Riforma del lavoro: ecco cosa cambia
Approvati anche gli ultimi emendamenti della Riforma del Lavoro varata dal Ministro Elsa Fornero. Ora il testo passa in aula. Ecco cosa cambia punto per punto
Ecco cosa cambia punto per punto con la riforma del lavoro di Elsa Fornero.
Le novità per i Co.co.pro (che secondo i dati Isfol relativi al 2010 sono 676 mila): il salario base e l'assegno di disoccupazione. I datori di lavoro saranno obbligati a garantire ai lavoratori a progetto una retribuzione uguale o superiore a quanto stabilito con decreto del Ministero del Lavoro. La nuova retribuzione verrà calcolata facendo una media tra le tariffe del lavoro autonomo e quelle dei contratti collettivi nazionali.
Previsto inoltre un assegno di disoccupazione una tantum il cui valore sarà pari al 7% del minimale annuo. Circa 6 mila euro per chi ha lavorato 12 mesi. I requisiti per ottenerlo (monocommittenza, reddito non superiore a 20mila euro per l'anno precedente, versamento di almeno una mensilità dell'anno in corso, almeno due mesi di disoccupazione e almeno tre mensilità di contribuzione nell'anno precedente), ci spiega Claudio Treves, responsabile del dipartimento Politiche del Lavoro della Cgil, “hanno il merito di allargare un po' la forbice rispetto alla norma vigente. Probabilmente saranno un po' di più le persone che usufruiranno dell'assegno ma non si tratta comunque di una misura risolutiva poiché non avendo la caratteristica dell'universalità non risponde alle esigenze dei lavoratori”.
Previsti infine maggiori costi contributivi per i datori di lavoro. Per il 2013 le aliquote contributive sono state fissate nella misura del 27% e cresceranno ogni anno fino a raggiungere quota 33% nel 2018. L’obiettivo del Governo è disincentivare il lavoro precario a favore di quello da dipendente. Ma non c’è il rischio che a pagare alla fine saranno i collaboratori? La stessa presidente uscente di Confindustria Emma Marcegaglia ha dichiarato che il mondo delle imprese potrebbe decidere "di non rinnovare i contratti" proprio per il "timore dei contenziosi legali" con il risultato che "l'occupazione potrebbe calare". “Questa ipotesi è possibile”, afferma Treves ma non è l'unica. “Il ministro Fornero ha paventato anche il rischio di un ritorno al lavoro nero”, continua il sindacalista.
Cosa cambia per le partive Iva. Viene introdotto l'obbligo di trasformare le consulenze in collaborazioni coordinate e continuative (co.co.pro) o in contratti a tempo indeterminato per le partite IVA che presentano almeno due delle seguenti caratteristiche: non superano i 18mila euro di reddito lordo annuo; hanno almeno 8 mesi di lavoro presso la stessa azienda; hanno un corrispettivo pagato superiore all’80% rispetto a quello di un dipendente o collaboratore e una “postazione fissa” in ufficio. Tali partite Iva, infatti, secondo il governo sarebbero fasulle, ossia nasconderebbero in realtà un lavoro di tipo subordinato e sarebbero state aperte su imposizione del datore di lavoro per ottenere l'impiego. I requisiti per distinguere tra Partite Iva 'false' e Partite Iva 'vere' (ad esempio la monocommittenza e il reddito minimo) verranno calcolati su due anni invece che su un solo anno, come inizialmente deciso. Anche in questo caso l’obiettivo è dunque quello di tutelare il lavoro ma siamo sicuri che verrà raggiunto? Le novità introdotte invece di introdurre delle garanzie per questa tipologia di lavoratori non potrebbero portare le aziende a fare a meno dei "consulenti"? Secondo l'esperto la misura adotatta potrebbe risultare controproducente. “Con le nuove norme – ci spiega - è più conveniente far risultare i consulenti come collaboratori”. Quindi invece di incentivare il lavoro dipendente potrebbero crescere i collaboratori.
L'articolo 18. Fino ad oggi questa parte dello Statuto dei lavoratori ha imposto il reintegro, nelle aziende con più di 15 dipendenti, per coloro che sono stati licenziati illegittimamente, ovvero senza «giusta causa o giustificato motivo». Con l’approvazione della riforma è stata invece introdotta la possibilità del risarcimento.
Sarà il giudice a decidere tra reintegro nel posto di lavoro o indennizzo nei casi di licenziamenti per motivi disciplinari. Non cambia nulla invece per i licenziamenti discriminatori.
Per cercare di non intasare ulteriormente le aule dei tribunali italiani la riforma introduce il rito giudiziario abbreviato per le controversie sui licenziamenti: la prima udienza deve essere fissata entro 40 giorni dal ricorso e le eventuali fasi successive si devono concludere entro 30-60 giorni. Infine, si prescrive che tutti i tribunali devono riservare alcuni giorni della settimana alle udienze sui licenziamenti. Si tratterebbe di una interessante e utile novità se non fosse che il Consiglio superiore della magistratura ha approvato all'unanimità un parere richiesto dal ministro della Giustizia con il quale ha fatto sapere che non è possibile mettere in pratica il rito abbreviato perché c’è carenza di personale e risorse.
