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Sabato, 20 Aprile 2024
Terza dose

Terza dose: ecco perché un test sierologico non può dirci se siamo protetti

I risultati del test non indicano se si è protetti o meno da nuove infezioni. E la presenza di alti livelli di anticorpi non rappresenta una controindicazione nei confronti di una dose aggiuntiva del vaccino

La protezione offerta dai vaccini anti Covid diminuisce nel tempo. Ce lo dicono i dati che arrivano da paesi che hanno iniziato prima di noi a somministrarli, come Israele, dove la terza dose booster ha dimostrato di ripristinare un'altissima protezione nei confronti del virus, diminuendo del 93% il rischio di ospedalizzazione, del 92% quello di sviluppare una forma grave della malattia, e dell’89% quello di decesso, rispetto a chi ha completato da cinque mesi o più il primo ciclo vaccinale. Non è detto però che sia necessaria per tutti: i pericoli, lo abbiamo imparato, sono molto diversi in base all’età, allo stato di salute, e al lavoro che facciamo.

Per questo motivo, attualmente si è deciso di riservare la dose booster per gli over 60, i pazienti a rischio e il personale medico, in attesa di dati più precisi sulla sua utilità per il resto della popolazione. In una situazione del genere, c’è chi chiede di utilizzare un test oggettivo, come il dosaggio degli anticorpi, per valutare con più precisione a chi ha bisogno del booster, e chi può invece farne a meno: se gli anticorpi sono diminuiti – è questo il ragionamento – si può ricorrere nuovamente al vaccino per ripristinare la protezione che va sparendo; se sono ancora alti, meglio evitare. Un ragionamento che può sembrare sensato, ma che è in realtà infondato sul piano scientifico.

I test sierologici non dicono se si è protetti

Lo ha spiegato con precisione l’Fda americana in una nota dello scorso maggio, in cui ricordava alla popolazione statunitense che l’utilizzo dei test sierologici non è raccomandato per valutare a posteriori l’efficacia della vaccinazione nei singoli pazienti. I test attualmente disponibili, infatti, non sono stati studiati per verificare la protezione individuale nei confronti di Sars-Cov-2: un test sierologico può dirci se siamo entrati in contatto con il virus (o se abbiamo effettuato una vaccinazione) nei mesi precedenti, sviluppando di conseguenza anticorpi in grado di neutralizzarlo, ma nulla più. Non ci dice quindi se i livelli di anticorpi presenti nel nostro organismo sono sufficienti per impedire un’infezione, o lo sviluppo della malattia in forma severa. E prendere decisioni basandosi su dati scientificamente inconcludenti può avere conseguenze gravi, spingendo ad esempio una persona in cui il vaccino non dato i risultati sperati ad abbassare la guardia, o destando preoccupazioni ingiustificate in persone che presentano bassi livelli di anticorpi, ma sono perfettamente al sicuro da Covid 19. 

Non conosciamo la soglia di protezione

Il motivo di questa inefficacia diagnostica ha diverse spiegazioni. La prima, come abbiamo detto, è che i test in commercio non sono stati pensati per questo utilizzo. In media hanno un’ottima capacità di identificare gli anticorpi prodotti in seguito ad un’infezione. Ma come ricorda la stessa Fda, non tutti i kit in commercio riconoscono con la stessa efficacia anche quelli prodotti in seguito alla vaccinazione, e quindi può capitare che una persona perfettamente immunizzata dal vaccino risulti negativa ad un test sierologico. 

Il secondo problema è legato al fatto che la protezione fornita dagli anticorpi, definita immunità umorale, non è così semplice da valutare. È stato dimostrato, ad esempio, che la quantità di anticorpi neutralizzanti (cioè quelli effettivamente in grado di legarsi alla proteina spike del virus e impedirne la replicazione) è correlata alla protezione dalle infezioni. Questo però in senso molto generale, perché nessuno ha ancora identificato una soglia precisa in cui il livello di anticorpi presenti nell’organismo diventa sufficiente per impedire l’infezione, o lo sviluppo di una forma grave di Covid. Per questo motivo, il dosaggio degli anticorpi viene utilizzato in alcuni studi clinici come indicatore dell’efficacia della vaccinazione, ma con la consapevolezza che si tratta di una relazione indiretta: un indizio, ma non certo una prova. 

Non solo anticorpi

Il sistema immunitario non si riduce infatti ai soli anticorpi presenti nel sangue in dato momento. Esiste ad esempio un tipo di linfociti B detti plasmacellule di lunga durata, che una volta identificato un virus nel corso di un’infezione, o in seguito alla vaccinazione, si insediano nel midollo, sopravvivendo per anni, pronti a produrre nuovamente gli anticorpi che si sono rivelati utili in precedenza, in caso di nuove invasioni. Dopo mesi dalla guarigione o dalla vaccinazione i livelli di anticorpi presenti nel sangue possono quindi anche calare, ma nelle giuste condizioni l’organismo può comunque essere pronto a rimpolparli al momento del bisogno. 

Allo stesso modo, esistono altre cellule immunitarie chiamati linfociti T, che hanno il compito di riconoscere le cellule infettate da un virus, per distruggerle e impedire che dilaghi nell’organismo. Questo tipo di immunità, definita cellulo-mediata, è particolarmente importante nei confronti dei coronavirus, come Sars-Cov-2. E nuovamente, la sua efficacia non può essere dedotta dal risultato di un test sierologico, perché non è legata alla presenza di specifici anticorpi. 

Fidarsi delle autorità

Per tutti questi motivi, attualmente è impossibile stabilire con un test quanto si è effettivamente protetti nei confronti di Covid 19. E l’unica alternativa percorribile per la somministrazione della terza dose booster del vaccino è quella scelta dalle autorità sanitarie del nostro paese: procedere per fasce di popolazione, iniziando da chi presenta un pericolo maggiore di contrarre la malattia in forma grave, o di trasformarsi in un vettore di contagio per altri pazienti a rischio. Se la situazione nei prossimi mesi lo renderà necessario, si allargherà la platea progressivamente, come avvenuto per il primo ciclo del vaccino. E a tempo debito potremo tutti sottoporci al terzo richiamo, senza timori: gli esperti concordano infatti nel ritenere il vaccino assolutamente sicuro, anche per chi dovesse avere già alti livelli di anticorpi nel proprio organismo.

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