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Giovedì, 25 Aprile 2024
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"Mia figlia pesava 28 chili, ma per lei non c'era posto in ospedale". L'inferno dei ricoveri per disturbi alimentari

Quando Maya, 15 anni, ottiene finalmente un letto in reparto, il suo corpo è ormai distrutto dall'anoressia: "Non riusciva più a reggere la testa, perché non aveva più i muscoli del collo". La testimonianza della madre Maria Monaco: "I dca sono sempre più diffusi, ma le strutture per accogliere queste ragazze non sono abbastanza"

Ad un certo punto, nella notte in cui più di tutte ha avuto paura, Maria Monaco si è piazzata al pronto soccorso e ha detto che non se ne sarebbe andata di lì finché non avessero accettato il ricovero della figlia Maya. Maya, a 14 anni, non mangiava ormai praticamente da tre mesi: l'anoressia nervosa le aveva distrutto il corpo al punto che le sue vene, durante i prelievi, "non si trovavano più, perché il sangue si coagulava" e quella sera, sul petto, le erano comparsi all'improvviso grandi ematomi. In poche parole, Maya si stava lasciando morire di fame. Eppure per lei il posto in ospedale non c'era, non c'era mai stato, fino a quel momento. Perché tanto sono in ascesa i disturbi del comportamento alimentare, quanto pochi sono i posti letto per il ricovero delle ragazze che, una dopo l'altra, stanno precipitando nella morsa dei dca. Ma per capire come si è arrivati a questo punto della storia, bisogna tornare al settembre precedente, quando è cominciata la discesa verso l'inferno.

Non credevo che Maria, 44 anni, commerciante insieme al marito Marco, una vita riservata di lavoro tra Pavia e Milano, avrebbe accettato la mia proposta di intervista. Mi sembrava una persona molto schiva, molto attenta a schermare la "sua ragazza", come la chiama lei: tutte le volte che ho infatti visto Maya raccontare la malattia su TikTok - il suo profilo conta oggi mezzo milione di follower, ndr - al suo fianco c'era proprio lei, madre attenta e severa, mamma chioccia pronta a proteggere il cucciolo con le sue ali e, al contempo, a beccare chiunque la potesse ferire con un commento sbagliato, approfittandosi di tanta fragilità. "Ma lo dica, Elisabetta, lo dica", insiste al telefono. "Dica che non c'è abbastanza supporto alle famiglie che si trovano in queste situazioni. Né privatamente, tantomeno nel settore pubblico. Le strutture sono poche e bisogna arrangiarsi coi pediatri". E, a farle eco, ci sono i freddi numeri diffusi appena qualche settimana fa dall'Ospedale Pediatrico Bambin Gesù di Roma: in Italia, oltre 3 milioni di persone soffrono di Dca ed ogni anno ne muoiono 4mila; l'età d'esordio si è abbassata agli 8 anni e rappresentano ormai la seconda causa di morte per le ragazze d'età compresa tra i 12 e i 25 anni. Eppure, nonostante l'emergenza e nonostante i numeri, per Maya fino a quel momento posto in ospedale non c'era stato.

Quando si ammala, Maya di anni ne ha 14. I 15, li ha poi compiuti nel reparto di pediatria dell'ospedale di Milano. Perché quella sera alla fine Maria il ricovero lo ha ottenuto. L'inferno, dicevamo, è cominciato nel settembre precedente, nella testa della ragazza e tra le mura di casa, "perché l'anoressia è un disturbo che poi colpisce tutta la famiglia", dice Maria. La famiglia di Maya, ad esempio, ad un certo punto si è dovuta trasferire a Rozzano, sempre in provincia di Milano, appoggiandosi a casa di una parente, perché la ragazza mangiava così poco che non riusciva più a stare in piedi, non riusciva più a fare le scale. Che, a fine estate, Maya si stesse ammalando, Maria se n'è accorta subito. "È sempre stata una sportiva, pattinatrice a livello nazionale", racconta "e quindi una ragazza in forma. Durante una vacanza ho notato che aveva cominciato a mangiare sempre meno, ne ho parlato con mio marito e, tornati a casa, l'ho subito portata da una nutrizionista, pur facendole presente che non aveva bisogno di alcuna dieta: ovviamente lei non ha mai seguito il piano nutrizionale, perché era già nella logica della restrizione alimentare". Passano i giorni, diminuiscono i chili, aumentano le richieste di aiuto agli specialisti. E cominciano i pellegrinaggi tra le strutture in cerca di aiuto.

