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Venerdì, 29 Marzo 2024
La denuncia su Facebook

Lara Lugli, la pallavolista rimasta senza stipendio: “La gravidanza è stata un danno”

La società la accusa di aver taciuto la volontà di diventare madre al momento delle trattativa contrattuale: a causa della sua gravidanza, sono stati poi costretti a fare a meno di lei a stagione iniziata, perdendo punti in classifica e sponsor. “Anche se non sono una giocatrice di fama mondiale questo non può essere un precedente per le atlete future che si troveranno in questa situazione”, denuncia lei su Facebook

Cose che succedono ancora nel 2021 e che non dovrebbe accadere. Restare incinta, vedere il proprio contratto stracciato dall’oggi al domani, dover chiedere di avere pagata l’ultima mensilità di quel contratto e sentirsi rispondere che no, quei soldi le non verranno pagati e leggere che a causa di quella gravidanza e del suo ritiro la società ha perso punti e sponsor, quindi ha avuto un danno. Protagonista suo malgrado di una vicenda che sembra troppo assurda, persino in un paese come l’Italia dove c’è ancora molto da fare per le donne, è la pallavolista Lara Lugli, che in un post su Facebook pubblicato proprio alla viglia della Festa della donna ha condiviso i documenti ufficiali che mettono nero su bianco le richieste e le motivazioni della società.

Il caso di Lara Lugli

La storia prende il via qualche anno fa, quando Lara Lugli firma un contratto per la stagione 2018-2019 con una associazione sportiva dilettantistica di volley femminile, in B1. Il 10 marzo Lara Lugli, a 39 anni, rimane incinta e lo comunica al club, che risolve il contratto. Meno di un mese mese dopo, Lugli subisce un aborto spontaneo. Due anni la società risponde citandola in opposizione a un decreto ingiuntivo nel quale chiedeva che le venisse pagato l’ultimo stipendio, quello di febbraio, “per il quale avevo interamente lavorato e prestato la mia attività senza riserve”, scrive Lugli. “Le accuse sono che al momento della stipula del contratto avevo ormai 38 anni (povera vecchia signora) e data l’ormai veneranda età dovevo in Primis informare la società di un eventuale mio desiderio di gravidanza, che la mia richiesta contrattuale era esorbitante in termini di mercato e che dalla mia dipartita il campionato è andato in scatafascio”. 

Lugli, accusa la società, al momento della trattativa contrattuale avrebbe nascosto la sua intenzione di avere figli, strappando quello che viene definito un “ingaggio spropositato”: la sua gravidanza ha costretto quindi il club a dover fare a meno di lei a stagione in corso, con il risultato di perdere punti e sponsor. 

“Chi dice che una donna a 38 anni, o dopo una certa età stabilita da non so chi, debba avere il desiderio o il progetto di avere un figlio? Che mi prenda un colpo...non è che per non adempiere ai vincoli contrattuali stiano calpestando i Diritti delle donne, l’etica e la moralità? Scusate l’ironia su un fatto GRAVISSIMO come questo, ma non so in quale altro modo affrontare la cosa”, denuncia Lugli su Facebook. La sportiva, che a 41 anni continua ad allenarsi e a giocare, ha deciso di rendere pubblica la vicenda per dare un segnale: “Il fatto grave comunque rimane perché anche se non sono una giocatrice di fama mondiale questo non può essere un precedente per le atlete future che si troveranno in questa situazione, perché una donna se rimane incinta non può conferire un DANNO a nessuno e non deve risarcire nessuno per questo. L’unico danno lo abbiamo avuto io e il mio compagno per la nostra perdita e tutto il resto è noia e bassezza d’animo”. 

La replica del club 

La risposta della società ha replicato alla vicenda rilasciando una dichiarazione all’Adnkronos, dopo le “pesanti accuse di insensibilità, sessismo e discriminazione ai danni delle donne lavoratrici”. 

