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Venerdì, 19 Aprile 2024
LA NUOVA RIVOLUZIONE DIGITALE

Così l'A.I. potrebbe cambiare per sempre l'Internet che conosciamo

Da Bing a Google, da Alibaba fino Elon Musk, tutti stanno investendo sull'intelligenza artificiale. L'impressione è che il web potrebbe conoscere una nuova rivoluzione, ma non è detto che ciò sia una buona notizia per i colossi del Big Tech, né per la larga fetta di economia che ruota attorno al digitale

Più che a un'evoluzione, la metafora è quella del terremoto. L'uscita, appena qualche mese fa, di ChatGPT ha di fatto sparigliato le carte e reso manifesto quello che tutti i grandi gruppi Big Tech e le intelligence delle potenze mondiali sanno da anni: l'intelligenza artificiale rivoluzionerà le nostre vite e consegnerà, a chi sarà in grado di coglierne le potenzialità, un vantaggio competitivo notevole. E l'impressione è che anche la rete non sarà più la stessa.

Google e il primato delle ricerche in rete: è la fine di un'era? 

Quando Google è nata, nel lontano 1997, la rete era ancora il luogo dell'utopia. Uno scenario in cui pescare informazioni alternative a quello che allora veniva ancora definito "mainstream", scambiare files con protocolli peer to peer, chattare fino a tarda notte con estranei dall'altra parte del mondo conosciuti casualmente, perdersi in conversazioni infinite in forum tematici. Per molti il web era il luogo della "libertà" e il suo immaginario era in gran parte forgiato da quello della controcultura libertaria californiana degli anni '60.

I primi a cercare di monetizzare il nuovo mezzo di comunicazione furono i grandi portali verticali (come Yahoo) con l'idea di fornire informazioni, servizi e fungere da motore di ricerca e provider per gli utenti. Un'idea vincente per pochi anni: il "mare magnum" della rete era difficilmente contenibile in un porto sicuro, seppur grande e confortevole. E se la massa delle informazioni cresceva esponenzialmente, l'importante era capire come cercarle. 

Google si affermò sugli altri grandi motori di ricerca per un'intuizione fondamentale: la creazione di un algoritmo basato sulla popolarità dei vari contenuti sul web, il cosidetto "Page Rank". Fino ad allora i siti venivano ricercati infatti sulla base delle parole chiave contenute al loro interno. Larry Page e Sergey Brin introdussero il concetto basilare, ma non scontato, che più una pagina è citata e visitata, più il suo contenuto sarà attendibile. Il motto della loro azienda era del resto ai tempi "Don't Be Evil" e la loro startup non contemplava ancora la pubblicità.

Un uomo manifesta per la Net Neutrality sotto la sede di Google. Foto di Steve Rhodes / Flickr

Ma la vera rivoluzione, più che dalla creazione dell'algoritmo che li ha resi celebri, passerà dell'intuizione del come utilizzare quello che Shoshana Zuboff chiama il "surplus comportamentale" dei suoi utenti, ovvero come valorizzare tutti i dati che lasciamo interagendo con il motore di ricerca e i molteplici servizi che Google offre. Una mole enorme di informazioni che si trasforma quotidianamente in pubblicità mirata, capace di rendere miliardari i suoi creatori e forgiare il modello imprenditoriale di tutto il web che conosciamo oggi: dalle app ai social network, dai giornali ai siti di "servizio".

Per anni il primato di Google è stato pressoché incontrastato. La fornitura di un pacchetto di servizi completo per il web (che va dalla casella mail a un browser) ha portato molti a confondere uno spazio pubblico come il web con l'azienda di Mountain View. Uno scenario che potrebbe oggi cambiare drasticamente con l'ingresso nella scena dell'intelligenza artificiale. Sì, perché la prima azienda a lanciare il guanto si sfida è stata Microsoft che ha annunciato, appena due mesi fa, di aver integrato ChatGPT nel suo motore di ricerca Bing.

La novità? La ricerca da oggi in poi assomiglierà più a una "conversazione" che a un "domanda e risposta" con una lista di risultati. Ci sono poi altre peculiarità come il fornire schede informative sugli argomenti delle ricerche tipo "Stories", creare illustrazioni e molto altro. Ma  la funzione più interessante di un A.I. generativa è quella di "imparare" dall'esperienza dell'utente, ovvero dai dati e dagli input con le quali interagiamo. Una funzione ovviamente già presente negli attuali motori di ricerca, ma che con l'A.I. potrebbe essere estremamente potenziata.

