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Giovedì, 25 Aprile 2024
Un telescopio spaziale da record

Telescopio James Webb: la Nasa rischia tutto in una delle missioni spaziali più ambiziose di sempre

10 miliardi di dollari, 25 anni di lavoro, e moltissime incognite che possono vanificare l'impresa. Ecco perché la Nasa ha deciso di lanciarsi in una scommessa così rischiosa

Ci siamo quasi: il prossimo 22 dicembre il più potente telescopio mai costruito partirà alla volta dello spazio aperto, per rivoluzionare la nostra conoscenza dell'universo. L'incidente che nelle scorse settimane ha costretto la Nasa a ritardare il lancio non ha danneggiato l'imponente struttura del James Webb Space Telescope, e ora non resta che incrociare le dita e sperare che tutto vada per il meglio. Durante il decollo, e soprattutto nei 30 giorni che impiegherà per raggiungere la sua destinazione (a circa un milione e mezzo di chilometri di distanza dal nostro pianeta), la fase considerata più critica dai progettisti della Nasa. I pericoli che dovrà superare sono ancora molti, ma le scoperte che promette di rendere possibili ripagheranno di certo, e con gli interessi, i decenni di lavoro, e i miliardi di dollari, impiegati per costruirlo. 

Una missione rischiosa

Il progetto del telescopio Webb viene da lontano: era il 1996 quando la Nasa, in collaborazione con Esa e l'agenzia spaziale canadese, iniziò a lavorarci, ad appena sei anni di distanza dal lancio di Hubble, l'apparecchio (appena andato in pensione) che per anni ha rappresentato il top dell'astronomia spaziale. All'epoca, il nuovo progetto si chiamava ancora “Next Generation Space Telescope”, aveva un budget stimato di 500 milioni di dollari, una data di lancio fissata per il 2007, e una certezza: avrebbe sondato lo spazio nello spettro dell'infrarosso, a differenza di Hubble che, per quanto potente, è progettato per osservazioni concentrate principalmente nello spettro della luce visibile, una caratteristica che limita la sua capacità di captare i corpi celesti più lontani dal nostro pianeta. Le specifiche tecniche si sono evolute nel tempo, di pari passo con il costo del progetto (che alla fine è risultato venti volte superiore a quello di partenza) e con la data di lancio. Il risultato finale è un gioiello tecnologico senza eguali nel mondo dell'astronomia, e uno dei più ambiziosi progetti mai tentati dalla Nasa. 

Il tutto espone il telescopio Webb a rischi nuovi, e difficili da preventivare: molte delle tecnologie che porta con sé sono state sviluppate ad hoc negli ultimi decenni, e verranno testate per la prima volta nello spazio durante questa missione. Il punto in cui verrà posizionato, il cosiddetto punto L2 del sistema Sole Terra, si trova ben oltre l'orbita lunare, e questo rende impossibile qualunque tipo di riparazione o manutenzione da parte di astronauti umani, come avvenuto invece in diverse occasioni nel caso di Hubble. Tutto deve andare esattamente come previsto, insomma, perché a lancio effettuato, non si torna più indietro. E di cose che potrebbero andare storte ce ne sono fin troppe. 

Per riuscire a lanciare il suo specchio primario, che ha un diametro di 6,5 metri, e lo schermo solare delle dimensioni di un campo da tennis (21x14 metri), gli ingegneri della Nasa hanno dovuto impacchettare il tutto all'interno del veicolo di lancio, prevedendo un sistema di apertura automatica che dispiegherà i due dispositivi durante i 30 giorni di viaggio necessari per giungere a destinazione. Nonostante sia il frutto del lavoro delle migliori menti del pianeta, un simile dispositivo presenta ben 344 meccanismi che devono funzionare perfettamente per la riuscita della missione. Il minimo problema con uno solo di questi passaggi, e la missione è destinata al fallimento. Cosa ha spinto la Nasa a puntare miliardi e decenni di lavoro su un progetto così delicato? È presto detto: la speranza che rivoluzioni l'astronomia e la cosmologia, per come le conosciamo attualmente.

