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Venerdì, 29 Marzo 2024
L'inchiesta

Turni da 12 ore per 750 euro, nascosti in tenda per evitare i controlli: i racconti dei lavoratori stagionali in riviera

Parlano baristi, cuochi, camerieri, gelataie che hanno svolto una o più stagioni sulla riviera Romagnola. In comune hanno tutti il fatto di essere stati sfruttati e sottopagati

Qualche giorno fa ho pubblicato su Today un'inchiesta sul lavoro stagionale in riviera romagnola per fare luce sulle proposte di quegli imprenditori che spesso si lamentano delle difficoltà nel reperire personale. Mi sono immedesimata nei panni di una 20enne in cerca di un lavoro per l'estate e ho inviato il mio curriculum (con reali esperienze nel settore una decina di anni fa) candidandomi per diverse offerte, ricevendo in cambio proposte con stipendi bassissimi, sottoinquadramenti, contratti pirata, fuori busta e senza giorno di riposo. 

Come ho già avuto modo di spiegare, da giovane ho svolto vari lavori stagionali in riviera. In questo articolo, però, ho voluto dare spazio ad amici e conoscenti che, come me, hanno fatto una o più stagioni in Romagna. Tra loro ci sono baristi, cuochi, camerieri, gelataie: in comune hanno tutti il fatto di essere stati sfruttati e sottopagati.

Matteo, barista a Rimini: "10 ore al giorno in nero per 700 euro. E quando arrivavano i controlli ci nascondevamo nelle tende"

Matteo, che oggi ha 33 anni ed è residente a Gatteo, nel cesenate, ricorda il primo lavoro stagionale svolto quando aveva 16 anni in un camping nella zona nord di Rimini. "Per 4 estati di fila ho lavorato completamente in nero, 7 giorni su 7, 10 ore al giorno, con uno stipendio di 700 euro. Ufficialmente ero barista, ma in realtà facevo tante altre cose: aiutavo in cucina, servivo ai tavoli, facevo le pulizie e maneggiavo alcolici, cosa che non potevo fare essendo minorenne. I turni erano massacranti: andavano dalle 7 del mattino alle 15 e dalle 18 a mezzanotte, spesso facevo il turno "spezzato" con tanto di relative spese di trasporto casa-lavoro. Un Ferragosto ricordo di aver lavorato per 15 ore filate. Dopo 5 anni mi hanno fatto un contratto, ovviamente sulla carta part-time, mentre in realtà lavoravo 80 ore a settimana: il resto me lo davano fuori busta, ma comunque prendevo appena 1200 euro. A quell'età non ci pensi, non sai a cosa servono i contributi, vuoi solo lavorare. I controlli? Venivamo avvisati il giorno prima: il capo ci faceva nascondere nelle tende dei campeggiatori suoi amici, che venivano lì da anni".

Matteo ricorda anche le lamentele dei suoi superiori: "I miei titolari piangevano sempre miseria, poi però quando chiudevano il camping partivano per il sud-America e facevano la bella vita per sei mesi. Gli scontrini, poi, li facevano solo agli italiani, agli stranieri davano lo scontrino non fiscale, a quei tempi pagavano quasi tutti in contanti. E' stato veramente stancante fisicamente e psicologicamente, alla fine di quella stagione ho detto basta. Quella non è vita. Sicuramente si imparano il mestiere e il sacrificio, ma non c'è rispetto del lavoratore nè della persona".

Nicola, cuoco per 12 stagioni: "Ho rinunciato al mio sogno, ti fanno odiare quello che amavi"

Nicola oggi ha 34 anni, ha un diploma all'istituto Alberghiero Artusi di Forlimpopoli e per 12 anni ha lavorato come cuoco in riviera. "Ho iniziato mentre ero ancora studente, avevo 17 anni e lavoravo in un Grand Hotel. Sei mesi senza giorno di riposo, lavorando in cucina 12 ore al giorno per 750 euro al mese. Non mi davano neanche l'alloggio per riposarmi nella breve pausa pomeridiana: quando ho spiegato che avevo bisogno di dormire mi hanno messo una brandina in un magazzino, dormivo in dispensa con i motori delle celle frigorifere che giravano. In altre strutture mi è capitato di dormire con altre 4 o 5 persone nei sottotetti o in stanzini sottoterra, con temperature altissime e senza aria condizionata. Avevamo due bagni e due docce per 40 dipendenti, uomini e donne. E parliamo di una struttura di alto livello, ma spesso sono proprio quelle che se ne approfittano di più, perché dicono che lavorare per loro "fa curriculum" e quindi non puoi pretendere niente. Non vedono l'ora di poter assumere dei ragazzini giovani, perché sono ingenui e possono approfittarsene".

