Da "Agonia" al "Signor Ariston": come Claudio Baglioni si è preso il Festival
Nessuno, neanche lui stesso, avrebbe scommesso sui risultati di questo Sanremo. Uno spettacolo nello spettacolo, sicuramente non esente da difetti, ma che ha avuto il pregio di riportare la musica e la bellezza al centro di Sanremo
Claudio Baglioni è entrato all'Ariston da "sagrestano" e ne è uscito Papa. Le perplessità sulla riuscita di questa impresa c'erano tutte e nessuno si era fatto remore di esprimerle fin dalle prime indiscrezioni sul suo nome che avevano preceduto di poco la conferma della sua nomina a direttore artistico della 68esima edizione del Festival di Sanremo.
Baglioni aveva dimostrato di aver già le idee chiare su come sarebbe stato il suo Festival: "la musica al centro" è stato il mantra ripetuto ogni volta, prima per convincere gli scettici e poi per esultare una volta avuti in mano i primi risultati, seguiti da altri sempre più positivi.
Gli va dato atto di aver "ripulito" il Festival, eliminando scorie e orpelli che negli ultimi anni lo avevano reso più uno spettacolo su modello delle tv private per ridare centralità alla canzone italiana e ricreare alent un varietà come se ne facevano anni fa, "una televisione antica per certi versi, anche un po' ambiziosa" per combattere l'idea a cui ci siamo tutti forse un po' abituati, cioè che la tv debba "ospitare la mediocrità" mentre "la televisione come il teatro, il cinema e tutte le forme di arte alta, deve scremare e setacciare quello che di migliore c'è".
Ma se il Papa è infallibile per dogma, il divo Claudio di errori ne ha commessi. Anche se dal loggione gridano "Claudio ti amo!", in platea si spellano le mani e il mattino dopo i vertici Rai distribuiscono felici i dati di ascolto record, i punti deboli di questo Festival sono stati evidenti un po' a tutti. Tanta musica, troppa. Tanti duetti, troppi anche essi. Tanto Baglioni, troppo pure lui. Ma sono errori di "qualità", errori in buona fede commessi da chi aveva tanto da dire e ha messo sul piatto la propria professionalità e quella altrui, con generosità e un pizzico di follia. Una netta cesura con il passato, doverosa, per rimettere la barra dritta: poi toccherà al prossimo capitano coraggioso capire se (e come, eventualmente) continuare sulla stessa rotta.
C'è voluto coraggio comunque ad affidare questo Sanremo a uno come Baglioni che, per sua stessa ammisione, con questi pochi giorni di Festival ha superato il totale di ore in cui è apparso in tv nel corso dei suoi cinquant'anni di carriera. Ma c'è voluto coraggio anche da parte di Baglioni per accettare questa sfida, scendendo in un'arena rischiosa e senza vie di fuga. Un conto è fare l'ospite d'eccezione nei programmi dell'amico Fabio Fazio, un conto è portare sulle spalle il peso di un Festival, i suoi ritmi, le sue beghe, gli inevitabili confronti, le critiche professionali.
Quello che gli amici del bar di Centocelle a 17 anni chiamavano "Agonia", è sempre stato un uomo schivo. Della sua vita privata si sapeva pochissimo, per lui parlavano le canzoni, le poche apparizione e interviste in tv restituivano l'immagine di un uomo chiuso, introverso quasi ai limiti dell'inibizione. Poi Fazio lo ha messo a fare "Anima mia" e il pubblico ha scoperto che Baglioni sapeva anche parlare (e con un umorismo tagliente stile british, niente meno) e che poteva commuoversi cantando "El Pueblo Unido" insieme agli Inti Illimani (sì, proprio lui il cantante che Antonio Ricci accusa di essere il preferito dei fascisti perchè negli anni Settanta non si era mai schierato e aveva scelto di parlare dei sentimenti puri e semplici degli adolescenti anziché di bombaroli e locomotive). Era il 1997, la fine di un decennio fondamentale per la vita e la carriera di Baglioni, iniziato con una nuova compagna, un disco innnovativo e un incidente automobilistico che lo ha quasi ucciso, lasciandogli otto punti di sutura sulla lingua e profonde ferite sul viso risolte dalla chirurgia estetica (anche se è sicuramente più facile e gossipparo parlare di botulino): un periodo che ha segnato per lui un profondo cambiamento, musicale e personale. Da allora, Baglioni ha continuato a concedersi col contagocce in televisione, preferendo gli studi di registrazione e i bagni di folla dei suoi live in giro per l'Italia, nei quali però era evidente ai fan quanto il cantante provasse sempre più piacere a parlare, raccontarsi, mettersi in gioco.
Oggi "Agonia" ha lasciato il posto al "Signor Ariston", come lo ha chiamato Nino Frassica, il padrone di casa che ricorda il Pippo Baudo "direttore artistico totale" dei tempi che furono. La sintesi perfetta di questa trasformazione è il "BaglionOne", la nuova creatura presentata al Festival da Pierfrancesco Favino/Steve Jobs che canta, parla, suona, dirige, recita, balla, imita, in uno strano miscuglio di megalomania e autoironia. Una trasformazione strabiliante anche per i fan storici, gli stessi che poi negli anni hanno passato il testimone a figli e nipoti e che compogono tutti insieme il pubblico transegerazionale dei suoi concerti e, ora, anche di questo Festivàl con l'accento sull'ultima sillaba, come si diceva una volta.