Questa la loro ricostruzione dei fatti: 

“Nel campionato 2018-2019 Lara Lugli era il capitano della nostra squadra e anche la giocatrice di punta. Ad inizio marzo ci ha comunicato di essere rimasta incinta. Dispiaciuti per la perdita sportiva, ma felici per l'avvenimento familiare ci siamo salutati. Infatti come da contratto, che ricordiamo essere stato predisposto dall'atleta stessa e dal suo agente, si prevedeva l'immediata cessazione del rapporto in caso di gravidanza. Lo stesso contratto, che ribadiamo essere stato predisposto dalla stessa atleta, aveva al suo interno clausole che prevedevano addirittura delle penali in caso di cessazione del rapporto. Clausole che non abbiamo voluto esercitare perché non pareva opportuno farlo. Ora nessuno ha citato per danni Lara Lugli. È stata la stessa atleta a chiedere e ottenere un decreto ingiuntivo perché ritiene di avere dei crediti. Ci siamo sentiti traditi dall'atleta e abbiamo fatto l'unica cosa possibile: difenderci avvalendoci delle clausole contrattuali predisposte da lei stessa e dal suo procuratore. Vorremo ribadire con forza che non crediamo che la gravidanza sia un danno e che soprattutto non è mai stata avanzata richiesta di danni”. 

L'associazione Assist denuncia "l'iniquità della condizione femminile nel mondo sportivo"

“Non ho capito bene perché. Ma con il fatto che sono rimasta incinta, il mio contratto è carta straccia”, aveva detto con franchezza qualche mese fa Carli Lloyd, pallavolista e capitana del Calsalmaggiore. Il suo club aveva annunciato sui social la gravidanza dell’atleta, scrivendo: “Naturalmente la VBC Casalmaggiore augura a Carli Lloyd una gravidanza serena ed è al fianco del proprio capitano”, ma quel post aveva scatenato i commenti di una parte dei tifosi, che accusavano Lloyd di aver mostrato poco rispetto per la società e per loro. Sul caso era poi intervenuto il presidente del Coni, Giovanni Malagò: “La notizia degli insulti di qualche tifoso nei confronti della giocatrice di Casalmaggiore, Carli Lloyd, per l’annunciata gravidanza, mette una tristezza infinita”.

Proprio a Malagò, e al presidente del Consiglio Mario Draghi, vuole rivolgersi ora Assist, Associazione Nazionale Atlete, per chiedere cosa intendano fare “per mettere fine alla vergognosa situazione per la quale le donne italiane, non avendo di fatto accesso alla legge 91 del 1981 sul professionismo sportivo, vengono esposte a casi clamorosi come quello dell'atleta Lara Lugli”. Il suo contratto prevedeva la risoluzione del rapporto per giusta causa “per comprovata gravidanza”, ricorda Assist, e “questo caso è emblematico perché l'iniquità della condizione femminile nel lavoro sportivo è talmente interiorizzata che non solo la si ritiene disciplinabile, nero su bianco, in clausole di un contratto visibilmente nulle, ma addirittura coercibile in un giudizio, sottoponendola a un magistrato, che secondo la visione del datore di lavoro sportivo, dovrebbe condividere tale iniquità come fosse cosa ovvia”. Dietro quella che l’associazione definisce una “spregiudicata iniziativa”, spiega in una nota, “si annida il vero scandalo culturale del nostro Paese, che è giunto al punto da obnubilare la coscienza dei datori di lavoro sportivi, fino a dimenticare cosa siano i diritti fondamentali delle persone".

Per Luisa Garribba Rizzitelli, presidente di Assist, “questo caso non solo non è unico e non riguarda certo solo il volley, ma evidenzia una pratica abituale quanto esecrabile e indegna, denunciata da 21 anni dalla nostra Associazione. In forza di questa consuetudine le atlete degli sport di squadra o individuali, non appena incinte, si vedono stracciare i loro contratti, rimanendo senza alcun diritto e alcuna tutela. Ciò anche quando non vi sia in presenza di una esplicita clausola anti maternità che, prima delle denunce di Assist, era la norma nelle scritture private tra atlete e club".

Articolo aggiornato alle 19:24 con i chiarimenti della società

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