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Giovedì, 28 Marzo 2024
l'intervista

Lisa Martignetti, vita da funeral planner: "Parlare della morte per abbattere l'ultimo tabù. Grazie alle parole di Michela Murgia"

Negli ultimi tempi l'elaborazione del lutto è un tema entrato finalmente nel dibattito pubblico. Dalle dichiarazioni della scrittrice sarda a quelle di Gianluca Vialli, fino all'apertura dei Death Cafè a Torino su volontà degli psicologi. Ne parliamo con l'operatrice funebre 41enne: "La condivisione è fondamentale. È il primo grande passo"

C'è, nell'approccio di Michela Murgia alla malattia, un'occasione di riflessione collettiva sull'elaborazione del lutto. C'è, per usare un'espressione che tanto appartiene alla nostra epoca, l'opportunità di abbattere un tabù. L'ultimo tabù. Quello della morte, appunto. Prima il racconto, pubblicato sui social, a proposito dell'ultimo viaggio organizzato sull'Orient Express, un treno d'epoca che era rimasto alla scrittrice come "uno dei pochi sogni non ancora realizzati nella vita". Poi un'intervista, rilasciata al Corriere della Sera, in cui - per usare le parole di Roberto Saviano - "frega il cancro e lo usa come atto politico", ovvero parla di Marco Cappato e delle sue battaglie per l'eutanasia, della famiglia queer che le sarà al fianco nei momenti più difficili, dell'antifascismo come ultima cosa che vorrebbe vedere nella vita. 

"Ho amato le sue parole, potenti e riflessive", dice Lisa Martignetti, 41 anni, funeral planner italiana, "perché è riuscita a dare luce ad un tema che nessuno vuole affrontare. Eppure la morte - che io chiamo la Signora - è l'unica cosa certa che abbiamo nella vita. E acquisire consapevolezza è un atto d'amore verso se stessi e verso gli altri. Spero quindi che l'intervista di Murgia possa far riflettere su quanto sia importante educare ad un argomento ritenuto da sempre tabù, anche chi alla propria morte non pensa".

Negli ultimi tempi il tema dell'elaborazione del lutto è finalmente entrato nel dibattito pubblico. Murgia - affetta da carcinoma renale al quarto stadio - rivela di aver ragionato su un "alfabeto dell'addio" che le consente "un tempo per pensare come salutare chi ama". Parole rivoluzionarie, che ricordano quelle di Gianluca Vialli, morto a gennaio di tumore: l'ex calciatore definiva pubblicamente "un privilegio" conoscere la propria "data di scadenza" perché, spiegava, "ti permette il tempo di sistemare cose che, se dici buonanotte e muori nel sonno, rimangono incompiute".

"Ho sempre ritenuto che pianificare l'ultimo saluto sia un atto d'amore verso te stesso e soprattutto verso chi ami, perché hai la possibilità di scegliere come andartene e come salutare chi rimane. E questo è fondamentale: il linguaggio dell'addio diventa consapevolezza. Spesso accade che proprio nei malati oncologici ci sia il desiderio di decidere come andarsene: scegliere la cerimonia, la musica e l'abbigliamento, organizzando ogni minimo dettaglio. È un modo per non lasciare incombenze a chi rimane e, al contempo, questo mantenere fede agli ultimi desideri diventa, per chi resta, un atto d'amore".

In questi giorni a Torino apre il primo Death Cafè. Promosso dall'Ordine degli Psicologi del Piemonte, ha lo scopo di abbattere il tabù della morte e discuterne per un paio d'ore in un clima disteso. Per ora è destinato ai professionisti, come psicologi o operatori sanitari, ma l'intento è di allargarlo alla cittadinanza.

"Parlarne è il primo grande passo. La condivisione è fondamentale. Ci aiuta a non sentirci soli. Ma spesso accade che si fatica a parlarne, soprattutto con i propri cari, forse per la paura del giudizio. Il lutto è soggettivo e il dolore anche. Ad esempio io al funerale di mio padre non ho pianto, ma dentro morivo. Un dolore immenso".

