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Giovedì, 18 Aprile 2024

Fabio Petrelli

Giornalista

Il dribbling di Ilicic contro il male oscuro

La sua corsa in mezzo al campo, quel 21 maggio, ha avuto un che di simbolico. Di nuovo sul prato, con i tifosi a sostenerlo, lasciando alle spalle non solo i compagni di squadra in panchina, ma anche un prolungato periodo vissuto combattendo con un avversario più subdolo di un infortunio muscolare o di un problema di carattere traumatico. Un avversario che lo ha battuto, due volte, relegandolo in esilio per tanti mesi e lontano da quei palcoscenici tanto amati, ma non è riuscito a sconfiggerlo.

Da brividi l’applauso del Gewiss Stadium al momento del suo ingresso sul rettangolo di gioco, lo striscione di ringraziamento esposto dalla curva, per quello che sembra a tutti gli effetti un congedo dopo 171 gettoni collezionati in nerazzurro. Minuto 83 di Atalanta-Empoli: Josip Ilicic torna di nuovo sul campo, rilevando Pasalic per una manciata di minuti nell’ultima fatica della “Dea” in campionato. Mancava da inizio gennaio, spiccioli di match alla fine della goleada degli orobici a Udine. Poi nulla per diversi mesi, durante i quali il suo tecnico Gasperini ha preferito non commentare limitandosi a spiegare, al termine dello 0-0 all’Olimpico contro la Lazio di un paio di settimane più tardi, che “la cosa migliore è lasciarlo stare e parlare poco, personalmente non lo farò di nuovo perché è una cosa delicata”.

Delicata e di difficile decifrazione, verrebbe da aggiungere. Perché non è agevole capire cosa possa aver portato il campione sloveno ad essere sopraffatto da quei demoni interiori che lo hanno prima portato a concludere, anzitempo, la stagione 2019/2020, spezzata in due tronconi dal lockdown pandemico. E poi fermandosi ancora in quella appena terminata, dopo aver provato ad imprigionarli dribblandoli su quel campo di calcio che lo ha visto splendido protagonista in tanti stadi italiani ed europei. E non è facile abituarsi a quel silenzio assordante, figlio dell’imbarazzo, tipico di quando si ha a che fare con situazioni su cui si preferisce soprassedere, che dall’esterno provoca quasi fastidio commentare o nominare, o comunque silenziate da un senso di pudore. Come se imbattersi in quel “male oscuro” fosse una colpa da espiare in un ovattato esilio, un dazio da pagare per quella fragilità che non dovrebbe appartenere al dorato e patinato universo del calcio, non contemplata e quasi inspiegabile quando si è riusciti a coronare un sogno che accomuna milioni di giovani e solo in pochissimi riusciranno a realizzare.

Non è importante sapere se sia stata una forma depressiva (come raccontato in un’intervista da suo ex compagno di squadra Gomez), un burn-out agonistico o una forma di esaurimento a bloccare Ilicic. Gira voce che il Bologna, ma anche Corvino nella “sua” Lecce, sarebbe pronto a scommettere su di lui per formare con Arnautovic una delle coppie più intriganti della prossima Serie A. E tutto il nostro tifo, assordante, va a lui. Perché non vediamo l’ora di ritrovarlo lì in mezzo, con la sua andatura ciondolante, quel sinistro telecomandato che fa magie (non ci rassegniamo certo all’idea di dover declinare il verbo al passato) ed ha incantato il “Mestalla” segnando quattro gol al Valencia, record tutt’ora imbattuto di reti in trasferta realizzate in un’unica gara di Champions League, ed ha stregato il tempio di Anfield in quello storico 2-0 della “Dea” al Liverpool di novembre 2020.

Indossa la maglia 72 da quando, a Palermo, Pastore non gli mollò la sua amata 27. Ha ribaltato la cifra, Josip. Come ha fatto in passato col destino, che lo ha costretto a lasciare la Bosnia da piccolo, a crescere senza un papà ucciso quando aveva un anno, a superare un intervento per una infezione batterica che ha richiesto un ricovero in ospedale (con le paure, rivelate dopo, di addormentarsi e non svegliarsi più lasciando le persone più importanti della sua vita) e successivamente anche il Covid. Lo aspettiamo con la stessa trepidazione con cui i tifosi attendevano la sua magia, magari dopo un prolungato spezzone di partita trascorso senza incidere. Perché attenderlo, perché rivedere Ilicic in campo, stavolta, vale di più.

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