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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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Enzo Suma, l'inventore di Archeoplastica: "I rifiuti diventano reperti da museo, denunciamo l'inquinamento senza polemiche"

Archeoplastica è nato quasi per caso ed è diventato un caso sui social: entro l'estate potrebbe avere un museo permanente

Mentre a Pompei venivano rinvenuti gli scheletri di due nuove vittime di un terremoto avvenuto contemporaneamente all’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. su una spiaggia laziale veniva ritrovato un astronauta di plastica degli anni '60 che conteneva riso soffiato e veniva venduto negli autogrill. Nei giorni in cui veniva divulgata la straordinaria, se confermata, scoperta di un edificio a Fano che potrebbe essere la basilica progettata da Vitruvio intorno alla fine del I secolo a.C, sul profilo Instagram di Archeoplastica è stato pubblicato un video in cui attraverso i ‘reperti’ trovati sulle spiagge italiane veniva ricostruita la storia dei deodoranti dal primo prodotto che ebbe però vita breve in quanto irritava la pelle e danneggiava i tessuti (marca Mum datato 1888) fino all’intuizione di una figlia che aprì ufficialmente il mercato dei deodoranti. Nel 1909 il dottor Murphy sviluppò un liquido antitraspirante per non far sudare le mani dei chirurghi, la figlia scoprì che il cloruro di alluminio era efficace non solo sulle mani, ma anche sulle ascelle e così venne commercializzato nel 1912 con il nome di Odorono, il primo deodorante.

Parallelismi troppo azzardati? Forse, ma ben spiegano il concetto che c’è alla base di Archeoplastica – il museo degli antichi rifiuti spiaggiati, progetto divulgativo nato nel 2021 dalla mente, e dalla passione, di Enzo Suma, guida naturalistica e dottore in scienze ambientali che dal 2013 è impegnato nella valorizzazione ambientale della Puglia, la sua regione, e che da due anni ha trasformato i rifiuti delle spiagge in reperti ‘archeoplastici’. La forza di Archeoplastica sta nella comunicazione 'pop' che è riuscita a interessare milioni di persone tra post, reel e storie social. Grazie a un importante lavoro di ricerca vengono raccontati i flaconi di detersivi, creme, succhi di frutta, giochi andando così ad indagare i gusti dei consumatori, le scelte di design e la storia di alcune aziende che riescono a stuzzicare la memoria di chi magari quella confezione l'ha vista nella casa dei nonni o dei genitori.

Non tutta la plastica raccolta sulle spiagge italiane rientra nel progetto, è necessario che risalga almeno a 20, 30 o 40 anni fa e proprio grazie a questa ricerca, fisica e storica, Suma è riuscito con Archeoplastica a mostrare, con foto e video, quanto la plastica sia indistruttibile. Gli oggetti che fanno parte della collezione spesso sono in perfette condizioni, alcuni mantengono anche i colori e le scritte, altri sono più ammaccati, ma comunque integri dopo anni trascorsi in mare e alla mercè degli agenti atmosferici. E, guardando il bicchiere mezzo pieno, quasi bisognerebbe dire per fortuna che la plastica impieghi decenni a degradarsi perché fin tanto che non si trasforma in microplastica, o nanoplastica, è possibile raccoglierla.

Plastica in mare, alcuni dati

Secondo i dati dell'indagine Beach litter 2023 di Legambiente, in Italia in media ci sono 961 rifiuti ogni 100 metri di spiaggia. Lo studio ha analizzato 38 lidi in 15 Regioni per un totale di 232.800 metri quadrati di area campionata in cui sono stati contati 36.543 rifiuti di cui il 72,5% è dato da polimeri artificiali/plastica.

Secondo il report del WWF pubblicato nel 2019 (Fermiamo l’inquinamento da plastica), nel 2016 l’Italia ha riversato 53mila tonnellate di plastica in mare e secondo i calcoli di IUCN (United for Life & Livelihoods) la principale causa della dispersione della plastica nel Mare Nostrum è la cattiva gestione del ciclo dei rifiuti sulla terra ferma: nel Mediterraneo, per tale motivo, si accumulano almeno 229 mila tonnellate di plastica ogni anno. Una quantità che entro il 2040 potrebbe raddoppiare. 