Il tuo lavoro nasce proprio con la morte di tuo padre. È stato suo, il primo funerale che hai organizzato.

"Mio padre, alla scoperta della sua malattia, decise che era giunto il momento di pianificare insieme la sua partenza. E, passami il termine, abbiamo affrontato tutto con più leggerezza, tra virgolette, perché aveva già deciso tutto nei minimi dettagli. Essendo un operatore funebre, ci ha guidati verso l'inevitabile. È doloroso, ma non devi farti domande perché hai già le risposte: è stato come fargli un ultimo regalo. Mentre mi prendevo cura di lui, ho capito che era giunto il momento di aiutare le altre famiglie".

In America sembra esserci maggior disinvoltura nel rapportarsi al tema della morte, il numero di funeral planner è maggiore. All'estero è quindi diverso?

"Hanno una cultura che permette di avere un approccio diverso al tema. Lo dico io, che sono figlia di una donna inglese. Su TikTok, ad esempio, seguo tante colleghe del mestiere e noto che, sotto ai loro post, c'è condivisione e apprezzamento per ciò che raccontano. Credo che purtroppo il nostro Paese abbia ancora bisogno di tempo. Anche se spesso c’è differenza tra Nord e Sud: al Sud c'è maggiore apertura. Ho sempre pensato però che i nostri nonni fossero tutti dei funeral planner. Poi credo ci sia stato un momento di negazione ed infine credo che il covid abbia risvegliato la consapevolezza del rito funebre. Ma ancora si fatica a parlarne".

Quando parli di "pianificare in vita l'ultimo saluto", che cosa intendi?

"Se sai che tra qualche mese “partirai”, coinvolgi anche i tuoi cari nel tuo ultimo saluto. E credimi diventa terapeutico. So che può sembrare un paradosso, ma non lo è, perché durante la pianificazine funebre ripercorri tutta la tua vita, è una lista di desideri di come vorresti essere ricordato: riscopri parte del tuo vissuto. Quello del funerale è un giorno in cui sarai davvero protagonista della tua vita: la gente verrà in tua memoria, ricordandoti. A parere mio è un giorno importante, perché la tua vita non finisce ma continuerà a vivere nei ricordi di chi rimane. Noi non moriamo mai".

Chi è che pianifica il proprio funerale?

"Tendenzalmente sono più donne, e mamme  particolare. È come se avessero un connaturato senso dell'organizzazione, 'semmai dovesse succedermi qualcosa'. Ma, per quanto mi riguarda, ogni pianificazione è una storia. Nella morte c'è molta intimità. Mi capita di essere contattata anche da ragazzi molto giovani, ventenni. In quei casi cerco di inquadrare subito se c'è un'instabilità, o capire se hanno intenzione di togliersi la vita, e a quel punto suggerisco loro un percorso. Hai presente che responsabilità hai nel guidarli?".

Che cosa scelgono le persone?

"Noi possiamo pianificare tutto ciò che è cerimonia del vissuto, dal compleanno al matrimonio, quindi perché non pianificare anche l'ultimo saluto? Questo comporta anche una playlist musicale, una lista di invitati e una blacklist. Chi decide di pianificare, sceglie tutto ciò che comporta l’organizzazione di un funerale. Il mio grande consiglio è sempre di fare uso della musica nei riti, perché è la colonna sonora più importante della nostra vita: ci sono artisti che ricorrono, come Tiziano Ferro, Biagio Antonacci, Franco Battiato, e i Pink Floyd sono sul podio, ma c'è anche chi vuole musica classica. Noto inoltre c’è molta richiesta di cerimonie laiche".

Tu consigli sempre un rinfresco.

"È come tornare alle origini del banchetto funebre. È pur vero che stiamo parlando di un funerale, dove è inevitabile che la gente pianga, ma tendenzialmente la grande richiesta è di essere ricordati col sorriso. È un modo per la famiglia di riunirsi ricordando il proprio caro. Io stessa, terminato il funerale di mio padre, ho bevuto un bicchiere di vino con i miei amici, non mancando sicuramente di rispetto ma brindando alla sua vita".

Perché odi la parola condoglianze?

