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Giovedì, 25 Aprile 2024
Le donne loto

Io, madre surrogata vi spiego perché non mi sento sfruttata

Le testimonianze della canadese Rachel e della statunitense Sara, che hanno messo a disposizione il proprio utero per aiutare due coppie gay ad avere un bambino. Ecco le loro storie

Ventotto anni, due figli, un compagno che ama e che la ama, un lavoro che le piace e le dà da vivere dignitosamente. Rachel è il contrario dello stereotipo della madre surrogata che mette in affitto il suo utero per disperazione e per bisogno di soldi. "Per me diventare madre è stata una gioia immensa, che mi ha riempito il cuore e l'anima. Quando hai dei bambini sai quanto sia un'esperienza meravigliosa e appagante, e visto che non ho intenzioni di fare un terzo figlio ho pensato che sarebbe stato bello donare la stessa gioia a qualcun altro che per un motivo o un altro non poteva averla", ci racconta. In Canada la Gpa (gestazione per altri) è legale ma solo se altruistica, cioè solo se si mette a disposizione il proprio utero senza ricevere alcun tipo di compenso. È consentito il rimborso delle spese legate alla gravidanza come abbigliamento, vitamine, cibo e trasporto fino a 25mila dollari, la potenziale madre surrogata deve avere almeno 21 anni e deve aver partorito almeno una volta. Possono accedere al processo coppie eterosessuali e omosessuali, ma anche uomini e donne single. Tra i rimborsi, assicurazioni, spese legali e mediche, l'intero processo arriva a costare in intorno ai 100mila euro.

Non esistono statistiche ufficiali su quante gravidanze ogni anno sono frutto di questa pratica, ma sono centinaia e non abbastanza per soddisfare tutte le richieste che ormai arrivano non solo dal Paese ma da tutto il mondo. L'intero processo è piuttosto complicato e si svolge solitamente con il sostegno di alcune agenzie che fanno da mediatrici tra i potenziali genitori e la potenziale donatrice, che vengono accompagnati poi durante l'intero percorso. Ogni donna che decide di mettere a disposizione il proprio utero deve sottoporsi a una serie di controlli sulla propria salute fisica ma anche mentale, per assicurarsi che la sua sia una scelta consapevole e ragionata. Inoltre la gestante deve dimostrare di non essere in difficoltà economiche.

"Io non sono passata per un'agenzia ma mi sono iscritta in uno dei tanti gruppi Facebook in cui aspiranti genitori raccontano la loro storia e chiedono aiuto. Qui mi sono imbattuta nel post di due italiani, Francesco e Ciro, che mi ha colpito e così li ho contattati per conoscerli meglio, ci siamo parlati in diverse video". Prima di provare a dare inizio a una gravidanza la surrogata e gli aspiranti genitori solitamente si conoscono e si scelgono a vicenda. La donna e la coppia decidono fino a che punto vogliono condividere della gravidanza e della vita del futuro bambino. "Io non volevo solo mettere a disposizione il mio utero, volevo farlo per qualcuno con cui avrei potuto creare anche un rapporto che continuasse negli anni e con Francesco e Ciro ci siamo trovati d'accordo in questo: io sarei stata parte della vita del loro bambino, sarei stata la zia Rachel".

I due sono allora volati a Toronto, per donare il seme e per sistemare tutte le pratiche legali. Tra la surrogata e la coppia si stipula un vero e proprio contratto che serve a tutelare entrambe le parti e a chiarire ruoli e responsabilità. Poi bisogna trovare una donatrice di ovulo, in quanto la madre surrogata solitamente non è anche la madre biologica, e infine il processo di fecondazione può iniziare. "Io ho avuto due gravidanze facilissime coi miei figli e quindi ero fiduciosa che tutto sarebbe andato liscio, ma purtroppo non è stato così. Dopo due mesi da quando ero rimasta incinta la prima volta ho avuto un aborto, è stato un momento molto duro". Per sostenerla anche emotivamente Francesco e Ciro sono tornati in Canada e sono rimasti alcune settimane con lei. "Non è stato facile per nessuno, per me che ho vissuto l'aborto e per loro che hanno perso il loro bambino. Abbiamo parlato molto di quello che era successo e di come ci sentivamo, e alla fine abbiamo deciso di andare avanti".

L'esperienza, per quanto negativa, non ha fatto altro che rafforzare il loro legame. E anche rafforzare la convinzione di Rachel nel voler portare a termine la sua missione, che ha anche raccontato passo dopo passo sulla sua pagina Instagram. Dopo un altro tentativo andato male, con l'ovulo che non ha attecchito, al terzo tentativo tutto è andato bene. "Per tutto il periodo della gravidanza ci sentivamo spesso, e facevamo almeno una video chiamata a settimana. Li facevo partecipare alle visite mediche, gli ho fatto sentire in diretta per la prima volta il battito del cuore del loro bambino, e abbiamo anche organizzato un gender reveal party, con loro che festeggiavano a casa in Italia e io che in video gli ho rivelato che il loro figlio sarebbe stato un maschietto". Ma Rachel doveva fare i conti anche con i propri figli, che la vedevano aspettare un bambino. "A loro ho da subito spiegato cosa stava accadendo, gli ho detto che avrei partorito quello che sarebbe stato il loro cuginetto, Elia. Per aiutarli a capire cosa accadeva ci sono anche dei libri di storie, in uno di questi, una mamma canguro tiene nella propria borsa il cucciolo di un'altra mamma canguro che è malata e non può portarlo. Gli ho spiegato che io stavo facendo la stessa cosa e per loro è stato naturale accettarlo".