Secondo il rapporto del WWF il 4% della plastica è trasportato dai fiumi italiani: il Po da solo è responsabile del 3%, ovvero 1,350 tonnellate, della plastica “che ogni anno finisce nel mare e rappresenta la 10° maggiore fonte di inquinamento da plastica del Mediterraneo. Il Tevere, che attraversa la città di Roma, riversa in mare l’1% della plastica ovvero 600 ton l’anno”. A seguire ci sono le attività in mare, pesca, acquacoltura e navigazione, che rappresentano il 18% e infine il 78% proviene dalle attività costiere ed è causato da una gestione inefficiente dei rifiuti colpa anche dell’intenso flusso turistico e delle attività ricettive, “le città costiere che producono più rifiuti sono Catania, Venezia, Bari, Roma, Palermo e Napoli”.
Il 65% dei rifiuti plastici rimane in superficie per circa 1 anno, per circa 10 viaggia spinta da correnti e venti e di questi l’80% arriverà sulle coste. Nel Mediterraneo, le coste italiane ricevono la maggiore quantità di rifiuti plastici, essendo tra le più lunghe ed esposte.

L'intervista a Enzo Suma, il creatore del museo degli antichi rifiuti spiaggiati

Con Enzo Suma abbiamo parlato di inquinamento, sensibilizzazione e scelte politiche, partendo proprio dalla sua intuizione diventata un caso mediatico. Archeoplastica è nata quasi per caso, quando un giorno su una spiaggia trovò un flacone di spray abbronzante di fine anni '60, decise di pubblicare una foto di questo oggetto così datato, che ovviamente aveva il prezzo in lire, sui social e lo stupore che suscitò lo ispirò. Da quel momento è iniziata la sua raccolta e ricerca storica che adesso conta moltissimi reperti con storie spesso interessanti come quella del flacone di miele a forma di clown prodotto da un’azienda greca o quelle delle radiosonde (è una strumentazione che viene attaccata ad un pallone sonda che viene lanciato in atmosfera e che serve a fare misurazioni di temperatura e umidità fondamentali per le previsioni meteo) che sono fornite di gps e quindi sono importanti strumenti per capire come i rifiuti viaggiano in mare. Oppure quella del flacone di dopobarba della Brut, degli anni ’70, che tutti ricordano nell'iconica scena del film Mamma ho perso l'aereo, quando Kevin finge di depilarsi. 

Archeoplastica sui social è molto seguita, su Instagram avete quasi 300mila follower mentre su TikTok i vostri video sfiorano il milione di visualizzazioni. Siete diventati popolari velocemente e avete una community molto attiva

"La nostra è una comunicazione dolce, se così può essere definita, ma diretta. È una denuncia che gioca sull’evidente in quanto mostra con foto gli oggetti che arrivano dal mare, che troviamo sulla spiaggia e che hanno anche più di 50 anni. Ce l’hanno sempre detto che la plastica dura secoli e secoli, ma vedere con i propri occhi e dal vivo, con le nostre mostre, è diverso. Archeoplastica da un lato serve a tenere sempre alta l’attenzione su un tema delicato, ma urgente, e dall’altro a mostrare che si può parlare di inquinamento senza usare toni accesi e polemici. Tra i vari social Instagram è quello che più mi piace perché permette maggiore interazione, mi piace molto questo fatto della community ovvero persone che partecipano con livelli diversi di impegno: c’è chi ci aiuta raccontando un aneddoto a chi si adopera attivamente nella ricostruzione della storia di oggetti che non hanno riferimenti ai quali aggrapparsi. Spesso sono i nostri follower a donarci l’intuizione giusta. Noi abbiamo una certa esperienza per cercare in rete, ma alcune volte l’esperienza personale e l’intuito sono fondamentali". 

I prossimi passi di Archeoplastica quali sono?

"Il sito sarà aggiornato con molti altri reperti con scansioni 3D e parlando delle mostre dal vivo e itineranti: le prime sono partite dalla Puglia, anche nelle scuole, ma ne stiamo organizzando in tutta Italia. Archeoplastica per definizione è il museo degli antichi rifiuti spiaggiati e tra le novità più grandi c’è il primo nostro museo permanente che sarà in Puglia, se tutto va bene entro l’estate aprirà in un piccolo borgo molto turistico e che quindi sarà legato tanto alle scuole quanto al turismo. La location sarà svelata quando il progetto sarà tutto pronto".

Già da prima di Archeoplastica organizzava raccolte di rifiuti in spiaggia, ha visto un incremento nelle adesioni dopo la popolarità?

