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Mercoledì, 24 Aprile 2024
L'epidemia / Stati Uniti d'America

Anche gli Usa hanno registrato il primo caso umano di influenza aviaria

Un uomo ha contratto il virus del ceppo H5N1 durante le operazioni di abbattimento di pollame in un allevamento del Colorado. Il rischio per il pubblico rimane comunque basso

A poco più di tre mesi dal caso inglese dello scorso dicembre, anche gli Stati Uniti registrano il primo paziente infettato dal virus dell'influenza aviaria H5N1. Le autorità sanitarie americane stanno monitorando la situazione, ma per ora gli esperti invitano alla calma. Il caso americano è infatti il risultato di un’esposizione diretta a volatili infetti, e come in passato il virus sembra ancora molto poco trasmissibile tra esseri umani, e quindi considerato a basso rischio epidemico. Diversa la storia, ovviamente, in campo veterinario: la nuova epidemia di H5N1 negli scorsi mesi ha interessato 33 paesi in Europa e 34 stati americani, costringendo all’abbattimento di di decine di milioni di volatili (soprattutto polli da allevamento).

Secondo fonti di stampa americane il nuovo paziente sarebbe un detenuto, che al momento del contagio era impegnato nell'abbattimento di pollame negli allevamenti del Colorado, nell'ambito di un programma di reinserimento professionale di un carcere della zona. Il paziente per ora ha riportato solo blandi sintomi influenzali, ed è in terapia con antivirali. Si tratta del primo contagio mai avvenuto su suolo americano, e del secondo registrato dall’inizio della nuova ondata epidemica di H5N1.

Le autorità sanitarie degli Stati Uniti al momento stanno monitorando le condizioni di salute di altre 10 persone entrate in contatto con l'uomo, ma non sembrano esserci indizi di contagi secondari. Anche sul contagio del primo paziente, a dire il vero, mancano ancora certezze: le analisi effettuate hanno rivelato la presenza di un virus del ceppo H5, quello di cui fa parte il virus H5N1, ma per ora mancano i risultati della tipizzazione della neuranimidasi, un enzima viruale che confermerà se si tratta, o meno, del temuto sottotipo N1 dell'influenza aviaria.

Per i Center for Disease Control and Prevention americani, il nuovo contagio “non cambia la precedente valutazione del rischio”, che rimane basso. Il virus dell'influenza aviaria è infatti estremamente infettivo per molte specie di uccelli, ma nell'uomo ha mostrato fino ad oggi una scarsissima capacità di trasmissione, con meno di mille contagi nell'arco degli ultimi 20 anni. La mortalità in caso di infezione negli esseri umani è pero estremamente elevata, compresa tra il 30 e il 60%. Ed è per questo che il virus viene seguito con attenzione dagli esperti: basterebbe una qualche piccola mutazione che aiuti il virus a contagiare più efficacemente la nostra specie, per trasformare l'aviaria in una nuova pandemia di proporzioni potenzialmente catastrofiche. Più l'aviaria circola e infetta la nostra specie, maggiori sono ovviamente i rischi. E visto quello che abbiamo passato negli ultimi due anni con Covid 19, non è certo il caso di farsi trovare nuovamente impreparati.  

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