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Sabato, 20 Aprile 2024

Covid e cure a casa, medici contro il protocollo: così non aiuta

"Non è cura della malattia, è cura delle complicanze"

Milano, 17 nov. (askanews) - Il dottor Andrea Mangiagalli medico di famiglia a Pioltello, provincia di Milano e il dottor Fabrizio Salvucci, medico cardiologo, libero professionista in Piemonte, raccontano la realtà con cui hanno a che fare tutti i giorni i professionisti della Sanità, a 9 mesi dall'inizio della pandemia. Medici, in particolare quelli di famiglia, che chiedono da tempo protocolli precisi per le cure domiciliari, per evitare che i malati di Covid si aggravino e finiscano in ospedale. Ora una bozza di linee guida c'è, dopo una selva di protocolli regionali e mesi di autogestione. Molti nel frattempo si sono organizzati in gruppi privati o chat come "Medici in prima linea", che conta 170 professionisti che si scambiano consigli ed è stata creata fra gli altri da Mangiagalli, il quale boccia le nuove linee guida.

"Il primo protocollo che abbiamo avuto a marzo era di tenere a casa i pazienti finché non respiravano, questo l'unico protocollo che avevamo", ha spiegato Mangiagalli. "Poi siccome cominciavamo a veder sparire pazienti negli ospedali e non tornare più a casa, così abbiamo deciso il 23 di marzo, ben prima che qualcuno ce lo dicesse, di usare un trattamento a base di idrossiclorochina, azitromicina ed eparina perché così ci avevano detto i colleghi ospedalieri che stavano facendo e così abbiamo fatto, con risultati più che lusinghieri".

L'idrossiclorochina è stata in seguito sospesa dall'Aifa secondo cui "evidenze cliniche" relative al suo utilizzo "indicano un aumento di rischio per reazioni avverse a fronte di benefici scarsi o assenti".

La bozza delle linee guida nazionali per ora prescrive per chi ha sintomi moderati solo paracetamolo e controllo della saturazione a casa, se la situazione si aggrava a seconda dei casi antinfiammatori, cortisone in emergenza, no antibiotico di default. Ma se la situazione si aggrava e non si riesce a raggiungere un medico?

"Credo non ci sia bisogno di un medico di famiglia per prescrivere tachipirina, un antifiammatorio e mettere un saturimetro sul dito; se questo è quello che vuol dire questo schema di terapie ne prendiamo atto, basta che poi non dicano che arrivano troppi pazienti al pronto soccorso", ha continuato Mangiagalli. "È una malattia multiorgano e multisistemica quindi non si può pensare di dire al paziente o ai medici dategli tachipirina o antinfiammatori o antibiotici perché questa non è cura del Covid è cura delle complicanze, di tipo trombotico e antifiammatorio, se non si arriva a una cura rapida di questa parte della malattia finiremo che riempiremo comunque gli ospedali".

Una posizione condivisa dal dottor Salvucci che ha sottolineato l'importanza della tempestività. "Cosa vuol dire diamo un po' di tachipirina e aspettiamo e allora diamo un bicchiere d'acqua; perché non dire diamo una fans un altro tipo di infiammatorio che ha una potenza migliore". "Il vero problema adesso è salvare le persone e cercare di non farle arrivare in ospedale, questi sono i punti fondamentali".

Sul protocollo si sono espresse la Federazione dei medici di famiglia (Fimmg) lamentando di non essere stati coinvolti e la Federazione nazionale degli ordini dei medici (FNOMCeO) che ha definito "l'impianto scientifico generale condivisibile" ma ha chiesto "indicazioni più precise e meno generiche".

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