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Giovedì, 18 Aprile 2024
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Il land grabbing è un crimine contro l’umanità: ecco di cosa si tratta

In seguito a quanto avvenuto in Cambogia nel 2014, con contadini cacciati dalle proprie abitazioni in nome delle mono-culture, il land grabbing è diventato perseguibile

Il land grabbing è considerato uno dei reati più gravi in materia ambientale. Si tratta nello specifico della vendita di larghe porzioni di terreno senza il consenso delle comunità che ci abitano o che la usano per sostentarsi. È ciò che accade ripetutamente a causa della speculazione da parte di multinazionali straniere, che sottraggono terre ai paesi in via di sviluppo, con gravi conseguenze.

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Una conseguenza su tutte è l’impoverimento dei terreni provocato da queste mono-culture, che accelerano in maniera inesorabile il cammino verso le desertificazioni. Ed è la morte della biodiversità, che si riduce in modo notevole e facilita la strada alla diffusione di nuovi virus, che colpiscono flora, fauna ed esseri umani.

Land grabbing: un impatto negativo su più fronti

Ma c’è di più. Come ha spiegato Ward Anseeuw, economista e analista politico, ricercatore presso l’Agricultural Research Centre for International Development (CIRAD): “Il land grabbing  ha un impatto negativo su diversi fronti: le mono-culture impoveriscono i terreni, e quindi accelerano il loro inaridimento. E richiedono una grande meccanizzazione, per cui un basso apporto di forza lavoro. Senza contare che non di rado vengono realizzate ai danni del manto forestale”.

Le vittime di questo fenomeno sono soprattutto i migliaia di contadini di tutto il mondo, costretti ad abbandonare le proprie terre e cercare un nuovo posto dove poter lavorare. Tra i paesi più colpiti vi sono Indonesia, Malesia e Papua Nuova Guinea.

Il caso di land grabbing in Cambogia

È stato un caso di land grabbing avvenuto in Cambogia, inizialmente archiviato ma poi riaperto nel 2014, ad aver scatenato le indagini da parte dell’’ICC e a rendere il land grabbing un vero e proprio reato. Il governo cambogiano è infatti accusato di aver forzato 350mila persone ad abbandonare le proprie abitazioni per vivere in povertà.

Nel testo sottoposto all’Aja dall’avvocato Richard Rogers in seguito a un’indagine svolta nel 2014 su questo fenomeno, si leggono danni ingenti e violazioni dei diritti fondamentali: canali interrati, foreste distrutte, villaggi incendiati per lasciare posto a nuove colture intensive di aziende locali e straniere, arresti e uccisioni sommarie. Ai contadini cacciati dalle loro case, ovviamente, non è stato garantito alcun risarcimento.

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I colpevoli di quanto avvenuto in Cambogia sono diversi: dai membri anziani del governo esecutivo, delle forze di sicurezza (esercito, gendarmi e polizia) e uomini o donne d’affari legate ai governanti. Secondo quanto ha dichiarato Rogers, è una reazione a catena: gli imprenditori forniscono la domanda, il governo concede le concessioni a porte chiuse, le forze di sicurezza cacciano dai terreni la gente, spesso in modo violento.

Un atto increscioso di espropriazione illecita solo ed esclusivamente nel nome del profitto. Ad oggi il land grabbing ha colpito circa 850mila persone negli ultimi venti anni, oltre il 5 per cento dell’intera popolazione. Combattere il land grabbing non vuol dire solamente avere a cuore l’ambiente e la sostenibilità, ma evitare una delle tante catastrofi sociali che possono impoverire ulteriormente contadini e ambiente circostante.

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