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Giovedì, 28 Marzo 2024

Cultura nella Milano del Coronavirus: ci salverà Franz Kafka?

In Fondazione Prada la mostra "K", aspettando la riapertura

Milano, 29 feb. (askanews) - Riproponiamo, in questi giorni di vita culturale chiusa per ordinanza delle autorità sul Coronavirus, la videorecenzione della mostra inaugurata in Fondazione Prada a Milano poche ore prima dello scoppio dell'emergenza.

Tre momenti per comporre un ritratto, in assenza e ovviamente parziale, del più grande scrittore del XX secolo - ci assumiamo la responsabilità del giudizio - attraverso una grande installazione, un film e un album di musica elettronica. Fondazione Prada a Milano presenta la mostra "K" che ripercorre i tre romanzi incompiuti di Franz Kafka e definisce uno spazio culturale a tutto tondo, un luogo impossibile nel quale le logiche kafkiane (e quanto questo prezioso aggettivo è stato maltrattato dall'uso bislacco di generica angoscia che ne viene fatto) vengono ricomposte per frammenti, fino a costruire un unico grande labirinto dal quale sembra impossibile uscire, ma solo a causa della sua magnetica bellezza. "La cultura - ha spiegato ad askanews il curatore della mostra, Udo Kittelmann - non importa se stiamo parlando di letteratura, di musica o di arti visive, è, almeno io lo spero, ciò che fa pensare la gente".

Il percorso immaginato da Kittelmann per il pubblico parte dalla Cisterna di Fondazione Prada, dove in loop viene diffuso l'album "Franz Kafka The Castle" della band tedesca Tangerine Dream, tentativo dichiaratamente fallito di trasporre in musica "Il Castello". Ma è proprio il fallimento strutturale dell'impresa a mettere in evidenza la grandezza del romanzo kafkiano, un universo paradossale nel quale, comodamente seduti su coloratissime poltrone, riusciamo a entrare per vie impreviste, veicolate dal suono, e che ci permettono di riconoscere il volto del celebre protagonista, l'agrimensore K, niente meno che come il nostro stesso volto.

Spostandosi nel Podium della Fondazione si trova poi la grande installazione di Martin Kippenberger, "The Happy End of Franz Kafka's Amerika", ispirata al viaggio americano del giovane Karl Rossman, che Kafka, alla fine, fa approdare nel Grande Teatro dell'Oklahoma, dove ognuno viene reclutato solo per essere se stesso, e senza che venga richiesta alcuna altra qualità. Per Udo Kittelmann e per Kippenberger si tratta di una riflessione sull'estremismo capitalista e gli oggetti che compongono l'opera sono pensati come luoghi di colloqui collettivi, in fondo per essere ammessi al nulla della modernità. Con un cortocircuito tra la dimensione della finzione e della cosiddetta realtà.

"Queste opere possono mandare un messaggio a noi oggi, perché il mondo dai tempi di Kafka è cambiato - ha aggiunto il curatore -. E che sia fiction o non fiction, insomma, ogni buona opera di fiction è anche ottima non fiction. Dobbiamo, per esempio, pensare al significato oggi di America, che è certamente del tutto diverso da ciò che aveva in mente Kafka, ma anche da quello che noi pensavamo anche solo 10 o 15 anni fa. Io credo che tutti noi cerchiamo un happy end per l'America e con America stiamo intendendo il mondo intero".

Ultimo, ma ovviamente non ultimo, elemento della mostra è il film "The Trial" di Orson Welles, ispirato a "Il Processo", con Anthony Perkins nei panni di Josef K. Un'opera iconica, originale, debordante, incompiuta e grottesca, come il romanzo e come il suo regista. Ma capace di assurgere a livelli di evidenza assoluti, e ci piace ricordare che in inglese "evidence" significa "prova", in senso giudiziario. "L'incompiutezza della vita - ha concluso Udo Kittelmann - è la più grande questione filosofica sulla nostra esistenza. C'è un inizio e c'è una fine, ma non sappiamo da dove veniamo e dove andremo dopo quella che riteniamo essere la fine".

La mostra "K", con tutte le sue emozioni, resta aperta al pubblico in Fondazione Prada fino al 27 luglio.

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