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Giovedì, 25 Aprile 2024
la scelta di adriana

"La Sindrome di Down è compatibile con la vita: così ho deciso di non abortire"

Una gravidanza tanto desiderata, la diagnosi e la scelta di dare a sua figlia un futuro da costruire insieme

Un cromosoma in più. È questa la causa della Sindrome di Down. Una differenza genetica che comporta anomalie fisiche e diversi gradi di ritardo cognitivo e motorio, oltre a possibili problemi cardiaci e patologie come l'ipotiroidismo. I deficit delle persone che ne sono affette sono ben noti, quello di cui invece si parla ancora poco, o comunque non abbastanza, sono le possibilità di vivere una vita 'normale', fatta di socialità, relazioni, lavoro, raggiungendo un buon livello di autonomia. La cancel culture applicata alla disabilità, che concepisce una vita solo se perfetta e senza sbavature, parte dai test prenatali, quando i futuri genitori - davanti a diagnosi crudeli - devono scegliere. Senza alcun dubbio l'aut aut più brutale che possa esserci. Una decisione che non può e non deve essere esposta a giudizi sommari, tantomeno morali, ma che merita un ventaglio più ampio di possibilità. "Quando mi hanno detto che mia figlia poteva avere la Sindrome di Down ero sollevata, perché ho pensato che era compatibile con la vita" ci racconta Adriana. La sua storia è un messaggio di coraggio e inclusione per celebrare oggi la Giornata Internazionale della Sindrome di Down, ma soprattutto è un pezzo in più di quel ventaglio da aprire 365 giorni l'anno. 

La gioia della gravidanza e la doccia gelata della diagnosi. Per Adriana De Quadros, brasiliana e residente a Verona, è successo tutto in tre mesi: "L'ho cercata tantissimo questa bambina e quando sono rimasta incinta quasi non ci credevo. Avevo 43 anni". Dopo la decima settimana il test prenatale: "Ho fatto l'Harmony, attraverso un prelievo di sangue riescono a vedere se ci sono trisomie. Dopo qualche giorno mi hanno chiamato dall'ospedale e il medico mi ha detto che c'era un problema patologico e dovevo andare lì, non poteva dirmelo al telefono. È stata una botta, ho fatto i peggiori pensieri. Il mio compagno, che lavorava lì vicino, è andato subito a ritirare il referto e gli hanno detto che la bambina poteva avere la Sindrome di Down". Una diagnosi che nessuna madre vorrebbe avere, eppure la reazione di Adriana è stata spiazzante: "Ero sollevata perché ho pensato che era compatibile con la vita e in quel momento era la cosa più importante. Immaginavo malattie più gravi per cui sarebbe morta o per le quali avrei dovuto abortire. La Sindrome di Down, pensavo, non è una cosa così assurda. Era mia figlia e doveva nascere". Adriana su questo non ha mai avuto dubbi - anche spinta dal timore che quella sarebbe stata l'unica occasione per diventare mamma - tanto da trascinare il suo compagno: "Lui era più razionale, aveva paura di come sarebbe stata la vita di nostra figlia in futuro, magari il giorno in cui non ci saremmo più stati noi. Quando ha visto me così convinta si è convinto anche lui. Io non ho mai pensato di fare diversamente".

La paura dopo la diagnosi

Al test prenatale è seguita l'amniocentesi, che ha confermato la Trisomia 21, poi una serie di controlli ed esami - circa uno ogni 15 giorni - fino a un'altra batosta: "Dopo le prime ecografie mi hanno detto che la situazione era grave, mia figlia aveva un soffio al cuore e avrebbero dovuto operarla appena nata. I bambini con la Sindrome di Down possono avere problemi cardiaci. Fortunatamente la situazione è migliorata e non ce n'è stato bisogno". Una gravidanza piena di ostacoli e preoccupazioni. Nonostante Adriana è sempre stata convinta della decisione che aveva preso, non mancavano le paure: "Avendo avuto la diagnosi così precoce mi sono informata su tutto, ho letto molti libri. Lì ti spaventi ancora di più perché ti parlano degli scenari peggiori. Ho passato tutta la gravidanza a immaginare come sarebbe stata mia figlia, guardavo le foto di altri bambini e pensavo: 'Sarà così anche lei?'. Temevo per il suo futuro. Le paure erano tante, ma la più grande era che non parlasse. Il pensiero che non sarei riuscita a comunicare con lei mi terrorizzava. È allora che mi sono rivolta ad alcune associazioni presenti sul territorio - racconta ancora - per parlare con altre mamme. Non mi hanno mai detto che sarebbe stato semplice, anzi, però non mi sono sentita sola. Mi hanno incoraggiato e ho iniziato a pensare che potevo farcela". 