"Dammi una risposta creativa": l'intelligenza artificiale adatta i risultati del motore di ricerca 

Microsoft ha integrato il sistema anche nel suo browser (Microsoft Edge) e ha annunciato il suo utilizzo nel pacchetto Office. Google, dal canto suo, non è stata di certo a guardare e se, da un lato ha annunciato tutta una serie di novità basate sull'A.I. lo scorso febbraio  e sul suo sistema di A.I. generativo chiamato Bard, a breve potrebbe lanciare l'ennesima rivoluzione della sua storia.

Arriva Magi, il nuovo motore di ricerca di Mountain View

La notizia è che, secondo le indiscrezioni del New York Times, Google, oltre a integrare delle nuove funzioni sulla falsariga di Bing nel suo motore di ricerca, ne  starebbe costruendo de facto uno nuovo interamente basato sull'integrazione dell'A.I. al suo interno. Il nome in codice sarebbe quello di "Magi" e per velocizzarne la realizzazione sarebbero al lavoro ben 160 sviluppatori. Una corsa contro il tempo per arginare la concorrenza. Sempre secondo il New York Times gli impiegati di Mountain View sarebbero rimasti scioccati dopo aver appreso che il gigante dell'elettronica Samsung avrebbe installato nei suoi device Bing come motore di ricerca al posto di Google.

Il nuovo motore di ricerca dovrebbe assomigliare sempre più a una "conversazione" con l'utente e permettere ai visitatori di completare transazioni o prenotare un viaggio direttamente sul sito di Google, senza cioé passare da terze parti. 

Zoubin Gharhramani, vice-presidente di Google parla ad un evento sull'A.I. promosso dai vertici di Mountain View-2

Del resto anche Baidu, motore di ricerca leader del mercato cinese, ha presentato il suo (al momento deludente) sistema di A.I.  Ironia della sorte Google è da anni l'azienda leader nel mondo per le ricerche sull'Intellgenza Artificiale. Il suo DeepMind Lab a Londra è considerato il più importante centro di ricerca sull'A.I nel mondo dove si sperimentano tanto i linguaggi usati dai chatbot come ChatGPT, tanto i nuovi sistemi di guida autonoma senza conducente. L'azienda ha investito quasi 100 miliardi di dollari negli ultimi anni, nello sviluppo di sistemi di A.I. Nel 2021 è stato lanciato "Lamda" un acronimo che sta per "Language Model for Dialogue Applications", cioè Modello di Linguaggio per Applicazioni di Dialogo. Parliamo di un potente algoritmo elaborato dagli ingegneri di Google per comprendere il linguaggio naturale e fornire risposte sulla base di "Machine Learning". 

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Sulla base di questo tool nel marzo 2023 Google ha annunciato il lancio di Bard, un chatbot che, come GPT, è di fatto un sistema di intelligenza artificiale conversazionale che dovrebbe un domani (prossimo) essere alla base della rivoluzione del motore di ricerca più famoso del mondo. Ma la domanda è legittima: perché Google, che ha investito negli anni mediamente di più ed è da sempre all'avanguardia sulle implicazioni dell'intelligenza artificiale sul linguaggio naturale sembra essere arrivata in ritardo? Per capirlo dobbiamo forse tornare indietro di tre mesi. 

Google è arrivata in "ritardo"? 

La premessa è che, dal lancio di ChatGPT, le pressioni dei vertici sugli sviluppatori per il lancio di Bard si sono moltiplicate. E i risultati, non sono stati, almeno sul momento, quelli sperati. Alla sua prima uscita "Bard" ha fatto perdere a Google circa 100 miliardi di capitalizzazione. Come è successo? Nel suo primo video di presentazione il chatbot ha sbagliato una risposta riguardante le scoperte effettuate grazie al telescopio spaziale James Webb. Un errore apparentemente banale, ma che ha fatto balenare agli investitori tutti i limiti di un sistema che dovrebbe costituire il futuro dell'azienda. E a ben vedere i difetti messi in luce da Bard, non sono certo una prerogativa dell'A.I. targata Mountain View. 

