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Giovedì, 18 Aprile 2024

Claudio Pizzigallo

Giornalista

Maldini III è il simbolo del calcio di oggi e di quello che serve per sfondare

Non c'è bisogno di essere milanisti per emozionarsi guardando il primo gol in Serie A di Daniel Maldini, che contro lo Spezia ha sbloccato il risultato davanti a un commosso papà Paolo. Subito dopo, però, viene spontanea una riflessione, che a sua volta parte da una domanda: ma quanti sono i calciatori figli d'arte, cioè figli di calciatori, in Serie A e nel calcio mondiale di oggi?

A questa domanda c'è una risposta tanto semplice quanto esaustiva: su Wikipedia c'è una pagina di categoria dove sono elencati i nomi di tutti i principali calciatori figli d'arte. L'elenco è lunghissimo, e neanche i più esperti di football conosceranno ogni nome della lista.

Anche solo andando a memoria, un calciofilo medio conosce ovviamente Daniel Maldini, Federico Chiesa, Giovanni Simeone, Federico Di Francesco, Marcus Thuram, Erling Haaland, Kasper Schmeichel. Bisogna essere già più accaniti invece per conoscere nomi come Filippo Delli Carri e Riccardo Sottil, o per sapere che Leroy Sané o i fratelli Thiago Alcantara e Rafinha sono anche loro figli di calciatori. E poi non dimentichiamoci Niccolò Zaniolo, Justin Kluivert, Daley Blind e via elencando.

Ciò che salta all'occhio, per chi ha passato qualche anno in più a guardare le partite, è come il "fenomeno" dei figli d'arte nel mondo del calcio sia sempre più diffuso e frequente rispetto a un tempo. Insomma, fino a qualche anno fa Paolo Maldini e l'altro grande figlio d'arte del calcio italiano - Sandro Mazzola - erano le eccezioni, più che la regola.

Intendiamoci: i calciatori che spingono i figli a seguire le orme paterne ci sono sempre stati, come ci sono sempre state pressioni più o meno forti sulle società per trovare ai pargoli un posto nella squadra di papà. Però il calcio è da sempre uno dei mondi professionali più meritocratici di tutti: non importa chi sono i tuoi genitori, se sei bravo (e fortunato) vai avanti, altrimenti appendi pure gli scarpini al chiodo.

Perché ci sono sempre più figli d'arte nel calcio?

Giusto per fare tre esempi: Edinho, figlio di Pelé, ha alternato i campi da calcio e il carcere per traffico di droga; Diego Maradona jr è passato dal reality "Campioni" al beach soccer; Jordi Cruijff, più bravo e più fortunato, ha avuto una onesta carriera da pedatore e ora da allenatore, ma niente di vagamente paragonabile a Johann.

È negli ultimi anni che i calciatori-figli-di-calciatori sono diventati così numerosi. Ma cosa ci dice questo fenomeno? Due sono le spiegazioni possibili, secondo noi. Una "dall'alto" e una "dal basso".

La prima spiegazione possibile è quella che ha dato pochi giorni fa Dolores Aveiro, parlando del figlio Cristiano Ronaldo e del nipote Cristiano junior. In sostanza, ha detto che secondo lei Cristianinho diventerà più forte del padre perché ha un allenatore come il padre, appunto, mentre CR7 si è costruito praticamente da solo quando era piccolo (e malnutrito).

Secondo questa teoria, i ragazzi che hanno la fortuna di essere figli di campioni possono contare su allenatori personali eccezionali, che sanno perfettamente cosa serve per stare nell'elite calcistica. Certo, ci sono genitori come Cristiano Ronaldo o come Enrico Chiesa (o come Cesare Maldini prima ancora di Paolo), e ci sono invece quelli che vogliono per i figli un lavoro "serio" lontano dallo sport, o ancora ci sono i genitori che vogliono che i figli si godano la vita. Ma se genitori e figli sono concentrati sull'obiettivo, è indubbio che questi ragazzi hanno molti vantaggi rispetto ai coetanei.

Eppure, c'è qualcosa che non torna del tutto in questo discorso. Perché, come detto, non è certo una novità che i figli d'arte provino a ripercorrere le orme paterne. E anzi, a essere onesti, bisogna riconoscere che, rispetto a un tempo, oggi i figli di persone normali hanno molte più risorse a disposizione di una volta, quando non esistevano tutte le scuole calcio di oggi, e i ragazzini giocavano per lo più in strada, senza un tecnico a insegnare loro i primi rudimenti di questo sport, e quando perciò avere un papà calciatore rappresentava un vantaggio di partenza notevolissimo.

E allora, c'è la seconda spiegazione, quella "dal basso". O meglio, più che una spiegazione, una teoria. Non sarà che le famiglie delle giovani promesse pallonare carichino i figli di eccessive aspettative? Non sarà che le stesse giovani promesse, quando arrivano gli anni "giusti" per sfondare, pensano più ai vantaggi economici dell'essere calciatori, rispetto al classico desiderio espresso da Maradona quando era un bambino ("il mio primo sogno è giocare il mondiale, il secondo sogno è uscirne campione" disse Diego, che pure veniva da una famiglia molto modesta)?

Insomma, secondo questa teoria il motivo della sempre maggior diffusione di figli d'arte nel calcio non è tanto da cercare nelle maggiori possibilità che questi hanno rispetto agli altri, quanto nella mancanza delle "motivazioni giuste" tra chi vede nella carriera calcistica un modo per arricchirsi più che un modo per fare quello che si ama di più al mondo (ed essere pagato bene). 

Conclusioni

Probabilmente, la risposta alla domanda "perché ci sono sempre più figli d'arte nel calcio?" è un mix tra le due ipotesi spiegate qui sopra. E magari ci sono anche altre ragioni invisibili dietro a questo fenomeno. 

Comunque sia, stiamo assistendo a un cambiamento profondo nello sport che da sempre ha rappresentato la rivalsa dei "figli delle favelas", di quelli cresciuti a pane e pallone, che in campo diventavano più nobili di un re e più importanti di tutti. E forse, lasciatecelo dire, era meglio una volta, quando i Mazzola e i Maldini erano delle luminose eccezioni. 

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