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Martedì, 16 Aprile 2024

Andrea Maggiolo

Giornalista

Guerra, Putin e sanzioni: che ne sarà del Chelsea di Abramovich

E' iniziata la fine del "ChelseadiAbramovich" (pronunciato così, tutto attaccato)? Lui, che nel 2003 sconquassò dall'oggi al domani l'universo del calcio inglese ed europeo con una valanga, mai vista prima, di rubli, sta per cedere la società? Presto per capire cosa accadrà, vero è che il vento è girato, ma non è affatto detto che le cose cambieranno in modo sostanziale. C'entra l'invasione russa dell'Ucraina, ma non solo. Cosa c’è dietro la mossa del weekend, quando l'oligarca, uno dei più riservati, vicini e fedeli a Vladimir Putin, ha annunciato di aver trasferito con effetto immediato la gestione del club alla sua fondazione di beneficenza, perché "è la cosa più saggia nell’interesse della squadra"? Un modo per proteggere il club, i giocatori e tutti i dipendenti, cedendo la sola amministrazione a chi invece può farlo senza intoppi, proteggendo il flusso di cassa. Per ora tutto qui.

Abramovich cederà il Chelsea?

L'annuncio è il preludio a a una possibile cessione del Chelsea per una cifra stimata in almeno 2 miliardi di euro? Siamo ancora lontani anni luce da quello scenario. In questi due decenni Abramovich ha contribuito a trasformare i Blues in una delle squadre di club di maggior successo d'Europa e del mondo: 19 trofei. Quando è sbarcato lui, solo altri due proprietà in Premier erano in mani straniere, e in società di second'ordine: oggi con il recente ingresso dei sauditi alla guida del Newcastle, salgono a 15 le società il cui maggior azionista non è inglese. 

Il mondo che conoscevamo non esiste più dal momento in cui è iniziata l'invasione russa dell'Ucraina e sono partite le conseguenti sanzioni anti-Russia. Ma resta tutto da vedere quanto sostanziali saranno i cambiamenti nel pianeta calcio. Abramovich rimane saldamente proprietario del Chelsea, anche non sarà coinvolto in alcun processo decisionale a Stamford Bridge. Giovedì il deputato laburista Chris Bryant aveva detto alla Camera dei Comuni che il governo dovrebbe sequestrare i beni di Abramovich e rimuovere il 55enne dalla proprietà del Chelsea. Abramovich non ha chiesto il rinnovo del suo visto di lavoro nel Regno Unito nel 2018: negli ultimi anni l'hanno visto sempre più raramente a Londra. 

Di fatto Abramovich, uno dei 150 uomini più ricchu del pianeta, che fece fortuna subito dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica nei settori del petrolio, alluminio e aviazione (deve ogni rublo della sua fortuna alla privatizzazione dei sistemi produttivi e industriali dell'ex URSS, in pochi anni si ritrovò a essere da commerciante di medio cabotaggio a tycoon), è da tempo un fantasma a Londra, ancora di più dopo l’avvelenamento dell’ex spia doppiogiochista Sergej Skripal e sua figlia Julia a Salisbury nel 2018 per mano dell’intelligence militare di Mosca. Non che Abramovich c'entrasse alcunché, ma da allora è iniziata una sorta di "guerra fredda" tra lui e il Regno Unito: non si è quasi fatto più vedere, prendendo tra l'altro la cittadinaza israeliana e quella portoghese. Abramovich teme le sanzioni britanniche e occidentali, che potrebbero riservargli una mazzata. Il governo inglese ha deciso che non potrà più vivere nel Regno Unito, come mossa di ritorsione verso Putin: obiettivo bloccare gli interessi economici dei tanti oligarchi russi che hanno messo radici nel Regno Unito. 