L'Aspi: l’assicurazione sociale per l’impiego che di fatto sostituisce il sussidio di disoccupazione. I requisiti per poterne usufruire sono praticamente invariati rispetto ad oggi: due anni di anzianità assicurativa e almeno 52 settimane nell'ultimo biennio. Più ampio invece l'ambito di applicazione. Potranno infatti usufruire dell'assicurazione anche gli apprendisti e gli artisti dipendenti, oggi esclusi. Infine è stato approvato dal Governo l’emendamento sulla sperimentazione triennale (2013, 2014 e 2015) che consente al lavoratore di chiedere l’Aspi in un’unica rata per avviare un’attività di lavoro autonomo, un’attività in forma di auto impresa o di micro impresa, per associarsi in cooperativa.
L'assegno avrà un importo massimo di 1.119,32 euro, con abbattimento dell'indennità del 15% dopo i primi 6 mesi e un ulteriore 15% dopo altri 6 mesi. Durerà fino a 12 mesi per i lavoratori con meno di 55 anni di età; 18 mesi per chi avrà almeno 55 anni. Tutti i lavoratori dovranno contribuire all'Aspi, con modalità diverse a seconda della forma contrattuale.
Critica su questo punto l'opinione della Cgil secondo cui “per evitare gli effetti di questa scelta bisognerà interverire al più presto”. “L'Aspi – ci spiega Claudio Treves – sostituisce anche la mobilità riducendo le tutele in un contesto in cui i tempi di lavoro si allungano”. “Tale miscela in tempo di crisi rischia di essere micidiale”, prosegue. “Infine- conclude – la cassa integrazione non viene estesa. Al suo posto viene introdotto il Fondo di solidarietà finanziato dai lavoratori e dai datori di lavoro”.
L'uso della mobilità così come prevista nelle regole attuali continuerà fino al 31 dicembre 2014, nonostante il ministro del Welfare, Elsa Fornero, si sia opposta alla richiesta di rinviare di un anno l'entrata in vigore dell'Aspi, la cui introduzione era inizialmente stata fissata a partire dal 31 dicembre 2013.
I voucher. I buoni da 10 euro con i quali alcune tipologie di imprese possono remunerare i lavoretti accessori sono stati introdotti con la legge Biagi. Nel tempo la platea dei datori di lavoro che potevano utilizzarli si è ampliata, includendo anche il settore dell'agricoltura che dal 2008 ne ha fatto ricorso per le attività stagionali. Con la nuova riforma si fa un passo indietro: la commissione ha votato l'emendamento dei relatori Maurizio Castro (Pdl) e Tiziano Treu (Pd) che consente l'utilizzo dei voucher solo con i lavoratori appartenenti alle categorie di studenti, pensionati e casalinghe per le imprese con un fatturato al di sotto dei 7 mila euro, mentre per tutte le altre imprese le casalinghe sarebbero escluse.
E' stata proprio questa possibilità, oggi diventata realtà, a portare allo scontro tra il ministro dell'Agricoltura Mario Catania e quello del Lavoro Elsa Fornero ed a causare un ritardo nei tempi di approvazione. Ma le critiche ai voucher non finiscono qui. Secondo il sindacalista della Cgil i voucher avrebbero un altro limite: “non è stato stabilito a quante ore di lavoro corrisponde un voucher. Questo concretamente porta dei problemi perchè si può pagare 10 euro un'ora di lavoro così come un'intera giornata”.
Stage e apprendistato. Il ministro Fornero ha dichiarato in più di un'occasione di avere intenzione di abolire gli stage post-formazione e quelli gratuiti, ma in questo primo testo non vi sono dettagli. C'è solo una richiesta di delega. Alcune competenze in materia di stage sono infatti in mano alle Regioni. Il contratto di apprendistato non sarà vincolato alla trasformazione a tempo indeterminato di almeno il 50% degli apprendisti nell’ultimo triennio.
Il lavoro intermittente o a chiamata sarà permesso solo al di sotto dei 25 anni e al di sopra dei 55 anni e il rapporto potrà essere attivano tramite sms, fax o e-mail certificata alla direzione provinciale del Lavoro. Prevista anche una multa da 400 a 2.400 euro per i datori di lavoro che non manderanno l'avviso.
Il congedo di paternità. Un giorno di riposo obbligatorio per i neopapà a cui possono aggiungersene altri due facoltativi, che però verrebbero scalati dalle 20 settimane di cui ha diritto la mamma.
Infine il governo, accogliendo un ordine del giorno dell'Idv, ha aggiunto in chiusura della discussione sulla riforma, la parità di stipendio tra uomo e donna a parità di posizione occupata a partire dal 2016. Ripristinata anche l'esenzione dal ticket per i disoccupati a basso reddito e per i loro familiari.
Questa nel suo complesso la riforma che il premier Mario Monti ha definito una manovra "di rilievo storico che porta a una svolta nel mercato del lavoro" e che contribuirà a creare occupazione”.
Non tutti però la pensano così. Secondo Claudio Treves “il disegno di legge non è certamente una riforma epocale ma al contrario è molto confuso”. Nel dettaglio sono tre critiche che il sindacalista fa al testo: “non arresta la precarietà nonostante il Governo abbia dichiarato di avere questa intenzione e rischia di peggiorare la situazione già difficile dei giovani (l'annaquamento da tipologie di contratti e le novità sui co.co.pro e partite Iva, insieme a quanto fatto in tema di ammortizzatori non danno risposte a questa categoria); allenta il rigore nella disciplina dei licenziamenti anche se il diritto al reintegro, che inizialmente doveva essere eliminato, è stato poi parzialmente reintrodotto; non garantisce l'universalità di tutele attraverso gli ammortizzatori sociali”.