Francesco e Ciro poi sono andati in Canada a ridosso della nascita del bambino, avvenuta lo scorso gennaio. "Il giorno del parto nella stanza con me c'era il mio compagno Johnathan e loro due. Appena il piccolo è nato l'ho tenuto tra le braccia ed è stato bellissimo, ma poi l'ho dato a loro e gli ho detto: ecco il vostro bambino. Nei giorni successive non l'ho mai allattato direttamente, ma ho tirato il mio latte affinché loro glielo dessero. È difficile da spiegare, con il bambino si crea sicuramente un legame affettivo, ma non lo senti mai davvero come tuo". I neo genitori sono rimasti poi per altre tre settimane, il tempo necessario a ottenere i documenti per il bambino che essendo nato in Canada ha la cittadinanza e il passaporto canadese ed è registrato come figlio di entrambi i padri, mentre in Italia non risulta figlio di nessuno di loro, essendo vietata la sua registrazione.

Sara invece è statunitense, vive nello Stato conservatore dell'Iowa. Laureata in Biologia cellulare e molecolare, è sposata da 20 anni e ha sei figli. Anche lei nel 2019 ha deciso di diventare una madre surrogata. "Per me la gravidanza è sempre stata un'esperienza meravigliosa e volevo provarla ancora, e così ho pensato che sarebbe stato bello aiutare qualcuno a realizzare il sogno di avere un bambino. Mio marito inizialmente era scettico, ma poi si è convinto ad appoggiarmi e supportarmi in questa scelta. Così sono entrata in contatto con una coppia etero che cercava una surrogata, perché lei non riusciva a restare incinta, e volevano provare a fare un bambino con l'aiuto di un'altra donna. Purtroppo però i suoi ovuli non hanno attecchito nemmeno nel mio corpo e non siamo riusciti a portare avanti una gravidanza". Sono le coppie eterosessuali e non quelle omosessuali quelle che ricorrono più spesso alla maternità surrogata, anche se fa molto più rumore quando la pratica è collegata all'omogenitorialità. Le coppie eterosessuali poi spesso nascondono di essere ricorsi alla pratica, cosa che per una coppia gay è impossibile.

Negli Stati Uniti, a differenza del Canada, la gpa non deve essere necessariamente altruistica e alle donne viene solitamente concesso un compenso, che può arrivare fino a 65mila dollari e anche più. A questo costo vanno aggiunte ovviamente tutte le spese assicurative, legali e mediche, che nella nazione sono altissime. Solo l'inseminazione artificiale costa tra i 50 e gli 80mila dollari (anche lì però bisogna assicurarsi che la donna non sia in difficoltà economiche e che non faccia questa scelta per necessità). Le spese mediche e per il parto, se no si ha un'assicurazione che copre già tutto (e solitamente se la gravidanza è da maternità surrogata la copertura è esclusa), si può arrivare fino a 100mila dollari. Il costo dell'intero processo può arrivare fino ai 180/200mila dollari, in alcuni casi anche di più se la madre surrogata non ha una buona copertura assicurativa.

Dopo il fallimento del primo tentativo, Sara si è rivolta a un'agenzia e questa le ha proposto di avere una gravidanza per una coppia omosessuale spagnola. "Inizialmente sono rimasta un attimo interdetta, non era quello che mi aspettavo, ma poi mi sono detta perché no? E così con la mediazione dell'agenzia ho conosciuto i due aspiranti padri, ci siamo parlati tramite Skype diverse volte, e alla fine ho accettato". I due sono andati poi negli Stati Uniti per donare il seme e per sistemare le pratiche legali. "Per una donna è importante che dal punto di vista legale ci siano certezze. Io volevo avere questa gravidanza e aiutare una coppia, ma non volevo un altro bambino, e volevo essere sicura che tutto sarebbe andato come da accordo". Questa volta l'inseminazione ha avuto successo e la gravidanza è stata tranquilla.

Come Rachel anche Sara ha dovuto spiegare ai suoi figli cosa stava accadendo. "Ho detto loro che stavo aiutando una coppia ad avere un bambino, ma che quello che avevo nella pancia non era un loro fratellino. Ma mi sono presa cura di lui, forse anche più di quanto ho fatto per i miei figli, perché sentivo questa forte responsabilità nei confronti di qualcun altro che aveva riposto in me speranze e fiducia che non volevo tradire. Di fatto tutta la mia famiglia ha creato un legame con il piccolo, una volta mentre gli leggevo una favola insieme ai miei bambini, una di loro mi ha chiesto se poteva volergli bene. È stato un momento molto commovente". Quando il piccolo Julio è nato, i suoi genitori erano in sala parto con Sara, che ha voluto anche suo marito con sé. Dopo alcune settimane dal parto la coppia è partita e da allora non si sono più visto, almeno di persona.

"Siamo in contatto e spero di poter presto incontrare il piccolo. Gli scrivo, gli mando dei regali e so che i suoi genitori gli parlano di me. Fa strano ma è anche bello sapere che c'è un bambino che è vivo grazie a una donna che ha donato un ovulo e a me che l'ho portato in grembo. È una sensazione inspiegabile e una delle cose più belle che abbia mai fatto". Pur non potendo più avere bambini, Sara ha voluto continuare nel suo percorso per aiutare coppie a realizzare il loro sogno di diventare genitori, e adesso lavora per Men Having Babies, un'associazione No Profit che lavora per aumentare la consapevolezza sulla pratica e si batte per i diritti delle coppie arcobaleno ad avere accesso alla maternità surrogata, che è vietata in gran parte dei Paesi in cui la pratica è legale o comunque tollerata.

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