Le crepe nella famiglia

Di qui la sua mini-retromarcia dal Chelsea. Il tutto in un contesto in cui Londra sembra aver deciso di affrontare all'improvviso il problema del vasto riciclaggio di denaro sporco degli oligarchi russi negli ultimi decenni, a lungo una manna dal cielo per la City. Punire gli oligarchi è più facile a dirsi che a farsi. Il pallone è un grande scudo. Il calcio è una polizza d'assicurazione per i cleptocrati russi. Forse una delle più sicure. Le sanzioni contro gli oligarchi russi sembrano punire in realtà un potere inesistente. Perché la presa finanziaria della Russia su Londra è in ritirata da anni, ancor prima dell'ultimo giro di vite di Johnson. Tra il 2005 e il 2014, anno del picco del Cremlino, la Russia ha raccolto 44 miliardi di dollari sulla Borsa di Londra. Dal 2014 a oggi, 8 miliardi. 

Sullo sfondo ci sono anche crepe evidenti nella famiglia Abramovich: nei giorni scorsi la figlia Sofia,  27 anni, ha pubblicato una Instagram story (poi edulcorata a dovere) in cui scriveva che "lui (Putin) vuole la guerra con l'Ucraina, non i russi". Così la pensano tanti altri figli dell'oligarchia vicina al Cremlino, cresciuti in molti casi all'estero.

Circolano voci, inconfermate e inconfermabili, di un incontro segreto di Putin con gli oligarchi nel cuore degli Urali, per impedire loro di fuggire con i loro jet privati. Un Vladimir Putin infuriato per una guerra che da un Blitzkrieg si è trasformata in un'estenuante battaglia dagli esiti imprevedibili. I cortigiani del Cremlino non stanno vivendo giorni tranquilli, come si è intuito anche dall'incontro – quello sì ufficiale e pure a favore di telecamere – tra il presidente e i più grossi imprenditori, che hanno implorato Putin di non bombardare insieme alle città ucraine i loro interessi. Invano. Hanno ricevuto la laconica risposta che "la guerra era necessaria". I 22 uomini più ricchi della Russia hanno perso in un solo giorno 39 miliardi di dollari, e il patrimonio di alcuni oligarchi si è ridotto di un terzo, ancora prima che arrivassero le sanzioni europee. E' una élite che ha un legame di ferro con Putin, basata sulla fedeltà al capo e sugli affari fatti insieme, e consolidati persino da matrimoni dinastici tra i loro figli. Le cariche vengono distribuite da Mosca: le grandi società e banche sono in mano ai vecchi amici di Putin, governatori e ministri sono di fatto amministratori delegati delle regioni che gli vengono affidate. Nessuno di questi padroni de facto della Russia ha intenzione di morire nei bunker, ma non è allo stesso tempo pensabile una loro rivolta contro il Cremlino. 

Per ora non cambia nulla

Torniamo dunque ad Abramovich: l'oligarca siberiano possiede ancora il 100% del Chelsea tramite una holding con sede nel Regno Unito chiamata Fordstam Limited. La dichiarazione di dare "gestione e cura" del club alla sua fondazione di beneficenza non cambia nulla, in concreto. Non sono state cedute azioni, non è stata chiesta l'approvazione (indispensabile) della Premier League per un cambio di controllo e Fordstam – ovvero Abramovich – rimane la "persona con un controllo significativo", ovvero il capo. Chi ha estito il Chelsea dal 2014 a oggi è sempre al suo posto: è la fedelissima manager Marina Granovskaia, persona di fiducia della proprietà.

Ma la vera domanda è: perché un russo straordinariamente ricco, che aveva legami d'affari con lo stato russo negli anni '90 ma i cui rapporti reali con il potere politico odierni sono avvolti dal mistero più fitto, potrebbe voler creare l'impressione di una distanza tra se stesso e la sua risorsa non russa di più alto profilo? Abramovich non ha ricevuto in passato sanzioni dal governo americano, britannico o di altro tipo dopo l'invasione russa della Crimea nel 2014. Nessuna sanzione è arrivata nemmeno dopo che i servizi segreti russi hanno tentato di uccidere l'ex agente russo Sergei Skripal e sua figlia Yulia a Salisbury nel 2018. Abramovich, il Chelsea e i suoi legali hanno sempre negato che sia vicino al Cremlino. È, e lo ripetono spesso, "solo" un uomo d'affari di successo e russo.

