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Giovedì, 28 Marzo 2024

Il ricordo

Claudio Pizzigallo

Giornalista

Cos'è stato Luca Vialli per i giovani juventini degli anni '90

C'è una frase di Gianluca Vialli che ogni juventino ha letto almeno una volta con un misto di orgoglio e commozione: "È un onore e un onere giocare nella Juventus. Senti il peso della maglia, il dovere di riconsegnarla piegandola per bene riponendola un po’ più in alto di dove l’avevi presa".

Ci è tornata in mente questa mattina, appena appresa la notizia della sua morte. E le lacrime hanno rigato il nostro volto, al ricordo di cosa è stato Vialli per noi juventini che nella prima metà degli anni '90 eravamo bambini o poco più. 

Arrivò alla Juve in uno dei momenti più bassi della storia del club, in un certo senso passare in bianconero dalla Sampdoria fu quasi un declassamento per lui, che aveva già vinto uno scudetto e diverse coppe nazionali e internazionali, sfiorando la Coppa dei Campioni in quella drammatica finale contro il Barcellona di Koeman in cui tutta Italia tifava per i blucerchiati (forse tranne i genoani). 

Per chi era troppo piccolo per ricordarsi i fasti dei tempi di Platini, invece, essere juventini significava aver visto festeggiare più di noi praticamente tutti, dalle milanesi al Napoli, passando appunto per la Samp e volendo anche il Parma, in un'epoca in cui noi gobbi ci dichiaravamo "campioni d'Italia e d'Europa" per aver vinto la Coppa Italia e la Coppa Uefa, che, per il livello del calcio italiano di allora, era meno importante di una Conference League di oggi. 

Ma dopo anni di difficoltà e di sorrisi amari, finalmente arrivò Lippi a restituire al popolo bianconero l'orgoglio che gli spettava. Lo scudetto del 1995 fu lo scudetto del tridente, in cui Del Piero prendeva progressivamente il posto di Roby Baggio al fianco di Ravanelli e, appunto, Vialli. 

Eravamo già contenti così, felici di poter provare quella gioia che i nostri fratelli maggiori e i nostri genitori avevano provato tante volte, fieri di guardare amici e compagni di classe dall'alto in basso per la prima volta dopo anni di delusioni. 

Ma l'anno successivo arrivò addirittura ciò che nessuno juventino - di qualunque età - osava sperare, quella Coppa dei Campioni che già all'epoca la Juve aveva perso troppe volte in finale e che aveva vinto solo nella tremenda notte dell'Heysel che nessuno ricordava con gioia. 

Una squadra di gladiatori, con la maglia blu e le stelle gialle sulle spalle, mise sotto l'Ajax di Van Gaal che in quegli anni era quasi una presenza fissa in finale. Eppure non bastò il gol di Ravanelli, perché il pareggio di Litmanen fece sì che la gara arrivasse ai rigori. 

Ricordiamo che era il 1996. E chi era poco più che un ragazzino non aveva memorie dei vecchi trionfi bianconeri, ma ne aveva eccome delle sconfitte ai rigori dell'Italia, ai mondiali in casa del '90 e a quelli di USA '94, proprio in finale, con il nostro Roby Baggio a fallire il penalty decisivo. 

Quindi, in pratica, arrivare ai rigori era quasi sinonimo di sconfitta dolorosa. Ma quella sera, all'Olimpico di Roma che già aveva visto la tragedia casalinga della Roma contro il Liverpool (così ci spiegavano i più grandi), qualcosa cambiò. 

Peruzzi para il tiro del futuro idolo Davids; Ferrara, Pessotto e Padovano sono cecchini implacabili, Ancora Peruzzi respinge il rigore di Silooy, e ora abbiamo tre match point. 

Del Piero non tirerà mai il suo quinto rigore, così come il quinto tiratore scelto da Van Gaal, perché Jugovic - con il suo sorriso che nessuno juventino scorderà mai - batté Van der Saar e regalò alla Vecchia Signora la Champions League, una Coppa dei Campioni finalmente da festeggiare, anche nel ricordo di chi undici anni prima aveva perso la vita all'Heysel. 

E nei primi secondi dopo il trionfo, le telecamere pescarono proprio Luca Vialli, sdraiato sul prato dell'Olimpico e abbracciato dai compagni, che esultava e piangeva, piangeva ed esultava, per essersi finalmente liberato dai fantasmi che lo tormentavano dalla finale persa in blucerchiato. 

Il nostro capitanò se ne andò poche settimane dopo, verso il Chelsea e la Premier League che all'epoca era il campionato dove gli italiani al massimo andavano a svernare a fine carriera. 

La missione era compiuta, Vialli aveva riconsegnato la maglia bianconera riponendola più in alto di dove l'aveva presa. Molto più in alto, sul tetto d'Europa, dove nessuno anche solo due anni prima pensava di poterci trovare.  E il popolo juventino non dimenticherà mai, mai, il suo carisma, la sua forza, le sue rovesciate e quella volta che alzò al cielo di Roma la Coppa dalle grandi orecchie.

Grazie, capitano.

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