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Redazione

Dal gesso all'oro: la medaglia di Tamberi è anche il successo della medicina

Vedere l’atleta Azzurro Gianmarco Tamberi trionfare a Tokyo nel salto in alto ed abbracciare il connazionale Marcell Jacobs, fresco vincitore dell’Oro Olimpico nei 100 metri, sembra una scena assurda, se non impossibile. Infatti, le ultime immagini del saltatore che fanno parte della memoria comune della maggior parte degli spettatori italiani riguardano quel maledetto Luglio 2016 quando, durante il Meeting di Montecarlo, Tamberi uscì dallo stadio in barella e tra le lacrime per un grave infortunio alla caviglia sinistra che mise fine alla corsa per una medaglia alle imminenti Olimpiadi di Rio.

Nessuno immaginava che oggi, dopo un intervento chirurgico, un gesso ed una lunga riabilitazione, “Gimbo” Tamberi si sarebbe ripreso ciò che gli era stato forzatamente negato 4, anzi 5, anni prima: L’Oro Olimpico nel salto in alto. E’ proprio il caso di dirlo... Gimbo ha trasformato nel materiale più prezioso, l’Oro, quel maledetto gesso che aveva “ingabbiato” oltre che la sua caviglia, anche i suoi sogni Olimpici. Ed è proprio quel gesso, conservato con sacralità durante tutti questi anni di preparazione per le Olimpiadi di Tokyo 2020, ad essere portato in trionfo in Mondovisione, come ad esorcizzare i momenti bui passati e rappresentare una sorta di “talismano” per la sua redenzione sportiva. Come a volerci insegnare che non bisogna dimenticare le avversità, ma superarle con caparbietà e utilizzarle come punto di partenza per nuovi obbiettivi.

Dal grido di dolore all'oro olimpico (Video Coni)

Ma che cosa rappresenta precisamente, dal punto di vista medico-chirurgico, quel gesso che ha ormai raggiunto la notorietà di un trofeo? Innanzitutto, è utile fare chiarezza sul tipo lesione subita da Tamberi nel 2016. Secondo i bollettini medici ed i report giornalistici, il saltatore aveva subito una “lesione del legamento deltoideo della caviglia”, cioè del complesso legamentose mediale. Il legamento deltoideo è un robusto legamento, formato da una componente superficiale ed una profonda, che si trova nella parte interna della caviglia collegando il malleolo mediale con le ossa tarsali. Questo legamento garantisce la stabilità della caviglia durante i movimenti di pronazione ed eversione, cioè quando il piede ruota verso l’esterno sul piano frontale ed assiale. Garantendo la stabilità dell’articolazione, questo legamento permette quindi una ottimale trasmissione delle forze esplosive dai muscoli dell’arto inferiore, al piede, ed infine al suolo, permettendo il gesto atletico del salto. Per questo motivo l’integrità di questo complesso muscolo-legamentoso rappresenta per un atleta come Tamberi una condizione imprescindibile per una performance sportiva di alto livello.

Le lesioni del legamento deltoideo generalmente avvengono durante traumi rotazionali della caviglia: una lesione “completa” della porzione superficiale e profonda occorre generalmente in concomitanza di fratture del perone; una lesione “parziale” è invece generalmente isolata e coinvolge per lo più la porzione superficiale o anteriore. Quest’ultima può accadere durante delle distorsioni con un meccanismo prevalentemente pronatorio, come nel caso di Tamberi. L’atleta infatti, coerentemente con il gesto atletico richiesto dalla sua disciplina, è costretto ad eseguire una corsa con traiettoria circolare e con il corpo sbilanciato verso l’interno. Ciò provoca, al momento dello stacco, un importante stress in pronazione sulla caviglia su cui si scarica tutta l’energia esplosiva necessaria al salto. Se qualche cosa va storto, a farne le spese è il legamento deltoideo, come nel caso di Tamberi o del Qatariota Mutaz Essa Barshim, atleti entrambi accomunati oltre che dall’Oro Olimpico di Tokyo 2020, anche da un infortunio con il medesimo meccanismo traumatico.

Nel caso dell’atleta Italiano è stato intrapreso un trattamento chirurgico. In una intervista del 2017 sulla rivista della Società Italiana di Chirurgia del Ginocchio e Traumatologia Sportiva (SIAGASCOT), il Chirurgo -Italiano!- che ha operato Tamberi spiegava come mediante una riparazione delle strutture lesionate fosse stato possibile ripristinare l’anatomia della caviglia evitando l’instaurarsi di una lassità mediale cronica. Nel caso specifico del saltatore, una lassità mediale avrebbe causato una propagazione non ottimale della sua forza esplosiva nel salto, “facendogli perdere almeno 40 cm di performance in altezza “. Il chirurgo proseguiva affermando che “se l’intervento consente di accentuare la rigidità mediale, potrebbe essere ottenuto un miglioramento delle sue misure”. Queste parole sono risultate profetiche e, anche se Tamberi non ha effettivamente superato il suo record personale risalente alle gare pre-infortunio, l’Oro Olimpico rappresenta sicuramente il massimo risultato della sua carriera sportiva.

La vittoria Olimpica di "Gimbo" Tamberi rappresenta un lustro per tutto lo sport Italiano, ma non va dimenticato che dietro a questo storico risultato è riassunta l'eccellenza di una intera Nazione, con i suoi allenatori, medici, chirurghi e fisioterapisti, che hanno permesso il recupero di questo fenomenale atleta permettendo all’Italia di salire sul tetto del mondo dell’Atletica Leggera.

Alberto Grassi è Chirurgo Ortopedico Presso l'Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, recentemente premiato con un Award da parte della Sociatà Ortopedica Americana di Medicina dello Sport (AOSSM)  

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