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Revenge porn: ecco perché è molto più di una vendetta

Reato in forte ascesa, si sviluppa grazie di una serie di cause, che affondano in una determinata condizione socio culturale. Spesso sottovalutato, può avere epiloghi drammatici, come dimostrano i fatti di cronaca

Uno delle più odiose forme di violenza è quella del revenge porn e, purtroppo, questo genere di reato sta crescendo rapidamente.
In poche parole, il revenge porn (letteralmente “vendetta pornografica”) consiste nella diffusione di video e immagini intime o sessualmente esplicite, senza il consenso della persona soggetto di tali riprese.
I social sono, ovviamente, il canale principale attraverso il quale il materiale viene diffuso.
I motivi per cui vengono effettuate le condivisioni sono vari: punire colei che ha osato interrompere una relazione, esporre al pubblico ludibrio la persona presa di mira, denigrarla, bullizzarla, molestarla, controllarla.

In molti casi, gli uomini e i ragazzi accusati di tale reato, si sono giustificati adducendo il proprio atto alla goliardia, anche se è drammaticamente evidente come non ci sia nulla di giocoso e divertente in tale atto.
Le ripercussioni psicologiche sulle donne che subiscono revenge porn sono tremende: la sfera affettiva e psicologica può essere colpita anche a distanza di anni, per non parlare dell’aspetto lavorativo che viene coinvolto nell’equazione (anche se non dovrebbe essere così).
Purtroppo ci sono esempi di cronaca a dimostrare quante sia disgustoso e grave questo reato.
Il più recente è il caso della maestra di Torino, il cui fidanzato condivise sue foto intime nella chat di calcetto; gli amici, a loro volta, diffusero tali foto, che portarono al licenziamento dell’insegnante.
Risalente al 2015, ma ancora tristemente noto, è il caso di Tiziana Cantone, anch’essa vittima di revenge porn, che si è concluso con il suicidio della donna.

Telegram, crescita del revenge porn

Tra tutti i social, Telegram si è dimostrato, in maniera particolare, terreno fertile per lo sviluppo e la diffusione di gruppi e canali dedicati al revenge porn.
Tale situazione si evince chiaramente dall’analisi effettuata, nel 2020, dall’Osservatorio PermessoNegato.it.
Secondo i dati, a febbraio si contavano 17 gruppi di revenge porn, cui aderivano 1,147 milioni di utenti, per passare, a maggio, a 29 gruppi e 2.223 milioni di utenti; a novembre 2020 è stata registrata la presenza di ben 89 gruppi e 6 milioni di utenti; una crescita che non sembra volersi arrestare.
L’Osservatorio ha, inoltre, riportato un fatto grave: Telegram non risponde a nessun tipo di segnalazione, non collabora con le forze dell’ordine nel fornire dati per perseguire gli admin dei gruppi e nemmeno si degna di chiudere i canali segnalati.
Viene da domandarsi il perché.

Perché il revenge porn è così diffuso

Già il fatto che la condivisione avvenga, principalmente, tramite social, per molti fa sembrare meno grave il reato, che viene percepito quasi come meno reale.
Non c’è la consapevolezza del mezzo utilizzato, inoltre questi uomini, dietro lo schermo, si sentono protetti, quasi “intoccabili” (basti pensare ai “leoni da tastiera” che, in diverse occasioni, si sono prodigati nell’augurare morti e stupri, per poi ritrattare quando accusati di persona).
Si agisce con leggerezza perché non si hanno presenti le conseguenze legali (il che, ovviamente, non è una giustificazione).

Inoltre, aspetto ancora più preoccupante, è il fatto che il revenge porn affonda le sue radici in una cultura diffusa, per cui una donna non può autoaffermarsi, non ha il diritto di avere una sessualità libera e indipendente; una donna deve essere sottomessa, altrimenti esce dagli schemi e va punita.
Un rigurgito maschilista in cui estremizza l’oggettificazione del donna, dandola in pasto al branco; il maschio, così, riprende il controllo sulla femmina.
È la stessa base socio culturale da cui hanno origine anche la cultura dello stupro e la violenza di genere.
In questo caso, la consapevolezza c’è, eccome.
A riaffermare la predominazione maschile, infatti, non sono sociopatici, stupratori, pedofili o malati mentali: sono uomini “normali”, spesso ben inseriti nella società.

Alla luce di ciò, il termine revenge porn risulta limitante, dato che la vendetta è solo la punta dell’iceberg.

Analisi del fenomeno

Due ricercatrici si sono dedicate all'approfondimento della questione, analizzandola e osservandola da diversi punti di vista.
Dall'impegno di Lucia Bainotti (lecturer in New Media & Digital Culture e ricercatrice postdoc presso l’Università di Amsterdam) e Silvia Semenzin (ricercatrice postdoc in Sociologia Digitale all’Università Complutense di Madrid e docente in New Media & Digital Culture all’Università di Amsterdam) nasce, infatti, il saggio “Donne tutte puttane”.
Il titolo deriva dal nome di un gruppo Telegram, in cui una decina di ragazzi si scambiavano foto e video intimi di ragazze, ovviamente a loro insaputa.
Nonostante la violenza e la prevaricazione intrinseche in tali azioni, i ragazzi consideravano la creazione del gruppo una gioco, una semplice goliardata.
Tra i vari temi trattati, il saggio prende in considerazione anche quello della maschilità egemone, perfettamente inserita nella società di stampo patriarcale che ci circonda, fino ad arrivare a suggerire come reciproco rispetto, libertà e autodeterminazione di entrambi i generi siano non solo caldeggiati, ma necessari per il raggiungimento di una società più equa e sana.

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