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Sabato, 27 Aprile 2024
L'allerta

"Nel 2023 45 milioni di persone rischieranno di morire di fame"

L'allarme della fondazione Cesvi, nella 17a edizione italiana dell’Indice globale della fame. Come cambiamenti climatici, guerre e pandemia fanno da effetto moltiplicatore dell'emergenza

Nel mondo è emergenza fame con 828 milioni di persone malnutrite, 150 milioni in più da inizio pandemia. Ben 46 Paesi non raggiungeranno l’obiettivo "fame zero" dell’agenda 2030. La situazione è destinata a peggiorare perché le guerre si sommano ai cambiamenti climatici e all'impatto economico della pandemia e nel 2023 ben 45 milioni di persone rischiano di morire di fame. A mettere a fuoco la situazione è la fondazione Cesvi, nella 17a edizione italiana dell’Indice globale della fame. La situazione è drammatica in Africa Subsahariana e Asia Meridionale. Allarme massimo in Somalia, Venezuela, Repubblica Centrafricana, Yemen.  

Cosa è l'indice globale della fame (Ghi)

L’indice globale della fame (Global Hunger Index - Ghi) rappresenta uno dei principali rapporti internazionali sulla misurazione della fame nel mondo, è curato da Cesvi per l’edizione italiana ed è redatto annualmente da Welthungerhilfe e Concern Wordlwide, due organizzazioni umanitarie che, insieme a Cesvi, fanno parte del network europeo Alliance2015. 

L’analisi prende in considerazione 121 Paesi in cui è stato possibile calcolare il punteggio Ghi sulla base dell’analisi di quattro indicatori: denutrizione, deperimento infantile, arresto della crescita infantile e mortalità dei bambini sotto i cinque anni.

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La mappa dell'emergenza fame 

Secondo i punteggi e le designazioni provvisorie del Ghi 2022, in 9 Paesi la fame è di categoria "allarmante" e in 35 "grave". I Paesi con punteggi 2022 di livello allarmante sono: Repubblica Centrafricana, Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Madagascar e Yemen. Altri quattro sono provvisoriamente classificati come tali nonostante non ci siano dati sufficienti per calcolarne i punteggi di Ghi: Burundi, Somalia, Sud Sudan e Siria.

Sempre più persone sono denutrite

L’indice Ghi quest’anno ha certificato a livello mondiale un valore di 18,2 – moderato (17,9 nel 2021). Il dato si mostra in leggero calo rispetto a 19,1 del 2014, ma anche in rallentamento rispetto al passato: il punteggio nel 2000 era 28, nel 2007 era 24,3. 

L’indicatore di maggiore impatto è rappresentato dalla denutrizione, dato che mostra un’inversione di tendenza dopo oltre un decennio di progressi. 

In continuità con il passato, si rileva che 46 Paesi non raggiungeranno entro il 2030 un livello di fame basso e che anche più in generale il dato mondiale non sarà più positivo. Attualmente sono 44 le nazioni con livelli di fame gravi o allarmanti e, tra quelle con fame di categoria moderata, grave o allarmante, 20 hanno punteggi Ghi più alti di quelli del 2014.

"La situazione è in ulteriore peggioramento: le ultime stime di Fao-Wfp (l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura e il World food programme) prevedono che 45 milioni di persone in 37 nazioni nel gennaio 2023 avranno così poco cibo da essere gravemente malnutrite e rischiare la morte", dice Gloria Zavatta, presidente di Fondazione Cesvi. "È inaccettabile – aggiunge – ed è necessario intervenire subito per invertire questa drammatica rotta".

Rispetto al 2014 la fame è aumentata in 20 Paesi di varie regioni del mondo, raggiungendo un livello moderato, grave o allarmante. L’incremento più deciso è del Venezuela, dove la fame è passata da 8,1 punti (bassa) del 2014 a 19,9 nel 2022 (tra moderata e grave). Secondo le conclusioni del Ghi 2022, in 9 Paesi la fame è ora allarmante (tra cui Repubblica Centrafricana, Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Madagascar e Yemen) e in 35 grave. In Etiopia, Somalia e Kenya, una delle peggiori siccità degli ultimi quarant’anni sta mettendo a rischio la vita di milioni di persone. In Somalia si prevede che, entro la fine dell’anno, 1,5 milioni di bambini (il 45% del totale) soffriranno la malnutrizione acuta, di cui 386.400 di tipo grave, e che, entro settembre, 2,1 milioni di abitanti si troveranno in stato di emergenza alimentare e 213.000 in stato di carestia.

Il Paese con il punteggio Ghi peggiore è lo Yemen con 45,1 (allarmante), a causa del conflitto interno iniziato nel 2015 e delle conseguenze della guerra in Ucraina, tra cui le difficoltà di approvvigionamento alimentare. Segue la Repubblica Centrafricana con 44 (allarmante), dove il 52,2% della popolazione è denutrito, dato più alto del mondo per il 2022, e la mortalità infantile è al 10,3%. 

Perché milioni di persone muoiono di fame

Ad aggravare il quadro incidono le conseguenze di cambiamenti climatici, guerre e pandemia. Eventi metereologici estremi sempre più frequenti e intensi riducono la disponibilità di cibo e acqua. Negli ultimi mesi si sono susseguiti forti alluvioni in Pakistan che hanno sommerso un terzo del Paese e ucciso almeno 1.300 persone, un tifone in Giappone ha costretto 9 milioni di persone a lasciare le loro case, un’anomala ondata di caldo che in Cina, Europa e Usa ha prosciugato i fiumi e provocato incendi boschivi.  

I conflitti armati, che ugualmente contribuiscono all’insicurezza alimentare, sono aumentati. Su 193 milioni di persone esposte a conflitti, 139 milioni hanno vissuto condizioni di insicurezza alimentare. Non ultima, la guerra in Ucraina ha avuto un forte impatto su forniture alimentari e prezzi.

Gli aumenti straordinari dei prezzi del cibo pesano soprattutto sulle famiglie già povere e possono innescare ulteriori disordini e guerre, alimentando il ciclo fame-conflitti.

"Stiamo vivendo la terza crisi globale dei prezzi alimentari in 15 anni - dice Valeria Emmi, Networking and Advocacy Senior Specialist di Cesvi - . Ciò dimostra che la trasformazione dei nostri sistemi alimentari, oggi, è più che mai urgente".

Anche la pandemia Covid-19, insieme alla recessione economica, ha inciso sull’aumento dei prezzi nei Paesi a basso e medio reddito. Si stima che nel 2021 le persone in povertà estrema siano state 85 milioni in più rispetto al periodo pre-pandemia, mentre in 17 Paesi a basso e medio reddito sono calate qualità e quantità del cibo a disposizione.

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