Avendo lavorato per tanti anni in Romagna, Nicola sa bene come funzionano le cose: "Qui lo sanno tutti com'è la situazione al mare: orari improponibili, niente giorno libero, fuori busta, straordinari non pagati. In 12 anni avrò visto due controlli dell'Ispettorato, ma anche in quei casi i miei titolari erano stati avvisati per tempo. Noi ci nascondevamo o ci istruivano su cosa rispondere agli istruttori, dichiarando informazioni false su orari e giorni di riposo. In questi 12 anni ho visto la situazione peggiorare sempre di più, gli imprenditori hanno tirato sempre di più la corda. Il sogno dello stipendio alto lavorando in riviera si è infranto da tanti anni, e per diventare cuoco ho dovuto fare tantissimi sacrifici e mandare giù tanti rospi. Alla fine dopo tanti anni, volendo farmi una famiglia e stare con mia figlia, ho dovuto rinunciare al mio sogno di fare il cuoco. Ti fanno odiare il lavoro che amavi, perché non è possibile farlo come si dovrebbe. C'è chi mi dice "Ma perché allora lo hai fatto per tanti anni?": avevo bisogno di lavorare, ero giovane e abbassavo la testa. Riescono perfino a farti credere che la normalità sia quella a volte. Però non è giusto, e questa cosa prima o poi dovrà finire. Spero che prima o poi ad abbassare la testa saranno gli imprenditori".

Giulia, barista a Cesenatico: "Lo stress mi ha portato a soffrire di convulsioni"

Giulia ha 32 anni e anche lei ha lavorato come stagionale per diversi anni. "L'esperienza peggiore l'ho avuta nel 2018 in un bagno al mare a sud di Cesenatico. Lavoravo 7 giorni su 7, con orario spezzato, assunta con contratto da apprendista nonostante avessi già fatto diverse stagioni, stipendio di 1000 euro al mese. In teoria dovevo fare la barista, in pratica facevo di tutto, facevo la cameriera, le pulizie, andavo anche al supermercato a fare la spesa e a ritirare le brioche per la colazione. E a proposito di questo: appena assunta mi dissero che avrei potuto fare colazione lì, visto che arrivavo molto presto. Ma dopo qualche giorno cambiarono idea e mi proibirono di farlo, perché le brioche erano poche e dovevano tenerle per i clienti. Il livello di stress era altissimo, e dopo una settimana di lavoro ho iniziato ad avere le convulsioni. Il giorno dopo, su consiglio del medico, mi sono licenziata. In riviera si sa che la situazione è questa, se ti va bene ok, altrimenti quella è la porta".

Ho cercato lavoro in riviera quest'estate: nero, turni massacranti, paghe da fame

Alice, gelataia a Cesenatico: "Mai avuto una busta paga"

Alice, amica di Giulia, come lei ha 32 anni e nel 2011 ha lavorato in una gelateria sempre a sud di Cesenatico. "Ero assunta come aiuto banconiera, inquadrata al sesto livello, e avevo un contratto a chiamata. In tutta l'estate non ho mai avuto una busta paga. Lavoravo 7 giorni su 7, dalle 19 a notte inoltrata, senza maggiorazioni per il lavoro serale o festivo la domenica. Prendevo 700 euro, tutti in nero. Con la consapevolezza che ho oggi non accetterei più quelle condizioni, ma avevo bisogno di lavorare e ho abbassato la testa".

Marco, cameriere negli anni '80: "Anche allora lo stesso sfruttamento, il reddito di cittadinanza non c'entra"

L'esperienza di Marco, ravennate di 55 anni, prova che questi problemi, in realtà, affliggono la riviera romagnola da decenni. "Nell'estate del 1985 e in quella del 1986 ho lavorato in un ristorante di Lido Adriano, il primo anno come cameriere, il secondo anche come aiuto pizzaiolo. Per la prima stagione sono stato messo in regola solo per una settimana, per la seconda un mese e mezzo, ma solo perché mi ero rotto un braccio lavorando e i titolari erano stati obbligati ad assumermi. Per il resto della stagione ho sempre lavorato in nero. Ma era così dappertutto, anche i miei colleghi erano in nero. I controlli erano pochissimi, e anche quando c'erano lo sapevamo sempre in anticipo: ci dicevano "Domani state a casa". La paga, poi, era la cosa peggiore: ci pagavano in base a quanti clienti venivano a mangiare. Alle 18 andavamo al ristorante, facevamo le pulizie e preparavamo tutto; se poi c'era poca gente, ci mandavano a casa. Quando facevamo gli scontrini, poi, inserivamo il nostro codice: a fine mese guardavano quanti scontrini avevamo fatto e ci pagavano in base a quello, "a provvigione" in pratica. Quindi in un mese più tranquillo come giugno guadagnavo 500mila lire, mentre ad agosto anche il doppio (calcolate che uno stipendio di un lavoratore medio ai tempi era di circa 800mila lire/un milione)".