Il pellegrinaggio tra le strutture: il caos delle liste d'attesa per chi soffre di dca

Maria ha il merito di rendersi subito conto della gravità della situazione. E la lucidità di capire che non è il caso di provare a risolverla col fai da te. È ottobre. E si rivolge prima alla sua pediatra, poi ad un istituto neurologico privato e specializzato in dca, dove constatano che sì, il bmi (l'indice di massa corporea, ndr) si è abbassato, ma che bisognerà inserire la ragazza in una lista d'attesa, se vuole ottenere un ricovero. Ed è la stessa risposta che, subito dopo, le dà anche il primo ospedale che prova a contattare, privatamente s'intende: qui la lista di attesa è addirittura di cinque mesi (e, ad oggi, non l'hanno mai richiamata). "A quel punto capisco che le liste di attesa per chi soffre di dca sono lunghissime, improponibili. E capisco che eravamo rovinati". Intanto, poiché in passato Mariangela ha prestato servizio nelle ambulanze ed è capace di misurare i parametri vitali, si arrangia come può e, ogni due settimane, fa fare alla figlia "le analisi del sangue e tutti gli esami possibili ed immaginabili che mi vengono in mente".

"Ormai porto a casa uno scheletro". Poi la comparsa degli ematomi

È novembre, i chili diminuiscono ancora e Maya è ormai già in evidente stato di anoressia. "Contatto un secondo ospedale, sempre privatamente: mi dà appuntamento al 16 dicembre per un day hospital. Quel giorno arriviamo in ospedale alle 8 di mattina e alle 16 ci trasferiscono al pronto soccorso perché Maya ha problemi al cuore: c'era qualcosa di sfalsato nei battiti. È il primo organo a risentirne in caso di dca e già ad ottobre risultava un versamento di 8 millimetri". La conclusione della giornata è inaspettata, per Maria: "Dopo tre ore di pronto soccorso, ci mandano a casa". Nel giorno successivo, arrivano i risultati degli esami. "Una dottoressa ci chiama e ci dice che Maya non è grave, è gravissima. Così ci dà appuntamento per una visita. A quel punto preparo le valigie, convinta che l'avrebbero ricoverata, ed invece ci rimandano di nuovo a casa con la folina (acido folico, usato per trattare gli stati di carenza di folati nell'organismo, ndr) e bustine a base di fosforo. Io, da mamma, torno a casa sapendo che mia figlia è gravissima".

È il 22 dicembre e Maya, che pesa ormai 28 chili, sta male e cade: ormai non si regge più in piedi. Viene riportata all'ospedale, dove una neuropsichiatra si attiva in cerca di un posto per il ricovero, sia internamente che esternamente: trovarlo è, ancora una volta, impossibile. "A quel punto io porto a casa uno scheletrino", dice Maria senza mezzi termini. Arrivano così le feste di Natale, "che sono uno strazio", e, con esse, "il rallentamento di tutti i servizi". Maya ormai fatica a camminare e smette anche di fare quelle passeggiate avanti e indietro che faceva forzatamente per smaltire quel poco che mangiava. Ci sono giorni in cui non tocca cibo, la sua fortuna è che beve, dunque si idrata. Finché non arriva il 4 gennaio ed un bagno nella vasca che rappresenta la goccia capace di far traboccare il vaso della tolleranza: "Maya aveva un routine fin da piccola: fare il bagno caldo alla sera. Era una agonia per me, perché in quel periodo vedevo mia figlia in condizioni pietose, ma sapevo che le ragazze anoressiche lo fanno anche per scaldarsi, perché sentono molto freddo. Ebbene, quella sera io tiro fuori mia figlia dalla vasca ed aveva sul petto un grosso ematoma. Vado in ospedale consapevole che piuttosto avrei litigato col personale, ma che mia figlia di lì non sarebbe uscita. Quella sera, finalmente, un medico esce dalla porta e ci dice che no, in un modo o nell'altro Maya non si sarebbe mossa da lì".