"È un classico termine d'etichetta, anche se riconosco l’appartenenza ad un significato importante. Preferisco un 'mi dispiace' o una carezza. Il covid ci ha anche insegnato a comunicare con gli occhi. Ritengo che uno sguardo o una carezza possano rincuorare dolcemente".

Percepisci ancora pregiudizi nei confronti del tuo mestiere? C'è scaramanzia?

"Spesso chiedo alle persone se hanno mai pensato al loro funerale, e tendenzialmente la risposta appartiene a gesti scaramantici. Ma la mia domanda è: se non ci fossimo noi? Il nostro è un lavoro importantissimo. Tutti ci temono ma siamo le persone più importanti nel momento più doloroso e delicato".

Non ti capita di "portare lavoro a casa"?

"Ai corsi ci insegnano come non farlo. Quando arriva la chiamata, io penso che sia proprio il defunto ad aver bisogno di me. È come una vocazione. I momenti più difficili sono quelli in cui vedo un genitore piangere il proprio figlio, ritengo sia totalmente innaturale. Nel luglio di due anni fa, mentre mi stavo occupando della cura di una giovane ragazza, ho pianto, sono uscita e ho chiesto aiuto all'impresario funebre. Per tre settimane mi sono staccata dal lavoro. I bambini sono un mio limite, non riesco, non ce la faccio. Da madre, ripeto quanto ho detto poco fa". 

Proprio da bambina è nata la tua passione per i cimiteri. Che ricordi hai?

"Sono entrata nel primo cimitero a tre anni e mezzo, grazie a mia nonna. Oggi la ringrazio, perché mi raccontò che rimasi estasiata: per me era come un parco. Mi raccontò un particolare: ogni volta che vedevo un vaso in terra, lo raccoglievo riposizionandolo in piedi. È un rito che ho poi portato avanti con gli anni. E - a pensarci mi vengono i brividi - la prima volta che ho portato mia figlia al cimitero, lei ha fatto la stessa cosa: buon sangue non mente".

Suggerisci di entrare nei cimiteri con le cuffiette e la musica.

"Ho sempre trovato nei cimiteri tanta vita. La musica ti permette di guardare il mondo con occhi differenti. All’interno regnano le emozioni delle persone che incroci. Ci sono i ricordi, si guardano le foto. C'è la natura, ci sono i fiori che crescono sulle tombe. La vita che continua a fare il suo corso".

C'è una civiltà passata o presente che ammiri per il rapporto instaurato con la morte?

"Gli egizi hanno da insegnare, coltivavano un vero e proprio culto dei morti. E poi l'epoca vittoriana, ovvero gli inizi del '900, perché ha dato molta importanza al lutto: un vero e proprio galateo del lutto, alle immagini post mortem. Infine, l'epoca dei nostri nonni, quando la cerimonia funebre veniva valorizzata, anche con le fotografie. Oggi invece, in merito alle foto, vieni guardato e giudicato, ma non è strumentalizzazione, è ricordo: tu in quel momento stai immortalando la storia di una famiglia".

E tu hai già pianificato il tuo funerale?

"Certamente! Voglio un abito nero e desidero essere svestita prima della chiusura del feretro, perché vorrei ripartire come sono venuta al mondo: nuda. Il resto invece è un segreto. Sono stata molto criticata nel dare importanza a come le persone si vogliono esporre nel giorno del proprio ultimo saluto, ovvero al trucco e al parrucco, ma non mi interessa. Qui non si tratta di voler apparire, bensì di essere ricordati: è il nostro ultimo messaggio per chi verrà a salutarci". 

Tra le altre critiche che ti sono state mosse, quella di voler strumentalizzare la morte.

"Mi accusano di voler lucrare sul dolore altrui, ma in realtà, il mio più grande guadagno sono i 'grazie' delle 'mie' famiglie, i loro messaggi dopo il rito, quando mi contattano per un caffè. Io, giorno dopo giorno, racconto semplicemente quello che accade nelle case di molte  persone".

Sei credente?

"Credo tantissimo nell'energia che ci circonda. Penso che ognuno di noi creda in suo Dio, coltivando la propria fede".

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