Il sostegno tra famiglie, per i medici meglio abortire

L'importanza di non sentirsi soli in quei momenti è tutto, ma la vera rete è tra famiglie. Adriana spiega che a sostenerla durante la gravidanza e dopo la nascita di Francesca, che oggi ha 7 anni, è stata l'associazione AGbD, una onlus di Verona che dà supporto a bambini e ragazzi con la Sindrome di Down e ai loro genitori. Da parte dei medici non c'è stato lo stesso sostegno: "Loro ti dicono le cose come stanno, non sono lì a tenderti la mano. Dopo il risultato dell'amniocentesi mi hanno fatto parlare con la psicologa e non capiva perché volessi portare avanti la gravidanza. Ti guardano perplessi perché per loro non ha senso. Non me lo dicevano tutti esplicitamente ma lo percepivo. Sono andata anche da un'ecografa famosa che mi ha consigliato di abortire e di provare a fare un altro figlio. Ma alla mia età non potevo pensare a un'altra gravidanza, anche se poi è arrivata". 

A dicembre 2015 è nata Francesca e fin dai primi mesi di vita Adriana e suo marito si sono appoggiati all'associazione AGbD, fondamentale sotto tanti aspetti: "Ti seguono in tutto, non ti senti solo. Ci hanno consigliato come muoverci, perché entri in un mondo che non è tuo e non capisci, non sai dove andare, sia da un punto di vista sanitario che psicologico, ma anche burocratico. Il supporto dell'associazione è stato importante per noi e per lei, che ha iniziato da subito a fare terapia. Quando era piccola, ad esempio, aveva sempre la lingua fuori e le hanno messo un apparecchio per i denti, per risolvere. E poi conosci altre famiglie, ci si aiuta, i bambini stanno insieme". Questo centro, di cui fanno parte 150 famiglie, si occupa di favorire lo sviluppo delle capacità di apprendimento, comunicazione e di autonomia delle persone affette da Sindrome di Down: "Gli insegnano ad andare al supermercato, a cucinare, a essere autonomi. Sono seguiti da volontari e figure professionali. Iniziare le terapie il prima possibile è fondamentale - spiega Adriana - Francesca ha 4 ore settimanali di logopedia e psicomotricità". 

La forbice

Le prime difficoltà iniziano dopo i primi anni di vita, come racconta ancora la signora Adriana: "Mi dicevano sempre che dopo c'è la forbice e la forbice si apre sempre di più. Finché sono piccoli non si vede la differenza con gli altri bambini". Una diversità che tocca anche i genitori: "Ricordo quando mi chiedevano perché Francesca ancora non parlava o non camminava. Fa male. Poi però inizia a diventare tutto una conquista. Le sue conquiste sono anche le tue. Francesca parla, cammina, fa le stesse cose che fa anche sua sorella e questo mi rende fiera. Certo ci sono delle difficoltà, non è tutto semplice e se penso a quando crescerà ho delle paure. Se avrà delle amicizie, se lavorerà. Questo un po' mi spaventa". Adriana, che non si considera così "coraggiosa" come molti sostengono, resta però profondamente convinta di quella "compatibilità" di cui ci ha parlato all'inizio: "Francesca è felice e la sua vita vale assolutamente la pena di essere vissuta. Lei c'è, è qua. È una figlia che arriva a fare le cose un po' dopo ma le può fare. Ha una vita come tutti, basta fare un passo indietro per vederla come la vede lei".

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