Quando Maya viene ricoverata, è ormai in pericolo di vita

All'ospedale San Paolo di Milano, nel reparto di pediatria, ci sono solo quattro posti destinati alle ragazze affette da disturbi alimentari. Ma Maya riesce finalmente ad ottenerne uno. Peccato che sia già in pericolo di vita. La situazione è tragica ed i medici assicurano che sì, faranno il possibile per salvarla ma che, solo dopo sei settimane, potranno dire con certezza che la ragazza è fuori pericolo: ormai Maya non riesce più a reggere la testa, ricorda Maria, perché non ha più i muscoli del collo, è come se fosse tornata un neonato; i medici faticano persino a farle un prelievo, perché il sangue si coagula; ha problemi ai reni, al fegato, all'intestino, gli organi sono bloccati; i battiti sono scesi a 38 (la frequenza regolare è tra le 60 e le 100 pulsazioni al minuto, ndr); ed intanto, più il tempo passa, più il corpo si rimpie di ematomi. I dieci giorni successivi li passa in terapia intensiva, controllata a vista e con l'attacco venoso al collo e il sondino naso gastrico "perché ormai gli organi sono andati".

Maya ha paura di morire, eppure non mangia

Dopo tre mesi persi, Maya riceve finalmente le cure di cui ha bisogno: isolata in reparto, viene monitorata h24, con lei c'è solo la mamma e, per un mese, non riesce ad alzarsi dal letto. Eppure insiste a rifiutare il cibo. Nel frattempo infatti il mostro che le impediva di nutrirsi è diventato sempre più aggressivo. "È come una vocina. Una vocina nella testa che le ordinava di non mangiare, perché non se lo meritava. In ospedale abbiamo avuto momenti di forte crisi, in cui lei era completamente assente, una volta mi ha persino tirato un morso: ormai ragionava pochissimo, c'erano anche problemi di testa". Eppure i medici erano stati chiari: se non mangi, rischi di morire. "Ma lei ripeteva che aveva questa vocina in testa", continua Maria "Quando le ragazze entrano infatti in questo tunnel non sono più sole, convivono con questa voce che dice loro che sono ingrassate, nonostante sono tutt'ossa. Io le dicevo di guardarsi allo specchio, ma lei mi rispondeva di sentirsi bella. Quel giorno ho avuto tanta paura, perché ho pensato che ormai fossimo alla fine". Era, insomma, come se Maya si stesse suicidando. Una notte, Maria si allontana dall'ospedale per andare a fare una doccia a casa e con Maya resta il marito, ma la ragazza la richiama al telefono: le dice di tornare indietro, perché sente dentro di sé che quelle sono le sue ultime ore. 

