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Venerdì, 19 Aprile 2024
Inquinamento pandemico

25mila tonnellate di plastica inquinano i mari a causa di Covid 19

Tra guanti, mascherine e altri dispositivi medici monouso, dall’inizio della pandemia abbiamo prodotto 8 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica per affrontare Covid 19. Di queste, 25mila tonnellate sono state disperse nei mari e negli oceani del pianeta

Covid 19 rappresenta un pericolo anche per l’ambiente. In due anni di pandemia abbiamo prodotto e consumato tonnellate di plastica usa e getta per confezionare mascherine, guanti chirurgici e altri dispositivi di protezione individuale. E molti di questi rifiuti, purtroppo, non sono stati smaltiti a dovere, finendo per inquinare le acque di fiumi, mari e oceani, ad un ritmo inedito. A lanciare l’allarme è uno studio pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences, in cui i ricercatori dell’Università di Nanchino e dell’Università della California di San Diego calcolano che degli otto milioni di tonnellate di rifiuti di plastica prodotti a causa della pandemia, ben 25mila tonnellate sono già state disperse negli ecosistemi marini del pianeta.

Molte zone del mondo, d’altronde, avevano difficoltà a smaltire i rifiuti anche prima dell’arrivo di Covid 19. E con la pandemia si sono trovate ad affrontare una montagna di plastica usa e getta non preventivata, che in molti casi è finita quindi nell’ambiente. Stando ai calcoli effettuati dagli autori della ricerca, la maggior parte di questi “rifiuti pandemici” è composta da scarti provenienti dagli ospedali: mascherine, guanti, visiere, dispositivi medici di ogni tipo e relativo packaging, che rappresentano l’87,4% delle 25mila tonnellate di plastica disperse nell’ambiente negli ultimi due anni.

I dispositivi di protezione individuale gettati dai cittadini rappresentano la seconda fonte di inquinamento pandemico, fermandosi però al 7,6% del totale. Seguono, con percentuali ancora minori, la plastica utilizzata per l’imballaggio e il confezionamento delle merci acquistate online (un mercato aumentato parecchio durante i lockdown) e i kit per i test Covid.

Per verificare quale sarà il destino di questi rifiuti, gli autori dello studio hanno utilizzato un nuovo modello computazionale che permette di simulare il percorso dei rifiuti abbandonati nell’ambiente con estrema precisione. “Il modello è in grado di simulare il movimento dell’acqua marina sotto effetto dei venti – spiega Yanxu Zhang, uno dei ricercatori dell’Università di Nanchino che hanno partecipato allo studio – in che modo la plastica galleggia sulla superficie degli oceani, come viene degradata dalla luce solare, sequestrata dal plankton, quando finisce per accumularsi sulle spiagge e quando invece sprofonda nelle profondità degli oceani”.

Stando al modello, la maggior parte della plastica raggiungerà i mari passando dai grandi fiumi, in particolare quelli del continente asiatico, che da solo contribuisce per il 73% all’immissione di rifiuti di plastica negli oceani, seguiti da quelli europei, responsabili dell’11% dei rifiuti totali. Nell’arco dei prossimi tre anni – calcolano i ricercatori – molta della plastica prodotta dalla pandemia sarà finita sulle spiagge o sarà precipitata sui fondali oceanici. Una percentuale minoritaria, ma non per questo insignificante, è destinata invece a continuare il suo viaggio, fino a raggiungere le grandi isole di plastica che si sono formate al centro degli oceani dopo decenni di inquinamento selvaggio, come quella situata al centro dell’oceano Pacifico, le cui dimensioni attualmente sono stimate tra i 700mila e 15milioni di chilometri quadrati.

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