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Cosa studierà Webb?

Gli strumenti del telescopio Webb offriranno agli scienziati due principali filoni di ricerca, in qualche modo opposti: la possibilità di studiare con precisione le regioni di spazio più vicine al nostro pianeta, e l'opportunità di gettare uno sguardo alle parti più distanti dell'universo, talmente lontane da offrire un'istantanea su un passato lontanissimo, quando l'universo aveva appena qualche milione di anni. Parlando delle osservazioni nello spazio più vicino a noi, Webb permetterà di studiare con maggiore precisione corpi celesti come Marte, Giove e Saturno, pianeti nani come Plutone ed Eris, ma anche gli asteroidi e le comete che popolano il nostro Sistema Solare. Aiuterà inoltre a indagare le caratteristiche degli esopianeti che popolano altri sistemi stellari della galassia, alla ricerca di indizi che possano indicare la presenza di forme di vita, e studierà le nubi di polvere cosmica da cui hanno origine stelle e pianeti, per osservare in diretta i processi che hanno dato vita anche al nostro Sistema Solare. 

Alzando lo sguardo verso l'orizzonte più distante dell'universo, gli scienziati sperano invece di riuscire a studiare per la prima volta le primissime galassie formatesi in seguito al Big Bang. Così distanti da noi che la luce che possiamo veder arrivare oggi risale ad appena qualche centinaio di milioni di anni dalla nascita dell'universo. Le osservazioni effettuate con Hubble suggeriscono la loro esistenza (in precedenza gli scienziati non erano certi che in una fase così precoce si fossero già formate stelle o galassie), ma per esserne certi, e per studiarle con precisione, servono strumenti pensati per osservare le radiazioni elettromagnetiche nello spettro dell'infrarosso, come quelli, appunto, di cui è equipaggiato il nuovo telescopio. Tra una cosa e l'altra, inoltre, Webb potrebbe aiutare a trovare le risposte ad alcuni dei più grandi misteri della fisica e della cosmologia moderne. Facendo ordine tra le misure contrastanti rilevate negli ultimi decenni riguardo alla velocità di espansione dell'universo (e quindi sulla natura dell'ipotetica energia oscura che spinge le galassie ad accelerare la loro fuga dal centro dell'universo). E gettando luce sulla natura della materia oscura, l'ingrediente misterioso che dovrebbe rappresentare l'85% dell'intera materia che compone l'universo.

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Un nome controverso

Le premesse per una nuova eccitante stagione di scoperte scientifiche, insomma, ci sono tutte. E alla Nasa probabilmente sperano che quando le scoperte inizieranno finalmente ad arrivare, l'euforia contribuirà a far passare in secondo piano le polemiche che negli ultimi mesi hanno funestato l'impresa. Tutta colpa del nome scelto per la nuova missione, dedicata all'ex direttore della Nasa James E. Webb. Un funzionario, non uno scienziato come vorrebbe la tradizione che ha guidato per decenni i battesimi delle missioni scientifiche dell'agenzia. E per di più, un funzionario controverso, perché tra il 1949 e il 1952 Webb lavorò come sottosegretario nel dipartimento di stato americano, in un periodo in cui vennero decise, e promulgate, le norme che avrebbero dato il via a quella che oggi viene definita “lavender scare”: un periodo di epurazioni che puntavano all'eliminazione del personale omosessuale dagli apparati governativi degli Stati Uniti. 

Migliaia di omosessuali si trovarono a perdere il lavoro nei decenni successivi, e nonostante il ruolo di Webb nella vicenda non sia mai stato chiarito, un folto gruppo di astronomi e astrofisici a maggio di quest'anno ha lanciato una petizione per chiedere formalmente di cambiare il nome del nuovo telescopio, in favore di un personaggio meno divisivo. Una proposta che la Nasa ha deciso ignorare, ma che probabilmente sarebbe stata propizia per una missione che, in fin dei conti, punta a spingere la nostra specie verso il futuro, e non certo a guardare indietro alle storture del passato. 

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