La rinascita grazie (anche) alla visita Carolina Kostner

Poi però, nel calendario della famiglia di Maya, si inserisce una nuova data da segnare, oltre a quelle precedenti. Un'altra di quelle date che Maria non dimenticherà mai. Ed è il 27 gennaio, giorno del quindicesimo compleanno di Maya. "Mi rendo conto che serviva uno scatto nella sua testa e mi viene in mente di farle una sorpresa: contattare Carolina Kostner, la campionessa di pattinaggio, il suo mito". Grazie all'aiuto della Ice Lab, la società per cui Maya praticava pattinaggio, e al supporto della sua insegnante, il sogno diventa realtà. "Carolina riesce a liberarsi di tutti gli impegni e viene in ospedale, passa due ore da sola con Maya, le spiega che nella vita si può cadere ma bisogna rialzarsi, le promette che un giorno pattineranno insieme. E da quel giorno succede qualcosa, tutto cambia. Non esiste una medicina capace di farti tornare la voglia di vivere e neanche i medici si sono spiegati come sia stato possibile, ma da quel giorno il recupero è stato molto più veloce del previsto".

Oggi, tre mesi dopo il 4 gennaio, Maya è finalmente fuori dall'ospedale ed è tornata a camminare sulle sue gambe. Per scrivere il lieto fine della storia però ci vuole ancora tempo. Ed intanto, l'unico modo per elaborare qualcosa di illogico come la vicenda di una ragazza che smette di mangiare all'improvviso portandosi da sola al pericolo di morte, è che però da questa storia ci sia qualcosa da imparare. Qualcosa su cui, come società, possiamo migliorare. "Dei disturbi alimentari", spiega Maria "bisogna cominciare a parlare già nelle scuole. Vanno informati i ragazzi e gli insegnanti: per Maya tutto è partito proprio dalle offese subìte in classe, che sono andate a minare la sua già fragilissima autostima. In quel momento in cui tutto sembrava sfuggirle, infatti, il peso era l'unica cosa su cui sentiva di avere un controllo, e dunque è andata a punirsi sull'unica cosa bella che aveva, ovvero il suo corpo: l'anoressia non nasce dalla voglia di dimagrire, Maya era bellissima eppure c'è cascata lo stesso". 

Alle istituzioni Maria chiede più aiuto alle famiglie che combattono i dca. Agli altri genitori chiede di essere attenti, in particolare, all'uso che i figli fanno dello smartphone: "Purtroppo solo tardi io e mio marito abbiamo scoperto che Maya seguiva i consigli nutrizionali di un creator di TikTok che però non era davvero un nutrizionista, non aveva davvero le competenze per dispensarne; eppure, proprio su suo consiglio, aveva scaricato una app contacalorie, che in poco tempo è diventata una ossessione".

Storia di Maya, che riusciva a mangiare solo in diretta su TikTok. E che lotta contro i disturbi alimentari 

Come stanno andando i primi giorni fuori dall'ospedale

Intanto, questo weekend, Maya e la sua famiglia sono andati in viaggio in Sicilia. Un modo per celebrare un primo traguardo: le dimissioni dall'ospedale. Il reinserimento in società è però graduale e delicatissimo. L'ospedale, infatti, era ormai una zona di comfort per la ragazza, un ventre materno che la proteggeva dai giudizi del mondo. Un ventre di cui forse avrebbe avuto bisogno già lo scorso autunno, quando i primi campanelli d'allarme avevano già cominciato a suonare, se solo ce ne fosse stata la possibilità. Ma oggi la famiglia di Maya non è più sola: una equipe esterna dell'ospedale continuerà a seguirla nel suo percorso: professionisti "strepitosi", tiene a sottolineare Maria, pediatri capaci di conquistare la fiducia di Maya e, quindi, di guidarla finalmente verso una alimentazione sana. Durante il viaggio in Sicilia Maya ha mangiato di gusto, "ma l'ultimo giorno, dopo una pizza, è tornato a parlarle il senso di colpa", dice Maria. "Sappiamo di avere ancora davanti una salita, ma la prima cosa che abbiamo fatto quando siamo uscite dall'ospedale è stato tornare sulla pista di pattinaggio; lì ho riconosciuto mia figlia e la sua luce, che si era spenta da un po'. Lì ho visto mia figlia tornare nel suo mondo. Io le dico sempre che è nata due volte. La prima quindici anni fa e la seconda il 27 gennaio".

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