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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Calcio

Guardiola e il City: maledizione europea

Salgono a sei le semifinali di Champions perse dal tecnico iberico, mentre i "Citizens" fanno i conti con l'ennesima disfatta in campo continentale, con l'unico trofeo vinto al di fuori del Regno Unito che risale a più di cinquant'anni fa

Le sue urla, che sono riecheggiate all’Ethiad Stadium dopo gli innumerevoli gol sbagliati dal suo City nella semifinale di andata, ora assumono ben altro significato. Beffarde come il classico “io l’avevo detto” a chiosa di un evento negativo immaginato in anticipo, volte quasi ad esorcizzare le possibili conseguenze di tutto quel ben di Dio creato e sciupato davanti al pubblico di Manchester, ma anche accompagnate dalla speranza che quel “golletto” di vantaggio chiuso in valigia prima di partire alla volta di Madrid potesse essere sufficiente.
Invece no, non è bastato. Per uno scherzo del destino, non è stato servito nemmeno sbloccare per primi il punteggio al Bernabeu, e neanche impaurire il Real sfiorando il 2-0 con Grealish, negato da Mendy nei panni di uomo della provvidenza sulla linea di porta. Due gol subiti nei minuti che precedono il triplice fischio: gli stessi che nella sponda rossa di Manchester regalarono proprio la Champions in occasione della finale della primavera 1999 (giocata – curiosamente – in quel Camp Nou che lo vedeva protagonista in maglia blaugrana e decisa, allora come ora, da chi entrò a partita in corso) e che invece nella sponda blu mancuniana rimpolpa la già ben fornita galleria dei rimpianti.

Ennesimo flop Citizens, nella cui bacheca la Coppa delle Coppe del ‘70 continua ad essere l’unico titolo al di fuori del Regno Unito. Ed ennesimo flop di Guardiola, che conferma il suo conflittuale rapporto con le semifinali della principale competizione continentale, vinta per l’ultima volta a primavera del 2011. Da lì in avanti, cinque murate nel penultimo gradino del tabellone: fermato nell’edizione 2011/2012 dal Chelsea, in quella 2013/2014 da Ancelotti sulla panchina del Real, l’anno successivo dal Barça e dodici mesi più tardi dall’Atletico Madrid. Dopo aver infranto il tabù nel 2021, sconfitto in finale di misura dal Chelsea, ancora Ancelotti e la capitale iberica a sbarrare la strada ad un passo dall’ingresso allo Stade De France.

Parlare di intolleranza all’Europa da parte del City non sembra quindi avventato, tantomeno elevare al rango di idiosincrasia nei confronti delle coppe continentali quella sviluppata da Guardiola da due lustri a questa parte. Qualcosa che sembra addirittura travalicare il confine sportivo per addentrarsi in quello soprannaturale. Con tanto di precedenti: sono passati esattamente sessant’anni dal 1° Maggio 1962 quando Bela Guttmann - dopo un polemico divorzio col club lusitano - sentenziò che il Benfica non avrebbe più vinto in Europa (da quel giorno ne perse otto, l’ultima nel 2014 in Europa League). E ne servirono 34 al Racing per festeggiare un trofeo importante dopo “la maldiciòn de los siete gatos negros” fatta dai tifosi dell’Independiente, altro storico club di Avellaneda (leggenda vuole che i cadaveri di sette gatti neri siano stati sepolti – ma nessuno, effettivamente, fu mai rinvenuto – all’interno del “Cilindro”, stadio dei rivali).

Da qui, il ricordo della frase di Dimitri Seluk, procuratore di Yaya Touré che lanciò un’anatema dopo il rumoroso addio del suo assistito Yaya Touré al City, con tanto di accusa a Guardiola, legata a presunte disparità di trattamento, che avrebbero penalizzato i calciatori africani. “Quando attacchi un campione come Yaya – dichiarò nel 2018 - attacchi un intero continente. Quello che Guardiola ha fatto a Touré non è un errore, ma un crimine. Il boomerang tornerà e scoprirà di cosa sono capaci gli sciamani africani. Ricordate queste parole: il Benfica subisce la maledizione di Bela Guttman che gli impedisce di vincere le finali europee mentre Guardiola può avere tutti i soldi che vuole per il mercato, ma farà anche peggio. Non vincerà più la Champions League e solo allora capirà l’errore”. La ragione comprensibilmente non si piega nel prestare orecchio e nel soppesare attentamente il fardello appoggiato da un così lapidaria sentenza. Ma, intanto, lo spazio riservato agli allori europei continua a riempirsi solo di rammarico.

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