Marco si rifà alla sua esperienza per commentare le difficoltà lamentate dagli imprenditori di oggi nel trovare lavoratori: "Il reddito di cittadinanza? Non c'entra niente. Ai tempi si trovavano lavoratori più facilmente perché lavoravamo a qualunque condizione, anche sfruttati, non c'era quella cultura della legalità del lavoro che c'è oggi. Eravamo meno informati, oggi c'è più consapevolezza. Io mi rendo conto solo oggi che era tutto sbagliato, ai tempi ero contento, volevo portare a casa due soldini e non pensavo ai contributi".

Barbara, 8 ore al giorno per 500 euro. "Ho fatto tanti colloqui, uno peggio dell'altro"

Tra chi ha deciso di condividere le sue esperienze c'è anche Barbara (nome di fantasia, ha chiesto di restare anonima), 32enne faentina che sei anni fa si è trasferita a Cervia. "Non potete nemmeno immaginare quanti colloqui assurdi ho fatto durante il primo anno qua - spiega - La prima stagione l’ho fatta in un ristorante come commis di sala con contratto da tirocinante a 500 euro al mese (quando in verità dovevano essere di più, a detta del titolare durante il colloquio). Stupida io che sono rimasta fino alla fine, ma purtroppo il titolare aveva tante conoscenze e non volevo giocarmi ogni possibilità futura in zona per cattiva pubblicità. Iniziavo alle 17 e finivo all'una, in base a quando andavano via i clienti, senza giorno libero ovviamente. La stagione successiva mi ha offerto "ben 750 euro" al mese perché "era contento del mio lavoro": ho rifiutato. I colloqui successivi, tutti in stabilimenti balneari tra Cervia e Lido di Savio, sono stati uno più assurdo dell’altro. Tutti senza giorno libero, ma uno in particolare cercava all’inizio una barista per il turno della mattina; poi man mano che parlavamo sono saltate fuori parecchie cose diverse. Alla fine avrei dovuto fare la barista alla mattina dall’apertura, poi la cuoca/aiuto-cuoca per il turno del pranzo, poi di nuovo barista fino a chiusura intorno alle 21, tranne i giorni in cui stanno aperti anche alla sera per le varie feste, e ovviamente ti toccavano pure quelle. Il tutto per 900-1000 euro con contratto ufficialmente part-time. E ci sono stati tanti altri colloqui del genere, ve lo assicuro".

Alla fine Barbara, un po' per disperazione, ha accettato la proposta "meno peggio" di uno stabilimento balneare come barista: "Il primo anno come apprendista, poi contratto part-time normale. Ovviamente senza giorno libero, e nonostante il contratto part-time facevo più di otto ore; il tutto per 1200 euro in busta paga e il resto fuori, per arrivare a 1400 euro in tutto (ma solo grazie all’ultimo aumento). La cosa che mi fa più "ridere" è che facendo il turno della mattina dalle 6.30 alle 15.00, anche se sono 8 ore, comunque viene ritenuto mezza giornata. Mi dispiace dirlo, ma la situazione fa veramente schifo e ti tocca per forza accettare una cosa che normalmente rifiuteresti all’istante, se vuoi lavorare e campare. La cosa che mi fa più arrabbiare è che nessuno fa niente per una situazione che tutti conoscono benissimo: nessun controllo, niente di niente, e alla fine grazie alle varie conoscenze possono continuare a fare quello che stanno facendo. Non è vero che i giovani non hanno voglia di lavorare e preferiscono stare a casa a non fare niente: molti purtroppo devono accettare contratti schifosi per campare. Chi può fa bene ad andarsene".

L'insostenibile leggerezza (o assenza) dei controlli

Tutti gli intervistati, dal primo all'ultimo, durante le interviste hanno ribadito un concetto: in Romagna funziona così, lo sanno tutti. Ma se lo sanno tutti viene da chiedersi: perché non succede nulla? "Spesso i controlli sono inesistenti", ci hanno raccontato alcuni di questi lavoratori: e allora perché i controlli degli Ispettorati del Lavoro (che spesso sono sotto organico, e questo è un altro problema che andrebbe affrontato) non vengono intensificati? "A volte capita che effettivamente l'Ispettorato multi l'imprenditore per queste cose, ma a lui a livello economico conviene comunque pagare la multa e poi continuare così, come se non fosse successo nulla", dice Matteo: e allora perché le sanzioni non vengono raddoppiate, triplicate, decuplicate? E poi: troppe volte, ce lo hanno detto gli stessi lavoratori, gli imprenditori vengono avvisati in anticipo dei controlli. Ma allora che senso ha tutto ciò? Perché un controllore dovrebbe avvisare in anticipo di un'ispezione, se non avesse un tornaconto di qualche tipo?

In Romagna funziona così, lo sanno tutti. Eppure nessuno fa nulla. E se nessuno fa nulla, i giovani hanno finalmente iniziato a fare quello in cui noi non siamo riusciti: hanno preso in mano la situazione e hanno deciso che no, non è più tempo di farsi sfuttare. E allora, parafrasando De Andrè, non si risenta la gente per bene se non si adattano (più) a portar le catene.

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