"In realtà non lo so, già dal 2019 mi ero reso conto che la sensibilità da parte delle persone era aumentata riguardo ai rifiuti e io personalmente avevo già meditato l’idea di Archeoplastica, che nasce poi nel 2021, e avevo iniziato a postare informazioni, infatti quando lanciai la raccolta fondi in pochi giorni arrivai alla cifra di cui avevamo bisogno per realizzare le scansioni 3D e i progetti nelle scuole (quasi 10mila euro)".

Quando andate a raccogliere?

"Soprattutto d’inverno quando i comuni e gli stabilimenti balneari non puliscono le spiagge e quindi ce ne sono moltissimi, complici anche le mareggiate. Chi viene in Puglia solo d’estate non può rendersene conto - situazioni simili si trovano anche in altre regioni solo che alcune sono più colpite di altre - perché da dopo Pasqua anche i Comuni sono direttamente impegnati nella pulizia. Da anni mi occupo di organizzare queste raccolte e può sembrare paradossale ma lo scopo di Archeoplastica non è quello di invogliare le persone a partecipare alle raccolte sulle spiagge, la nostra volontà è quella di andare a sensibilizzare chi non è sensibile sulla questione affinché sulle spiagge arrivi meno plastica. La questione raccolta poi va anche contestualizzata: ci sono dei periodi in cui non andrebbe fatta come ad esempio tra aprile e luglio ovvero quando il fratino nidifica. Questo piccolo uccello depone le uova lungo le coste sulla sabbia o tra le rocce e sceglie aree dove è minore il disturbo dell’uomo e quindi non dev’essere disturbato".

A ogni raccolta trovate un reperto?

"Possibilmente ad ogni raccolta si possono trovare reperti, basta solo avere occhio e ormai dopo tutti questi anni l’ho sviluppato. Ad esempio i rifiuti bianchi spesso possono sembrare recenti, ma perché il bianco rimane bianco anche dopo 50 60 anni che è in giro e quindi inganna. Dove c’è accumulo di macroplastiche qualcosa lo trovo sempre e a chi mi dice “ma io questi oggetti non li ho mai visti in spiaggia” rispondo che bisogna prestare molta attenzione, osservare e poi facendo ricerca ho scovato dei tratti caratteristici che mi permettono di riconoscere se un rifiuto può diventare un ‘reperto’".

L’inquinamento è un problema politico?

"A mio avviso è necessario disincentivare l’utilizzo di plastica usa e getta, che è poi quella che per la maggior parte popola i nostri mari e spiagge. È ovvio che ognuno di noi può fare la sua parte, ma non è questa la soluzione al problema dell’inquinamento della plastica perché in realtà richiede un lavoro politico di legislatura, di norme che devono far sì che tanti di quei prodotti legati al monouso non vengano usati. In Europa c’è già una direttiva, ma l’Italia ha trovato l’escamotage del biodegradabile, del compostabile che però non lo è in natura, quelle plastiche se vengono smaltite male e finiscono in mare non si degradano, anzi".

Sulla questione “addio all’insalata in busta monouso” voluta dall’Europa e dal secco “no” di Coldiretti che minaccia un “effetto dirompente sulle abitudini di consumo degli italiani e sui bilanci delle aziende agroalimentari” che idea si è fatto?

"Ognuno cerca di portare acqua al proprio mulino, però non si può guardare solo all’interesse economico, altrimenti non se ne esce più. L’unica vera consapevolezza, anche in questo caso, è che noi stiamo usando plastica, un materiale destinato a durare moltissimo, per applicazioni di poche ore: è il paradosso dell’utilizzo di questo materiale. Se non lo eliminiamo continueremo a raccogliere plastica all’infinito e già adesso non la stiamo raccogliendo tutta perché si trasforma in microplastiche e nanoplastiche irrecuperabili che entrano nell’ecosistema e nella catena alimentare. L’Europa ha tracciato una strada da seguire: la progressiva eliminazione delle plastiche monouso. Non è un cambiamento che arriverà dall’oggi al domani, ma in Italia ancora non è arrivato e noi siamo indietro rispetto ad altri Paesi europei. Certo sono stati fatti dei passi in avanti, però potrebbero essere incentivati altri metodi come per esempio il ‘sistema di deposito cauzionale’ (ovvero il restituire i contenitori, spesso di vetro o plastica, al termine del loro utilizzo così da avere indietro la cauzione pagata al momento dell’acquisto, questo metodo è particolarmente diffuso in Germania ndr), noi come Archeoplastica presto ne parleremo perché abbiamo raccolto molte testimonianze di persone che vivono in altri Paesi europei e che ci seguono".

