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Lunedì, 29 Aprile 2024
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Al via l’abbattimento dei mufloni al Giglio: perché vanno eradicati dall’isola

Oggi iniziano gli abbattimenti di alcuni mufloni all’Isola del Giglio, introdotti dall’uomo negli anni ’80. Specie invasiva, minacciano l’ecosistema e le sue specie rare, che rischiano di estinguersi. “Alcuni li abbiamo già affidati. Faremo ancora catture ma gli altri vanno abbattuti”

Se l’uomo provoca un danno agli habitat naturali, deve pagare. Ma se tenta di porvi rimedio, è uno spietato criminale. Oggi iniziano gli abbattimenti di alcuni mufloni che vivono all’Isola del Giglio e che lì, non avrebbero dovuto esserci. Importati negli anni ‘80 da un allevatore privato, attualmente vivono allo stato brado. E la loro proliferazione sta mettendo a rischio la biodiversità autoctona di un ecosistema già di per sé molto fragile. Tanto che per l’eradicazione di questa e altre specie, il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano si è aggiudicato il finanziamento del progetto europeo “Letsgo Giglio”, avviato nel 2019. “Ma non si capisce come mai - interviene a Today il presidente dell’ente parco Giampiero Sammuri - i riflettori della stampa si sono accesi tutti in questi giorni”. In difesa dei mufloni invasivi, si è mossa effettivamente l’opinione pubblica delle grandi occasioni. Per invocare non solo le dimissioni di Sammuri ma anche l’intervento del Ministro Cingolani e l’attenzione del Presidente del Consiglio Draghi. Un paradosso, se consideriamo che è proprio in virtù di una onesta “transizione ecologica” che questa specie dovrebbe essere eradicata. Anche se “per andare incontro a tutte le sensibilità - spiega il numero uno dell’Arcipelago Toscano - abbiamo già catturato e affidato 20 esemplari ad un’associazione animalista. Ne restano ancora tra i 20 e i 40. Di questi alcuni saranno ancora affidati, ma il resto sarà abbattuto”. La programmazione prevede che l’Isola del Giglio sia muflone-free al massimo entro un anno. 

“Questa specie è già responsabile, secondo l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), dell’estinzione totale di tre specie vegetali e della sopravvivenza di altre due nei soli vivai”, specifica Sammuri. “Tra il lentisco, il leccio e l’elicriso, il Giglio ospita una densità di circa 700 piante vascolari su una superficie di soli 21,2 chilometri quadrati. Tra queste ci sono endemismi che non si trovano al di fuori dell’arcipelago toscano. Un grande mammifero che pascola, pestando e brucando, non fa differenza nel mangiare quello che trova”. E questo produce un effetto a catena sull’ecosistema che non si limita alla scomparsa della sola pianta. “All’Elba ad esempio, la Zerynthia cassandra è una farfalla che vive solo sull'isola. La sua sopravvivenza è legata alla Aristolochia rotunda, che cresce in una zona limitata. Il muflone non distingue la specie: se mangia tutte le aristolochie, all'Elba si estingue sia la pianta che la farfalla. E’ un principio di tutela della biodiversità dal quale non possiamo prescindere quando ci troviamo a gestire le specie invasive”. Ovvero un “problemino” che rappresenta la seconda minaccia per la biodiversità su scala globale. Che è il fattore chiave per il 54% delle estinzioni di specie animali e vegetali, responsabile della perdita del  5% del PIL mondiale e vettore di oltre 100 agenti patogeni. Un fenomeno tanto esteso che porta il piccolo habitat del Giglio a combattere non solo la diffusione del muflone. Anche quella del coniglio selvatico, della tartaruga palustre americana, del pino domestico e del fico degli Ottentotti. Tutte specie introdotte dall’uomo che hanno avuto la capacità di alterare l’habitat e soppiantare le specie originarie. E che per il bene della biodiversità, vanno eradicate.

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