In molti si sono divertiti a cogliere in fallo ChatGPT, e l'integrazione del chatbot all'interno di Bing presenta non poche criticità. A coglierne i difetti ci ha pensato, ancora una volta un giornalista del New York Times che si è focalizzato sui tanti errori originati dall'A.I. come gli errori su somme banali o su aspetti molto più inquietanti, come il tono preso dal sistema di A.I. dopo essere stato provocato ad arte dal giornalista che non ha esitato a definire il chatbot come "un adolescente squilibrato rimasto intrappolato in un motore di ricerca di second’ordine"

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A conti fatti sono esattamente aspetti come questi ad aver suggerito prudenza a un'azienda i cui ingegneri e svlluppatori sembrano essere da anni in vantaggio competitivo sulla concorrenza. I modelli di Intelligenza Artificiale attuali sono infatti ancora inaffidabili, si basano più che altro su correllazioni statistiche che possono talvolta anche non essere veritiere. In secondo luogo, proprio in virtù di questa caratteristica, non sono ancora sicuri, ovvero se opportunamente provocati possono dare risposte non previste dai loro sviluppatori, così come dimostrato dal giornalista del New York Times.

Infine, cosa non indifferente, c'è il problema dei costi: Le risposte date con l'A.I. richiedono molta più potenza computazionale di quella data con i normali motori di ricerca. Secondo recenti stime, solo per Google i costi dovrebbero aumentare fino a 12 miliardi di dollari.

Ma a guardare bene il problema vero per il business dei moderni motori di ricerca e per il web che conosciamo è un altro. E la sensazione è che a Mountain View abbiano provato a rimandare questo confronto che mette in discussione il proprio modello di business il più possibile, fino a prendere atto che non era più possibile aspettare.

Perché l'A.I. potrebbe cambiare per sempre l'Internet che conosciamo 

Il rischio maggiore paventato è quello di tornare all'"anno zero", ovvero prima che si intuissero le potenzialità di quel "surplus comportamentale" costituito dai dati dei vari utenti a cui viene poi indirizzata pubblicità contestuale o targhetizzata (per usare un termine meno elegante, ma più efficace). Il punto vero è che se i motori di ricerca assomiglieranno sempre più a una "conversazione", il modello economico alla base dei motori di ricerca, ovvero la ricerca di informazioni e l'indirizzamento del traffico verso terze parti, rischia di saltare con ricadute che non possiamo ancora ipotizzare.

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Si pensi, ad esempio, al mondo delle notizie: se domani vorrò sapere le varie dichiarazioni politiche sul 25 aprile o sul nuovo incarico di Luigi Di Maio, potrò domandare ai chatbot dei motori di ricerca di farmi fare un riassunto basato sulla base degli articoli che hanno trovato in rete, senza minimamente consultare i siti di news. Analogamente potrò chiedergli di progettarmi il piano della mia prossima vacanza, senza consultare né siti di promozione turistica, né di consulenza. Le ricadute di questa modalità sull'economia digitale che abbiamo conosciuto finora sono potenzialmente enormi e molto probabilmente lo hanno intuito da anni anche a Google. La soluzione, almeno per i motori di ricerca, sarebbe quella di inserire della pubblicità all'interno delle conversazioni, ma quanto funzionerebbe? E quanto i produttori di contenuti sarebbero incoraggiati a investire sulla qualità in assenza di ritorni economici? L'evidenza è che, stando così le cose, al momento questi nuovi sistemi renderanno le pubblicità, e quindi tutto il business che ruota attorno ai motori di ricerca, molto meno rilevanti. 

Ma indietro non si torna. Negli ultimi mesi quasi tutti i grandi colossi delle Big Tech hanno annunciato di voler spingere in maniera decisa sullo sviluppo dei sistemi di A.I. Perché se è vero che, dai motori di ricerca, all'home banking, dai chatbot di assistenza all'e-commerce, l'intelligenza artificiale è sempre più parte delle nostre vite, in futuro l'accelerazione sarà esponenziale.

Ad unirsi alla corsa ci sono oggi anche i colossi dell'E-commerce Amazon e Alibaba oltre all'immancabile Elon Musk che, dopo aver paventato i rischi dello sviluppo delle intelligenze artificiali, ha dichiarato di volerne creare una basata sulla "verità". Insomma, nonostante l'evidenza che potrebbero non essere solo rose e fiori per tutti, la corsa sembra essere ormai lanciata. E la certezza è solo una: rimanere indietro, in un contesto di capitalismo iper-tecnologico come l'attuale, non è mai una buona idea.

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