(Gli imballaggi usa e getta sono ampiamente prodotti con poliolefine (PE e PP) e avendo densità inferiori rispetto all’acqua marina "non sorprende che questi polimeri rappresentino la maggior parte delle particelle di plastica galleggianti nelle acque superficiali in tutto il mondo". Fonte: WWF – Fermiamo l’inquinamento della plastica).

Quando si apre il sito di Archeplatica è impossibile non leggere le ‘avvertenze’: "Non sussiste alcuna volontà di accusare e denigrare le aziende produttrici dei prodotti rinvenuti in mare ed esposti nel presente museo virtuale, né tantomeno sussiste alcuna volontà di agganciamento ai marchi stessi". Avete avuto problemi legali?

"Le aziende non fanno nulla di illegale, a loro è consentito produrre i contenitori, e in questi due anni di attività martellante non abbiamo mai avuto problemi anche perché noi abbiamo sempre rispettato quanto scritto sul sito. Non abbiamo mai puntato il dito contro un determinato brand anche perché sono tutti coinvolti, quello meno coinvolto è quello che produce meno: più un oggetto è venduto e più è probabile che finisca in mare. Ovviamente l’abbiamo scritto per tutelare il nostro lavoro che è basato sul dato di fatto: perché oltre alla scoperta del reperto noi ne ricostruiamo la storia che inevitabilmente tocca anche il brand e il suo logo che nel corso degli anni potrebbe essere cambiato e questo ci aiuta di datare i contenitori. Nella fase di ricerca spesso le aziende, quelle un più piccole, ci forniscono le informazioni rispondendo alle nostre mail".

Tra gli ultimi reperti che avete mostrato online ci sono delle polpette di mare con incastonati all’interno teste di Barbie...

Sono inquietanti da un lato, ma dall’altro ci fanno capire come la natura riesce sempre a trovare un modo per sopravvivere e in questo caso ha direttamente interagito con le teste delle Barbie: queste polpette di peli della radice della Posidonia, una pianta marina, si sono formate inglobando la testa e legandosi ai capelli del gioco creando una nuova ‘capigliatura’. Sono tre quelle in cui si vede finito il processo, in altre si vede meno, e proprio loro faranno parte di una mostra di design a Milano, perché Archeoplastica è anche arte.

L’oggetto ritrovato sulle spiagge che l’ha maggiormente colpita?

"Un oggetto a cui sono più legato, perché ha segnato la fase iniziale della mia idea, è rappresentato da un contenitore a forma di gobbo risalente agli anni ’60. Pensavo fosse un bagnoschiuma, dopo anni ancora non sono arrivato ad una conclusione: forse è un salvadanaio. La figura è ispirata allo Scartellato napoletano quindi ha una gobba portafortuna e questo sarebbe in linea con il contenere soldi. Sul contenitore non c’era nessuna scritta o indicazione e quindi era praticamente impossibile avere notizie, poi una nostra follower lo ha riconosciuto in un servizio andato in onda in Rai e ci ha mandato le foto di quello che lei aveva in casa: la madre lo aveva vinto in una fiera di paese molti anni prima".

In quanti collaborano a Archeoplastica e quanti sono i reperti ad oggi?

"Non so in quanti siamo adesso, abbiamo collaboratori in tutta Italia, alcuni si dedicano alla raccolta altri alla ricerca. Arrivano reperti un po’ da tutta la Penisola ma in Liguria e Sardegna sono le regioni in cui si raccoglie meno. La Toscana quest’anno mi ha sconvolto in negativo, ma dipende molto anche dalle mareggiate e dai fiumi. Anche per quanto riguarda i reperti non so quanti ne abbiamo, due anni fa erano 200, adesso sono molti di più". 

Com’è nata questa esigenza di agire attivamente per salvaguardare l’ambiente?

"Sono da sempre legato alla natura e ho una certa predisposizione nel volerla tutelare e proteggere, poi studiando Scienze ambientali, indirizzo marino, all’Università Ca Foscari di Venezia ho acquisito gli strumenti per capire come fare. Quando sono tornato in Puglia ho iniziato a collaborare con aree protette del territorio. Ora ho 42 anni e sono già molti anni che lavoro nel mondo della sensibilizzazione ambientale, ma l’esperienza sul campo mi ha messo su questa strada, la guida naturalistica non solo accompagna, ma fa comprendere determinate dinamiche del mondo della natura".

@archeoplastica Ecco una selezione dall'ultima raccolta in spiaggia #archeoplastica ♬ Calm LoFi song(882353) - S_R
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