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Eco-ansia: una patologia diffusa in tutto il mondo

La crisi ambientale e i suoi effetti diretti e indiretti possono causare numerose problematiche, soprattutto alle generazioni future

Non ancora inserita nel manuale di riferimento per le patologie della psiche (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, DSM-5), l’eco-ansia è già una realtà ben affermata tra i giovani e mira a un aumento sempre più forte. Si tratta dello stress causato dall’osservazione di impatti lenti e apparentemente irrevocabili della crisi climatica e dalla preoccupazione per il futuro prossimo, ma anche quello delle future generazioni.

La natura di questo malessere è rafforzata da uno studio dell’American Psychological Association (APA), che afferma che i cambiamenti climatici “stanno colpendo la salute mentale su larga scala”. L’origine dell’eco-ansia va rintracciata in una fitta rete di implicazioni della crisi climatica. Non solo eventi “diretti” come tifoni, bombe d’acqua o le innumerevoli ondate di calore, ma anche conseguenze “indirette” di tutto questo: instabilità economica, insicurezza alimentare e idrica.

Effetti per il corpo e la mente

Uno scenario così ampio porta a esiti dannosi sia per la salute del corpo (fame, malnutrizione, stress da calore, patologie e traumi indotti dal dissesto idrogeologico) che su quella mentale (ansia, stress, attacchi di panico). Un esempio su tutti:  in seguito all’uragano Katrina, il 49% della popolazione colpita ha sviluppato disturbi dello spettro ansioso. E ancora: le lunghe ondate di calore cui stiamo facendo fronte almeno da un paio d’anni sono associate a crescenti tassi di mortalità, omicidi, suicidi e aggressioni fisiche. Con una conseguenza ancora più grave: questi disturbi della psiche possono toccare anche chi non vive direttamente i danni tangibili della crisi climatica, soprattutto in un mondo interconnesso come quello in cui viviamo inesorabilmente oggi.

Le vittime: i giovani

A fare i conti con l’eco-ansia sono soprattutto i giovani della cosiddetta generazione Z: nati tra il 1995 e il 2010. Un range che corrisponde molto spesso a quello dei ragazzi di Fridays For Future e che potrebbero costituirsi come le vittime potenziali di un disturbo psico-fisico associabile a  “una paura cronica della rovina ambientale”, un senso di perdita, una mancanza di speranza e frustrazione dovute all’incapacità di adattarsi ai cambiamenti climatici.

Se è vero, come si dice, che prevenire è meglio che curare, la società avrebbe già il dovere di ideare un piano di supporto psicologico verso le generazioni future. Ma per il riconoscimento dell’eco-ansia come condizione diagnosticabile potrebbe ancora tardare.

Non tarda però il sostegno da parte dello staff di Fridays For Future Italia, che ha già affrontato l’argomento sul sito, invitando alla partecipazione: “Negli ultimi anni abbiamo scoperto che l’antidoto per l’ansia è agire. Possiamo superare queste emozioni lavorando per costruire una comunità e unendoci per lottare per un cambiamento sistemico. Se ti senti ansios*, devi sapere che non sei sol*.”

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