito sull'utilità, e i pericoli, che corriamo raccogliendo, e modificando, patogeni letali

Sars-Cov-2 è nato in un laboratorio? O è invece il frutto di un naturale, e sfortunato, spillover nell'ormai celebre mercato coperto di Wuhan? Poco importa, forse, visto che scoprirlo non riparerà i danni fatti da due anni di pandemia. Ma guardando al futuro il dilemma è destinato a riproporsi sempre più spesso: raccogliere e magari modificare in laboratorio virus potenzialmente letali comporta più rischi, o più benefici, per la salute globale? Il tema è più che mai attuale, visto che sulla scia della pandemia attualmente nel mondo sono in costruzione oltre 40 nuovi laboratori ad elevata biosicurezza, quelli attrezzati per maneggiare i patogeni più pericolosi. Un incidente, purtroppo, può sempre capitare. E come ci ricorda la cronaca di queste settimane, costruire virus letali, probabilmente, non è mai stato così semplice. 

Basta pensare ai laboratori dell'Università di Boston, dove è stato appena messo a punto un virus chimerico che combina la contagiosità di Omicron e la letalità del ceppo di Sars-Cov-2 originale. Lo scopo era quello di studiare gli effetti delle mutazioni accumulate nella proteina spike delle nuove varianti. Per questo motivo i ricercatori di Boston l'hanno innestata su un virus del ceppo originale, quello che circolava nelle prime fasi della pandemia, e hanno osservato con quale facilità il nuovo virus chimerico infettasse e uccidesse i propri ospiti. I test hanno rivelato che, nei topi da laboratorio, ha una capacità infettiva pari a quella di Omicron, e una letalità di poco inferiore a quella del ceppo originale. In questo modo, i ricercatori hanno potuto stabilire che le mutazioni accumulate da Omicron nella sua proteina spike ne hanno aumentato la capacità di infettare e di evadere la risposta immunitaria. Mentre evidentemente, la gravità delle infezioni, molto inferiore nel caso della variante omicron, deve essere determinata da mutazioni avvenute altrove. 

Secondo i ricercatori di Boston si tratta di ricerche sostanzialmente innocue, svolte nel rispetto dei protocolli vigenti, e preziose per ottenere informazioni sull'evoluzione di Sars-Cov-2. Della stessa opinione anche il comitato per la biosicurezza dell'università e la commissione per la salute pubblica di Boston, che hanno approvato, e poi difeso, l'esperimento. Resta il fatto, sottolineato da diversi scienziati, che non si conoscono i rischi che pone per l'uomo il nuovo patogeno ottenuto mescolando i due ceppi del virus. E che in casi come questo, è molto soggettivo decidere se il gioco valga davvero la candela. La direttrice della divisione di microbiologia e malattie infettive del National Institute of Allergy and Infectious Diseases, Emily Erbelding, ha rivelato inoltre che l'agenzia, che finanzia le ricerche nei laboratori di Boston, non era stata avvertita di questo esperimento. Spingendosi a dichiarare, intervistata dal magazine Stat: “Penso proprio che nei prossimi giorni dovremo farci una bella chiacchierata”. 

Tra le difficoltà che presentano questo genere di ricerche, una delle principali è valutare e classificarne esattamente la pericolosità. Le norme americane prevedono infatti controlli e restrizioni maggiori per esperimenti che coinvolgano patogeni altamente letali, ma nel caso di malattie come Covid 19, che pone un basso rischio individuale e un elevato pericolo per la salute pubblica, non è chiarissimo come muoversi. Stesso discorso con i cosiddetti esperimenti di Gain of Function, in cui un patogeno viene modificato rendendolo più pericoloso. In teoria, sembra chiaro di cosa si tratta. Nella pratica è ben più complesso: il virus di Boston, ad esempio, è stato reso più pericoloso? No, se come i suoi creatori guardiamo alla letalità inferiore a quella del ceppo originario. Sì, se pensiamo invece a Omicron, rispetto al quale è ben pià letale, ed ugualmente infettivo. 

Controversie simili sono all'ordine del giorno in questo campo. Un recente articolo di Science, ad esempio, ha rivelato che nei laboratori del National Institute of Health di Bethesda, nel Maryland, sono in corso ricerche che puntano a modificare il ceppo di vaiolo delle scimmie che ha alimentato l'epidemia degli scorsi mesi (originario dell'Africa occidentale), utilizzando materiale genetico dell'altro ceppo noto, diffuso principalmente nell'Africa centrale e nel bacino del Congo, ben più infettivo e letale. 

L'obbiettivo è quello di individuare le caratteristiche genetiche che rendono uno dei due ceppi virali molto più pericoloso dell'altro. Ma evidentemente, nel corso delle ricerche verranno creati nuovi virus artificiali che, se mai dovessero diffondersi per errore al di fuori dei laboratori, potrebbero provocare nuove epidemie, dalle conseguenze potenzialmente ben più gravi di quella in corso. Anche in questo caso, a rendere possibili gli esperimenti è stata la valutazione di una scarsa pericolosità del virus: il vaiolo delle scimmie, tutto sommato, non è una malattia grave, visto che la letalità raggiunge al massimo il 10% con il ceppo dell'Africa Centrale, e che la trasmissione del virus è piuttosto rara, con le dovute precauzioni. 

O almeno, così era stato deciso nel 2018 al momento di approvare le ricerche. Oggi, con più di 76mila casi accertati nel corso dell'epidemia, anche la scarsa trasmissibilità e la letalità contenuta del ceppo dell'Africa occidentale inizia a fare paura. Un virus simile, ma con la letalità di quello diffuso nel bacino del Congo, potrebbe rivelarsi un autentico incubo per qualsiasi sistema sanitario. In effetti, la lezione di Covid 19 sembra aver smosso un po' le acque. In America un panel di esperti ha raccomandato appena lo scorso mese di modificare le norme vigenti, per includere tra i patogeni sottoposti a controlli speciali anche virus con bassa letalità ma pericolosi per la tenuta dei sistemi sanitari (come Sars-Cov-2), e virus a bassa infettività ma capaci di produrre sintomatologie molto gravi (come una possibile versione chimerica del vaiolo delle scimmie). 

Questa la situazione in America. In Europa, dal canto nostro, non abbiamo normative comuni sulle ricerche di Gain of Function, e le norme nazionali sono generalmente considerate relativamente permissive. Guardando al quadro globale, si tratta praticamente di un far west, in cui ogni nazione fa storia a sé. È per questo che preoccupa il proliferare di nuovi laboratori ad alta biosicurezza, molti dei quali sorgeranno in nazioni con economie emergenti, come le Filippine o l'India. Così come gli ingenti investimenti previsti nei prossimi anni per la catalogazione e lo studio dei virus zoonotici più pericolosi. L'obbiettivo, chiaramente, è quello di prevenire la prossima pandemia, o quantomeno di farsi trovare pronti quando arriverà. Il rischio – sottolineano sempre più esperti – è quello di finire, invece, per causarla. 

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