La Costituzione è bella anche a Sanremo, certi politici se ne facciano una ragione
Festival di Sanremo e politica, due mondi che si parlano, che si sono sempre parlati. Due mondi che si parlavano anche in tempi in cui i cantanti, gli ospiti e i politici utilizzavano altre parole, altre melodie, altri toni decisamente più garbati di quelli attuali. Nasce prima il rap di Fedez o il viceministro che vent’anni prima, per festeggiare un addio al celibato, pensa bene di travestirsi da nazista? Il cantante gender fluid o la ministra della famiglia che discrimina le famiglie arcobaleno? Domande a cui siamo ormai abituati e che non sempre trovano una risposta. Quello che è certo è che Sanremo non è solo un’orchestra e delle voci. Artisti che si esibiscono, politici che si arrabbiano, un grande classico. Come prevedibile, il monologo di Roberto Benigni sulla Costituzione, recitato durante la prima serata davanti a un Sergio Mattarella apparso visibilmente commosso al ricordo di suo padre Bernardo, Padre Costituente, non è piaciuto a diversi esponenti dell’attuale maggioranza. Non ha usato mezze parole il Sottosegretario alla Cultura, Vittorio Sgarbi, che sulle sue pagine virtuali, come spesso gli accade nella vita reale, ha perso ogni forma di contegno: “Popolare e populista, ma indifferente alla volontà degli elettori, Sanremo apre con tre simpatizzanti del PD: Mattarella che vi fu iscritto, Benigni che prese in braccio Veltroni, Morandi che ha sempre votato PCI e PD. A Sanremo cambiano solo i vestiti del cantanti”, ha scritto su Facebook e Twitter. Per la cronaca, molti anni prima di sollevare Walter Veltroni, Roberto Benigni prese in braccio l’ex segretario del PCI, Enrico Berlinguer:
Sgarbi lo sa bene, ma rievocare quell’immagine avrebbe potuto ricordare a qualcuno che un tempo il Parlamento era abitato da personalità di ben altro spessore, personalità che non avrebbero mai messo bocca, in modo sguaiato, sulla presenza della prima carica dello Stato durante la serata inaugurale del Festival. A criticare l’esibizione del Premio Oscar anche altri esponenti della coalizione che sostiene il Governo Meloni, come Maurizio Gasparri di Forza Italia e Alfredo Mantovano, sottosegretario alla presidenza del Consiglio: la critica sollevata da entrambi è di aver affidato la Carta a un attore comico e non a un costituzionalista. Pensando ad alcune gag a cui abbiamo assistito alla Camera e al Senato, come ad esempio un recente intervento della deputata Maddalena Morgante di Fratelli d’Italia contro uno dei cantanti in gara in questa edizione della manifestazione, ad essere comica è la loro singolare obiezione.
Il diritto di svagarsi del presidente
Chissà cosa non è piaciuto di quel monologo di Benigni: forse il fatto che abbia detto che l’articolo 21 della Costituzione fu scritto perché durante il fascismo non c’era la libertà di manifestare liberamente il proprio pensiero? Come da noiosa consuetudine, tra un selfie e un post contro un anarchico, un migrante o un biscotto impastato con farina di insetti, il vicepremier e Ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, non ha perso occasione per dire la sua su quello che sta avvenendo sul palco del Teatro Ariston in questi primi giorni di febbraio. Le sue opinioni, di cui il “Paese reale” non sente il bisogno ma che aiutano a riempire le pagine di Interni in giornate di magra, sono ormai parte degli eventi collaterali allo spettacolo, fanno quasi folklore: un po’ come Bugo che litiga con Morgan, Blanco che prende a calci i fiori perché non gli funziona l’auricolare, o magari, scavando un po’ nella memoria, la farfallina di Belen Rodriguez. Neanche al leader della Lega è andata giù la presenza di Sergio Mattarella alla corte di Amadeus: “Se ha scelto di andarci – ha detto durante un’intervista radiofonica – è perché ha diritto di svagarsi anche il Presidente della Repubblica, ma non penso che la Costituzione abbia bisogno di essere difesa dal palco di Sanremo, che è la storia di Morandi e Ruggeri, di Luigi Tenco”. E ancora: “Riempire il festival di contenuti extra festival, dalle guerre ad altro, non mi piace. Se c'è qualche causa che va difesa a Sanremo, significa che siamo un Paese indietro”. In realtà, forse siamo un “Paese indietro” perché c’è un politico che ricopre ruoli di primo piano che pur di parlare di tutto stilando elenchi da lista della spesa, finisce per mischiare le canzoni di Morandi e Ruggieri con il dramma che sconvolse quell’edizione del 1967. Critiche anche alla lettera inviata dal presidente ucraino Zelensky, che sarà letta da Amadeus durante l’ultima serata: “Portare la guerra in mezzo ai Cugini di Campagna - ha spiegato il politico che fino a poco tempo fa sfoggiava magliette con la faccia di Putin - mi sembra veramente fuori luogo”.
La stoccata a Paola Enogu
E non è mancata una stoccata a Paola Egonu: prima ancora che la pallavolista scenda la ripida scalinata dell’Ariston, Salvini ha già espresso lil suo pensiero: “spero che non venga al Festival a fare un tirata sull'Italia razzista, perché penso che gli italiani possono avere tanti difetti, ma non quello di essere razzisti”. Evidentemente i membri del suo staff non gli hanno mai fatto leggere le migliaia di commenti razzisti lasciati dai suoi elettori sotto i post dei suoi profili social, e soprattutto deve essergli sfuggito il fatto che Paola Egonu, italiana nata a Cittadella, non abbia mai usato frasi come “Il tricolore non mi rappresenta” o che abbia mai teorizzato l’esistenza di una nazione chiamata “Padania”. Che piaccia o no il Festival di Sanremo, che si resti incollati al televisore fino a tarda sera per ascoltare l’ultima canzone in gara o che se ne seguano le vicende in “differita" perché il giorno dopo ne parla mezza Italia, tutti sanno che non si tratta solo una manifestazione canora, non lo è mai stata e chi lo sostiene è semplicemente in malafede. Non lo era quando tra un cantante e l’altro arrivava il monologo dell’allora comico Beppe Grillo, che faceva arrabbiare i politici di allora; quei politici che di lì a poco sarebbero stati spazzati via dalle inchieste giudiziarie; non lo è oggi, quando personaggi più o meno sulla cresta dell’onda, forti della loro popolarità o dei loro milioni di follower, recitano più o meno bene toccanti monologhi cuciti ad arte su di loro. E i politici continuano ad arrabbiarsi, forse perché temono che su quel palco, in mezzo a quei fiori, si celino i semi di ciò che un giorno li spazzerà via: uno spettacolo nello spettacolo.