Per quanto tempo la Chelsea Foundation, l'ente di beneficenza che supervisiona la campagna antisemitismo del club, i progetti di base e altre buone cause, avrà "gestione e cura" del club? Nessuno lo sa perché nessuno sa se e come Abramovich sarà sanzionato o meno. Se Abramovich viene colpito duramente, l'ente di beneficenza diventa un ripiego in vista di un cambio di proprietà urgente e realmente possibile. Altrimenti sarà ancora proprietario del club, e le persone di cui si è fidato ciecamente per anni lo gestiranno ancora per lui. Se mai decidesse di svendersi intascherà i proventi, da record. 

Due scenari

Ci sono fondamentalmente due punti di vista. C'è chi ritiene che se anche Abramovich sarà colpito dalle sanzioni, il Chelsea starà benissimo. E' una società registrata nel Regno Unito che non ha nulla a che fare con la Russia, un'azienda che ha guadagnato più di 400 milioni di sterline nella sola scorsa stagione, con liquidità a valanga in banca e altri soldi che confluiscono ogni mese da diritti tv, pubblicità e incassi ai botteghini. In più da oggi è gestita da un ente benefico. Cosa potrebbe mai andare storto? 

C'è però chi si domanda come potrebbe andare realisticamente avanti a medio-lungo termine una società interamente controllata da un individuo sanzionato. I conti bancari britannici della società potrebbero essere congelati, il che significa in uno scenario estremo zero sterline in entrata o in uscita e nessuna società britannica in grado di fare affari con il club. Come fa una squadra di calcio senza accesso a un conto bancario a pagare il proprio personale o le bollette? E' altresì impensabile che il governo britannico lascerebbe davvero fallire una delle squadre di calcio di maggior successo e popolari. Ma a quel piunto che senso ha sanzionare Abramovich, o chiunque altro possieda qualcosa a cui gli inglesi tengono, se non si vuole andare fino in fondo? Le leggi sulle sanzioni sono tutte piuttosto nuove e mai hanno riguardato in Inghilterra un pezzo grosso come Abramovich o una risorsa come il Chelsea.

Le parole sono importanti

Si naviga in acque inesplorate. Domenica il Chelsea ha pubblicato una nota ufficiale sul proprio sito dal titolo: 'Club statement on the conflict in Ukraine'. Ovvero, comunicato del club sul conflitto in Ucraina:  "La situazione in Ucraina è orribile e devastante. I pensieri del Chelsea FC sono con tutto il popolo ucraino. Tutti noi preghiamo per la pace". Le parole sono importanti: non è sfuggito agli osservatori più attenti l'uso dei termini "conflitto" e "situazione" al posto del più corretto "invasione". E soprattutto non è citata nemmeno per sbaglio la parola "Russia". Evidentemente non la si può nemmeno pronunciare in queste ore sul sito dei Blues.

Vicino o lontano, il Chelsea è ancora del russo, russissimo, Roman Arkadievic Abramovich. Colui del quale fino al 1999 non esisteva una singola foto pubblica. Colui che ai tempi del primo governo Putin guidò personalmente le consultazioni. Colui che poi, ben prima di altri, ha capito che il modo migliore per continuare a prosperare (ed evitare la brutta fine di altri oligarchi critici o semplicemente non perfettamente allineati) era evitare di incrociare la propria traiettoria con quella del presidente russo, vivendo nell'ombra. Nel lusso sfrenato, ma allo stesso tempo nella privacy più totale. E' grazie al Chelsea però che Abramovich è diventato un personaggio pubblico. Il Chelsea gli ha dato quei successi, quel prestigio intangibile e quella riconoscibilità che sono senza prezzo per un uomo d'affari e che poche altre cose come il calcio d'elite possono garantire. Affidare agli amministratori della fondazione di beneficenza la "gestione" e la cura del Chelsea gli permetterà di aspettare che passi la tempesta e decidere come procedere in base a cosa gli tornerà più utile. "Stewardship", "gestione", non significa nulla legalmente. L'operazione è di facciata. Lui non ha abbandonato nessuna carica, semplicemente perché formalmente non ne aveva alcuna da anni. Crescono gli appelli da parte dei tifosi affinché Abramovich prenda presto e chiaramente le distanze dall'invasione dell'Ucraina ordinata da Putin. Siamo facili profeti: non succederà mai. Il Chelsea per adesso non è in vendita. 

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